16/10/2009

Scenari post “crisi”

Nulla sarà più come prima! È una delle affermazioni più naif che corrono sugli scritti delle “menti sottili” sia che avessero saputo prevedere l’inizio e la durata della “crisi” o meno.

L’utilità delle previsioni non è tanto sul fatto che “dopo” la crisi di riassetto in corso della governance del sistema finanziario globale la situazione istituzionale e procedurale risulterà “diversa” da qualunque altra nota in precedenza con cui la si possa paragonare. Ciò è evidente in quanto l’ultimo assetto di “governance globale” di cui si abbia memoria data all’epoca dell’Impero Romano. Ciò che sarebbe interessante sapere non è nemmeno se sarà la stessa “filosofia” del capitalismo-liberista che ci ha condotti a sperimentare il riassetto in corso. Infatti manca qualsiasi alternativa credibile che possa garantire continuità allo sviluppo industriale che è il sostegno unitario dell’attuale salto di qualità nello sviluppo industriale mondiale.

Ciò che potrebbe invece essere illustrato dalle “menti sottili” sono le alternative che si offrono alle istituzioni politiche internazionali per riuscire a “partecipare” con efficacia e credibilità al processo di ricostruzione di una governance che riesca a risultare accettabile sia alla sfera della politica che a quella dell’economia nel pieno rispetto delle gerarchie di peso che caratterizzano i singoli sistemi industriali nazionali non solo alla luce dell’attuale produttività e competitività ma anche alla luce dei loro possibili assetti e connessioni futuri.

L’anello debole del processo di riorganizzazione istituzionale della governance non risiede nella produzione reale di beni e servizi, né nella loro concreta affidabilità produttiva e competitiva sulla quale si fondano gli interessi dei gruppi finanziari che curano la raccolta e il collocamento del risparmio a misura del possibile livello di remunerazione e rischio. L’anello debole (in quanto da sempre destinato a “subire” le pressioni che gradualmente consolida il progresso tecnologico e industriale tramite le aspettative dei consumatori e le loro mutate abitudini comportamentali.

Non servono tanto le “menti sottili” che ci vengano a illustrare oggi per quali motivi questa sia la fase finale del sistema fondato sul capitalismo liberista il quale ha prevalso “non ostante” le resistenze di tutti i passati conservatorismi corporativi che hanno sempre forgiato e legittimato la governance nei secoli. È evidente a tutti che l’attuale “crisi” sia invece il “trionfo finale” del capitalismo-liberista il quale, a dispetto dei tentativi di conservazione dei vecchi privilegi parassitari, è riuscito ad espropriare gli Stati Nazione (anche i più potenti) del potere-pilota di definizione del progresso industriale che caratterizza la civiltà ‘Occidentale’.

Le riflessioni dovrebbero piuttosto valutare quali tra i molti e talvolta goffi tentativi dei vari Stati Nazione di oggi siano ragionevoli e potenzialmente efficaci, credibili nell’attuazione e sostenibili economicamente per la costruzione “consensuale” di una governance globale che tale potrà essere solo se accolta senza riserve da tutti i Paesi.

La costruzione del “progresso industriale”, in quanto premessa e motore-primo del “cambiamento”, infatti deve essere condotta in assoluta solitudine decisionale da parte di pochi tycoon lungimiranti capaci di creare investimenti a rischio ma complessivamente redditizi attorno ai quali, come nuclei di aggregazione primari, si sviluppano poi per analogia, sostituzione o integrazione ulteriori investimenti caratterizzati da minori gradi di rischio ma di minori livelli di remunerazione. Ciò è avvenuto nel segreto dei contatti tra tycoon e gruppi finanziari tramite un’innovativa creatività di prodotti e servizi al-di-fuori di qualsivoglia capacità di controllo delle vecchie istituzioni proprio in quanto si trattava di finanziare, senza creare inflazione, progetti di industrializzazione assolutamente innovativi. La creatività del comparto di industria “finanza” è riuscito a soddisfare quelle richieste private, riservate e innovative con l’invenzione di altrettanto innovativi strumenti finanziari che riuscissero a compensare la nuova domanda di moneta senza aumentare la massa circolante di dollari USA. L’aumento delle risorse erogabili è stato ricavato accelerando la circolazione della massa già in circolo di dollari e ciò ha imposto l’assunzione di livelli di rischio ulteriori rispetto a quelli controllati dalla vecchia governance istituzionale. Quei livelli aggiuntivi di rischio finanziario sono stati “spalmati” tra i titoli esistenti creando i “derivati”. A questo punto la funzione del comparto industriale “finanza” aveva concluso il suo compito: finanziare investimenti più redditizi e produttivi senza doverne convincere i controllori delle vecchie istituzioni che, oltre a essere dei puri “colletti bianchi” (anche se etichettati di “grands commis”) non avrebbero potuto né capire, né legittimare la creazione di strumenti assolutamente innovativi. Terminata la fase del “lancio del progresso industriale” e verificatane sia la fattibilità che la convenienza che esso è capace di generare per tutti i sistemi industriali nazionali che vi prendano parte, si è scatenata l’attuale rincorsa competitiva a partecipare per raccoglierne i benefici di crescita economica. Ciò è quanto poteva competere al comparto della finanza privata a sostegno della creatività dei tycoon.

Una volta scatenata la rincorsa competitiva e cominciato a raccoglierne i relativi benefici, nessun Paese è oggi in grado di limitare la propria partecipazione o di esercitare azioni unilaterali di rallentamento in quanto ciò esporrebbe il suo sistema industriale a subire i danni della rinuncia a beneficio di sistemi concorrenti. Essendo quindi irreversibile il processo scatenato in modo preliminare ed alieno alla politica per l’assenza di convenienza e della stessa capacità di influenzarlo unilateralmente, alla sfera della politica non resta altro se non concordare a livello soprannazionale le istituzioni, i loro ruoli e le procedure atte a definire una nuova governance che gratifichi le aspettative individuali sia a fronte della gerarchia e priorità dei pesi attuali sia a fronte del potenziale di peso che ciascuno dei sistemi odierni potrà aspirare di avere nel futuro.

È chiaro che si tratta di scopi, ambizioni e comportamenti politici la cui credibilità dipende solo parzialmente dal peso attuale o passato dei vecchi Stati Nazione interlocutori del processo della nuova governance. È anche chiaro che un tale processo debba essere negoziato in modo bilaterale per accelerarne la definizione e per renderne credibili le fasi successive. Nessuna istituzione politica può essere definita in modi assembleari e le negoziazioni debbono svolgersi con una serie di scambi di convenienze tra le quali figurano sia “carote” (concessioni premiali) sia “bastoni” (rischi di ritorsioni negative). Nessuna diplomazia può essere efficace se la si costringe a dibattere assemblearmente i possibili accordi di scambio tra interessi percepiti in modi molto diversi da interlocutori molto disomogenei e troppo numerosi. Accordi multilaterali sono utili solo alla fine del processo di negoziazioni bilaterali e servono solo a formalizzare quanto già consolidato. Ne è prova lo sforzo demagogico di concordare trattati sul “controllo climatico” (un’idiozia teorica e pratica) mentre ne è prova l’efficacia di un trattato di proliferazione nucleare finchè l’equilibrio del potere è restato bilaterale tra USA e URSS.

Speriamo di non leggere sui media quanto (certamente) è in corso di negoziazione in campo finanziario tra Cina e USA dai quali dipende all’80% oggi la credibilità del nuovo ordine globale. Il resto sono sapienti ma sterili esercizi di “menti sottili” sulla stampa o nelle sale di conferenza dai Grands Commis d’Etat (proprio quelli che hanno perso ogni possibilità di influire).