03/09/2010

Capacità rivoluzionaria della Globalizzazione


È evidente che un processo così celere pervasivo e universale come la ‘globalizz
azione’ dell’economia industriale, risulti fortemente destabilizzante per tutte
le istituzioni sopra-nazionali che presiedevano alla vecchia ‘governance’. Istit
uzioni che non sono state neanche in grado di prevedere e di graduarne l’avvento
È però anche evidente che lo stesso processo si ripercuota con elevata dinamica
sull’aumento del reddito nazionale al di la di qualsiasi possibilità delle istit
uzioni politiche agenti nell’ambito dei confini dei vecchi Stati Nazione, di ges
tirne efficacemente il progredire.
Infatti le vecchie istituzioni politiche (statali, sindacali, mediatiche) si tro
vano, indipendentemente dal livello autoritario e di efficienza operativa del re
gime vigente, a gestire due opposti fenomeni esogeni in quanto generati dall’ina
rrestabile crescita della globalizzazione.
Il primo fenomeno è quello della destabilizzazione che ogni paese subisce nel pr
oprio status di cui godeva nel vecchio contesto geopolitico ormai evanescente. C
iò obbliga ogni regime a rinegoziare il peso politico internazionale del proprio
 sistema industria-paese sulla base di un condiviso criterio privo di altri elem
enti di valutazione che non sia la complessiva competitività del sistema nel mer
cato globale. Una valutazione erogata dalla finanza soprannazionale che eroga il
 flusso della moneta privilegiando in gerarchia le aspettative di maggiore reddi
tività e rischio complessivo minore presentate da sistemi in reciproca competizi
one che cercano di appropriarsi di quella risorsa - sempre scarsa di fronte alle
 sempre eccedenti domande di finanziamento.
Il secondo fenomeno è quello del consenso interno in ogni paese che subisce la d
estabilizzazione a causa di quelle aspettative di diffuso e crescente benessere
e autonomia personale che sono sollecitate nell’opinione pubblica dalla percezio
ne che essa nutre nei confronti dei benefici derivanti dall’avanzare del process
o della ‘globalizzazione’.
La perdita di consenso non crea solo problemi istituzionali che sollecitano ogni
 regime a ‘liberalizzare’ i propri assetti interni. Infatti esiste anche il risc
hio che la destabilizzazione si traduca in periodi transitori di perdita di effi
cacia nella governance interna ai singoli sistemi industria-paese. Un elemento c
he si traduce, all’estero, in una percezione di maggiore ‘rischio politico’ che
presenta lo specifico sistema in questione e in una sua perdita di affidabilità
rispetto alle opportunità di veicolarvi nuovi investimenti. Ciò conduce a una mi
nore crescita, maggiore frustrazione delle aspettative interne di migliore benes
sere e maggiore libertà e in una ulteriore perdita di affidabilità del sistema i
ndustria-paese in questione.
Alla luce di queste considerazioni emergono chiari gli sterili tentativi delle i
stituzioni e regimi dei vecchi Stati Nazione di ‘resistere, resistere, resistere
’ all’avvento del nuovo para-digma del capitalismo-liberista (il nocciolo essenz
iale del suvvesso operativo della civiltà ‘Occidentale’ – greca-romana-cristiana
) ormai pienamente egemone sul mercato globale.
Vediamo qualche patetico sintomo occasionale riportato dalla stampa.
I tentativi di Obama di conservarsi integro il sostegno della componente di mili
tanti elettorali più attivi che gli hanno garantito lo stretto successo elettora
le all’insegna del ‘change we can’. Militanti esterni al partito democratico ed
adiacenti ai movimenti radicali libertari degli anni settanta (ecologisti, figli
 dei fiori, pacifisti, pantere nere, neo-musulmani, intellettuali di Hollywood f
ilo-marxisti, chiese del riscatto sociale negro, immigrati illegali, etc.). L’un
ica base elettorale che, in sua assenza, avrebbe rinunciato a votare in quanto n
on controllata dai tradizionali caucus politici di partito, più orientate a sost
enere i candidati moderati dell’establishment (Al Gore, Hillary Clinton, etc.).
Non ostante il rischio di perdere la maggioranza di rappresentanti e senatori al
 Congresso nel Novembre 2010, e non ostante la sua chiarissima condivisione da s
tatista circa le priorità in politica USA, estera e di difesa, che gli hanno fat
to conservare integra la conduzione di quei due dicasteri rispetto a George W. B
ush, Obama privilegia nei suoi primi due anni di mandato la sua immagine di ‘cha
nge we can’ in ogni situazione in cui il governo federale può tranquillizzare la
 sua constituency più radicale. Per tenersela buona in occasione del tentativo d
i ottenere una riconferma per il secondo mandato elettorale. Finanzia i gruppi m
anifatturieri ove il sindacato è più forte (Chrysler, GM). Finanzia a spese dei
contribuenti i più grandi gruppi bancari. Tenta di consolidare le sue promesse i
n materia di conduzione bellica (ritiro dalle due campagne Iraq e Afghanistan en
tro il 2011, chiusura di Guantanamo e giudizio nelle normali corti di giustizia
civile dei terroristi) cercando di dimostrare la sua determinazione ‘contro’ l’e
stablishment militare licenziando McChrystal e sostituendolo col suo mentore Pet
raeus cui cerca così di addebitare l’eventuale fallimento sul campo in occasione
 della campagna elettorale del 2012 (quando Petraeus se decidesse con la sua pop
olarità e successi di entrare in politica per il partito repubblicano, potrebbe
insidiargli l’elezione). Così facendo Obama spera di avere, dopo il Novembre 201
0 un Congresso in cui i democratici saranno meno e più radicali, addebitando la
sconfitta all’apparato del partito e rianimando i suoi sostenitori generalmente
assenteisti per la campagna della ‘rivincita’ del 2012.
Queste convulsioni politiche di uno dei due statisti egemoni nella negoziazione
della governance globale (Cina e USA) dimostra quanto anche negli USA le istituz
ioni del vecchio Stato federale siano state destabilizzate dal processo industri
ale in corso. Obama (un homo novus e di provate capacità politiche) deve dare pr
iorità alle pressioni interne di breve termine invece di potersi concentrare sug
li interessi USA di più lungo respiro (e di stragrande interesse anche per òla s
tessa sua base elettorale più radicale).
L’impegno delle istituzioni del lavoro in Italia a contrastare il cambiamento de
i criteri che governano le scelte negli investimenti industriali Fiat in occasio
ne del referendum per l’impianto di Pomigliano d’Arco e la sentenza del pretore
del lavoro per il reintegro in fabbrica dei tre sindacalisti FIOM-CGIL licenziat
i in occasione del sabotaggio della catena produttiva deciso nella fabbrica Fiat
 di Melfi da quei tre integralisti sindacali non ostante la partecipazione limit
ata allo sciopero indetto.
Il crollo del tentativo di creare un polo alternativo a quello USA in Europa ove
 la Germania sta imponendo l’egemonia del suo sistema industria-paese fondato su
ll’etica liberista di una governance all’insegna della riduzione del peso dello
stato sull’economia privata. Egemonia che ripropone a tutti i partner dell’UE l’
insostituibilità del paradigma liberista per rilanciare la competitività del sis
tema sul nuovo mercato globale. I paesi che resistono sul paradigma keynesiano p
er rilanciare il proprio sistema, agendo cioè sulla domanda in luogo che sull’of
ferta di nuovi prodotti per rilanciare il ciclo produttivo, si invischiano sempr
e più in dosi crescenti di debito e deficit pubblico con risultati di crescente
onerosità di collocazione delle obbligazioni emesse per rifinanziarne la copertu
ra. Un insieme di scelte impostate sul welfare state keynesiano che conducono a
maggiori oneri fiscali e minore competitività del sistema industria-stato rispet
to a quello tedesco. Un situazione fallimentare che conduce l’UE alla rinuncia d
ella sua unità politica alternativa agli USA o ad accettare la competizione sul
mercato globale dei singoli sistemi nazionali in piena accettazione del paradigm
a più liberista del capitalismo libero dai vincoli ottocenteschi ed insostenibil
i alla luce della competizione sul mercato globale ormai pienamente egemone risp
etto alla capacità di attrarre nuovi investimenti finanziari.
L’elevato dinamismo dei fondi di investimento impostati su comparti industriali
meno ‘etically correct’ (consumismo, armamenti, leisure, tabacco) rispetto ai gr
andi problemi dei fondi e sistemi bancari che, dal 1928, finanziano comparti eco
nomici ‘socialmente e ambientalmente corretti’ (green economy, banche islamiche)
Il tentativo della Russia paleo-industriale di ricostruire una egemonia sui paes
i della CSI ed est europei ricattando la comunità internazionale col solo strume
nto di potere a sua disposizione; l’erogazione delle sue risorse energetiche. Un
a risorsa sostituibile per i paesi consumatori più industrializzati e moderni de
lla Russia stessa ma una tra le poche risorse di cui essa dispone per sostenere
qualsiasi politica d’un minimo di credibilità in campo internazionale (vendita d
i grano e vendita di gas e petrolio) e di efficacia per sollevare il bassissimo
livello di organizzazione produttiva all’interno del paese; come dimostrano le a
zioni anti-incendio in corso incombenti sulla stessa Mosca.
I tentativi della Cina di evitare troppo celere evoluzione di carattere ‘liberal
e’ delle sue istituzioni tramite la costante espansione delle sue esportazioni.
Iniziativa che costringe la Cina stessa a tenere bassi i livelli degli stipendi,
 la obbliga ad accumulare riserve in dollari USA, diventando così sempre più dip
endente dalla stabilità di quella valuta ed obbligandola quindi ad assumere deci
sioni in piena coerenza col suo principale partner nel processo della globalizza
zione; gli USA nel G2. Recedere da quella partnership la costringe a subire dram
matici cali di crescita del reddito nazionale e relative perdite di consenso pol
itico interno oppure ad addossarsi gli oneri del finanziamento della stabilità v
alutaria internazionale con la crescita del tasso di interesse e del valore del
yuan sostenendo così il debito accumulato dal sistema USA nel corso del finanzia
mento del decollo della globalizzazione.
Chiesa di Roma nella sua sterile componente post-conciliare più ‘rivoluzionaria’
 che incentra la ‘teologia della liberazione’ sulla dottrina sociale del ‘multic
ulturalismo’ e dell’’accoglienza’. Dottrina che riduce la missione della Chiesa
alla missione sociale accettando i concetti del ‘politically correct’ che si fon
dano su relativismo e pauperismo imponendo la convivenza tra fedi di pari valore
, abbassando il reddito delle comunità che ‘accolgono’ masse di immigranti attra
tte da aspettative di immediato benessere ma prive di qualificazione professiona
le senza poterle assumere in attività produttive e redditizie. Una dottrina che
impoverisce le comunità più diseredate del Sud delle risorse migliori e più intr
aprendenti destinate a essere sfruttate in forme di vero e proprio ‘schiavismo’
prima di riuscire individualmente a crearsi una professionalità che mai desidere
rà ritornare al paese di origine. Dottrina opposta alla ‘globalizzazione’ che su
ggerisce di ‘trasferire al Sud’ gli impianti produttivi più redditizi per ambo i
 contraenti anziché ‘trasferire al Nord’ orde di sradicati culturali e professio
nalmente impreparati destinati alla povertà, alla frustrazione e alla emarginazi
one sociale – fonte di criminalità organizzata politica o di contrabbando.
Francia (ed Olanda) col suo fallimento speculare a quello della ‘teologia della
liberazione’ della Chiesa di Roma della accoglienza e del multiculturalismo fond
ato sul relativismo politically correct con le sue conseguenze di integralismo p
olitico-religioso delle etnie più frustrate da emarginazione e povertà.