01/10/2010

Rosiconi di tutto il mondo: unitevi!

Contrariamente a ciò che affermano i giornalisti non esistono ‘categorie’ concettuali che appartengono alla sfera ‘politica’ né ‘categorie’ che ne risultino escluse. La politica infatti (come ben sanno i paesi che ne sono culla universale – Grecia e Italia in primis) costituisce la materia in cui si esercita e si incontra l’opera di tutti gli esseri umani, consapevolmente o inconsciamente, nobilmente o turpemente, in modi sofisticati o grossolani, con riflessioni razionali o proposte viscerali. La politica infatti deve sempre - ed in ogni epoca e regime - essere ‘democratica’ cioè deve animare il consenso di massa attorno a proposte da tutti comprensibili tramite divulgazione scientifica (la narrazione nei testi di storia ed enciclopedie ‘politicamente corretti’) spesso anch’essa ispirata da forme ‘politiche’ di propaganda compiacente verso la ‘nobiltà’ a posteriori di ciò che è avvenuto sotto la pressione delle necessità e capacità più umane. I ‘partigiani’ sono necessari in ogni epoca per dare gambe alle idee del consigliori del principe ed essi non possono che compiacere le mire del ‘padrino’ da essi ritenuto più idoneo a portare al successo le teorie intellettuali superando con efficacia i vincoli che la loro applicazione pratica inevitabilmente incontra nel contesto storico della geo-politica. La teoria formulata dalla Compagnia di Gesù condusse a fondare le ‘Riduzioni’ in Uruguay ed ispirò la ‘civilizzazione’ dell’America Centro-Meridionale, la teoria di Marx venne sperimentata nel contesto geo-politico più distante da quanto prevedeva l’inevitabile ’implosione’ del capitalismo-liberista studiata per l’economia industriale più avanzata e intensamente affollata, le teorie di Mendel e di Malthus hanno ispirato ‘politiche demografiche’ fonte di vere e proprie ecatombe in regimi che includono la Germania nazional-socialista ma anche la Svezia fino agli anni cinquanta ed ancora legittimano le politiche demografiche in Cina per la soppressione dei feti di sesso femminile.

In ‘Occidente’ ciò che guida la politica sullo scenario globale è l’anti- o il filo-americanismo. E la forma più pervasiva ed efficace di conquista delle masse al modello del ‘capitalismo-liberista’ è la diffusione in TV dei filmati rappresentativi della realtà più quotidiana nel mondo ‘Occidentale’ – sit-com, serial TV, reality shows, etc.. Come il più potente mezzo per ispirare le masse ad affrancarsi da regimi ‘resistenti’ è la diffusione della Coca Cola, della musica giovanile o dei jeans.

Inoltre ciò che guida da sempre la politica sullo scenario nazionale in Italia è il ‘tifo’ e partigianeria più settaria dai tempi dei guelfi e ghibellini, ai guelfi bianchi e neri, ai filo- o anti-clericali, ed oggi l’anti- o il filo-berlusconismo. Dopo una serie di sanguinose e sterili lotte partigiane in periodo bellico e nel dopo guerra degli ‘opposti terrorismi’.

Insomma, contrariamente a ciò che si scrive in genere su quest’argomento, si tratta di categorie tutte pienamente ‘politiche’. La ‘politica’ è sempre stata il campo in cui si agitano categorie ‘carnali’ che cerchiamo poi di tinteggiare di logica ‘scientifica’. Carletto Marx è solo un esempio emblematico.

Avversione pregiudiziale e ‘di fegato’ per l’abietto ‘capitalismo’ espressione ‘selvaggia’ dell’avidità della borghesia per costruire ‘a posteriori’ una sofisticata teoria alternativa che, illuminata dal virtuoso fine di ‘educare’ le masse a soffocare le loro pulsioni maligne (egoismo, avidità, etc.), riesca ad attuare la felicità in terra. Una vera e propria religione secolare che sostituisca le religioni trascendenti le cui promesse di felicità si collocano in contesti escatologici che si prestano in modo opportunista a educare le masse alla paziente sopportazione dello sfruttamento secolare; e sono quindi etichettate di ‘oppio dei popoli’.

In politica internazionale, tra i primi (gli anti-americani viscerali) figurano tutti i protagonisti di regimi illiberali che cercano di stigmatizzare ogni aspetto dei disagi o squilibri interni al sistema americano. Il più emblematico rappresentante di ciò che, sul piano della governance istituzionale, si può riassumere nel ‘capitalismo-liberale’ (in economia) e nella ‘liberal-democrazia’ (in politica).

Tra i ‘filo-americani’ invece s’inseriscono, con gradualità di toni, tutti i regimi che trovano il coraggio di abbandonare la loro frustrante collocazione tra i ‘perdenti’ per aderire gradualmente, nelle rispettive politiche interne, a schemi decisionali che siano compatibili col paradigma ‘americano’ accettando così di entrare in libera e reciproca competizione ma anche in libera e reciproca cooperazione industriale con forme d’integrazione temporanee che accettano la temporanea collocazione nella scala di protagonista che è misurata dalla gerarchia di pesi relativi delle rispettive economie nazionali; escludendo quindi ogni differenza di ordine ‘ideologico’.

Lo stesso vale per il filo- e l’anti-berlusconismo in campo nazionale.

Eliminato ogni sua misura di dignità derivante da appartenenze ideologiche, ciò che resta è solamente l’abilità in campo professionale e industriale. È la liberazione dalle astrazioni intellettuali e dalle utopie che ci hanno regalato quella sanguinosa scia di regimi granguignoleschi da Pitagora a Stalin con le loro emulazioni di contorno in tono farsesco (ma pur sempre violento) da Savonarola, alle Reducciones, ai PolPot, ai Castro e ai Saddam Hussein.

In Italia è evidente l’impossibilità di battere il Cavaliere senza l’ausilio di quelle ‘dignità ideologiche’ che hanno garantito la ‘superiorità antropologica’ dei sostenitori della dottrina sociale marxista e (seppure in tono minore) dei sostenitori della dottrina sociale della Chiesa; dai catto-comunisti, agli ideologi e ai teologi della liberazione; dignità ideologica’ santificata dal tabù della costituzione repubblicana.

Tra le categorie più umane della politica figura, certamente quella dell’invidia; cioè il ‘rosicare’. Essa è una categoria che anima strategie subdole, politicamente ben rodate e ispirate ai complotti, alle trame, ai sotterfugi, alle menzogne che sono l’anima della diplomazia. Si tratta di una categoria che riceve costante energia psichica sottoforma di settari sostegni contro o pro il successo senza considerazione alcuna sulla loro convenienza razionale; il ‘gufare’. Una fonte di energia che anima i ‘partigiani’ più ostinati, dalle quinte colonne, agli insider trader, ai sabotatori degli atleti avversari, ai contraffattori di documenti e regole, agli animalisti, agli ecologisti, ai vegetariani, agli integralisti di ogni risma.

La scienza, la logica, la negoziazione commerciale invece sono categorie ancorate alla più naturale e pragmatica realtà. È per ciò che le politiche fondate su esse risultano in genere meno ascoltate rispetto a quelle sostenute dalla carica di energia psichica dell’odio gufante e rosicone. Solo in caso di situazioni estreme, i negoziatori che si rendono conto di non avere più carte da giocare, non hanno più nulla da perdere nell’affidare la negoziazione al bluff. Quelle sono le situazioni di politica industriale in cui la negoziazione economica viene posta in secondo piano rispetto a considerazioni meno logiche e razionali che spesso hanno condotto agli omicidi e a veri e propri conflitti mercantili e industriali. Ciò avviene ogniqualvolta un protagonista cerchi di immettersi in giochi troppo ambiziosi rispetto alle proprie risorse disponibili. L’ambizione e l’avidità (categorie anch’esse pienamente umane) prevalgono in quei casi sulle categorie più razionali della negoziazione economica. Il protagonista caratterizzato da ambizione eccessiva rispetto alle concrete capacità di azione è spinto ad azzardare iniziative dirompenti rispetto alle regole vigenti e provoca danni economici inaccettabili nei suoi interlocutori più potenti. Il risultato sono i drammi storici di cui è emblematico il ‘caso Mattei’. Che bene si colloca tra quei casi commentati da Giulio Andreotti, con spirito da Pasquino, con la frase: “se l’è cercata!”. Volgare, cinica ma eloquente sintesi di saggezza popolare romanesca. In analogia con il ‘caso Sindona’ che, rifiutando l’offerta di partecipare al gioco finanziario internazionale con una formale adesione a MedioBanca, si trovò gradualmente sospinto verso la bancarotta e i tentativi di salvarsene con sostegni sempre meno leciti e sempre più confinanti con la finanza illegale, i suoi spazi di riciclaggio e, infine, ‘a tazzulella ‘e cafè - finale apocalisse di un’avventura d’un italiano particolarmente dotato e intraprendente.

Analoghe evoluzioni si sono manifestate nella storia della negoziazione tra ideologie astratte e non compatibili. Ciò conduce a negoziazioni solo formali tra nemici politici anziché tra avversari. Le lunghe e sterili negoziazioni internazionali tra questo tipo di nemici hanno condotto prima o poi a scontri dai quali è emerso sempre vincente il sistema più competitivo sul piano industriale; non quello animato dai più nobili fini intellettuali. Cartagine ha dovuto cedere all’ancora più grezza Roma. La civiltà persiana si è dovuta piegare alle coalizioni delle città-stato greche. La raffinata cultura islamica è stata rigettata in Africa più volte dalle avide armate dei Re Cristiani in Spagna, a Vienna, a Lepanto. La fine civiltà Inca è stata distrutta dai pochi cavalleggeri ‘hidalgo’ assetati di oro e fama. Le sublimi civiltà di Giappone e Cina hanno dovuto piegarsi alla squallida politica delle cannoniere (l’una) e dell’industria globalizzata (l’altra) per riuscire a competere ad armi pari con un ‘Occidente’ forse poco stimato in Occidente ma altamente emulato ovunque nel mondo esistano diseredati da sfamare.

I tentativi nazionali di trovare forme di compatibilità tra ideologie astratte e alternative hanno sempre condotto a guerre civili più o meno formalmente dichiarate; come nel caso degli ugonotti in Francia, dei Valdesi in Italia, dei quaccheri in Europa ma anche nel caso dell’incontro tra comunismo cristiano e marxista in Italia negli anni ’70 con il periodo delle brigate rosse.

Siamo ormai al termine dell’egemonia delle astrazioni ideologiche in politica e stiamo assistendo a crolli graduali di tutte le sovrastrutture meta-istituzionali che si proponevano di ‘nobilitare’ quelle dottrine. Il sindacalismo rientra nel sano gioco della contrattazione pragmatica di accordi economici. Le forme di previdenza sociale rientrano coi piedi a terra nella sostenibilità fiscale che dipende dalla crescita del PIL e non dalle astrazioni di diritti assoluti. I contratti di lavoro accettano la categoria della precarietà anche nel diritto che li regolamenta che non colpisce solo le altre manifestazioni della vita umana; sempre precaria. Perfino teorie ‘organiche’ alla politica degli Stati Nazione ispirate al ‘welfare state’ vengono abbandonate drasticamente dagli stessi regimi che si sono legittimati fino a ieri con esse. Teorie come quella di Keynes che suggeriva di intervenire sulla programmazione dello sviluppo con interventi fiscali e finanziari che modificassero l’equilibrio del sistema economico produttivo agendo sulla ‘domanda’ di beni e servizi da parte dei consumatori. Ciò prima di creare inflazione, avrebbe stimolato le aziende a produrre per soddisfare la nuova e maggiore domanda. In caso di errore nella previsione, l’inflazione prodotta dagli interventi artificiosi avrebbe concorso a travasare ricchezza dalle rendite dei capitali ai redditi fissi contribuendo quindi a smussare le differenze di reddito esistenti nel sistema sociale. Questa teoria infatti ha sempre contribuito a diminuire le differenze delle fasce di reddito ma, nel contempo ha indotto molti detentori di capitale a trasferirli in paesi dove il risparmio poteva ottenere maggiori tassi di rendita; impoverendo la disponibilità di risorse disponibili per alimentare nuovo sviluppo industriale. Oppure, l’eventuale divieto a trasferire capitali all’estero, l’applicazione pratica di quella teoria si è tradotta in minore propensione ad investire i capitali nelle iniziative di maggiore rischio; generando di fatto un livello di innovazione, di crescita economica inferiore e complessivamente di competitività più contenuta rispetto a sistemi industriali concorrenti sul mercato estero. Minore gamma di differenze di reddito individuale corrisponde insomma a minore competitività economica e minore crescita di reddito nazionale.

Ebbene sappiamo ora che tutti i paesi sono costretti a recuperare competitività e rilanciare la propria crescita economica riducendo i costi del welfare ed aumentando la responsabilità individuale di tutti i produttori nazionali. Ciò significa aumentare il grado di precarietà delle fonti dei redditi individuali, aumentare il livello della mobilità occupazionale e diminuire l’occupazione nel sistema statale; il meno produttivo rispetto a quelli privati.

Di ciò abbiamo evidenza non solo dalle martoriate storie degli impianti Fiat e l’associato processo di riduzione del bilancio statale in Italia ma anche negli analoghi comportamenti di politica economica nei paesi a regime di capitalismo-liberale e in quelli i cui regimi sono ideologicamente statalisti. A Cuba è stata annunciata da Raoul Castro la riduzione di occupazioni statali come in Russia analoga iniziativa è stata avviata da Putin. E l’andamento dell’elettorato ha confermato il consapevole sostegno a queste politiche che si fondano invece sulla classica teoria dell’equilibrio economico industriale (Legge di Say) che prevede che, in regime liberista, sia la l’offerta di beni e servizi ad assumersi il rischio di produrli e di distribuirli efficientemente sul mercato per soddisfare una domanda spesso inespressa o sommersa. Questa teoria che agisce con mezzi fiscali e finanziari per stimolare l’offerta, inietta risorse alle aziende contando sulla loro avidità di battere i concorrenti nell’appropriarsi dei ritorni sui capitali investiti in innovazioni a rischio di fallire.

La lotta della ‘governance’ si sposta quindi dai mercati nazionali a quello globale. è questo il senso del provvedimento suggerito da qualche protagonista politico della Tobin tax. Imporre una sorta di tassa sulle transazioni finanziarie indipendentemente dalla capacità d’inibirle ope legis. Le risorse così raccolte dovrebbero servire per attivare provvedimenti correttivi dei vari disagi creati dalla crescita sul tessuto sociale. Si tratta di un meccanismo che, se non eccessivo, potrebbe rendere più fluido lo sviluppo industriale, mentre, se eccessivo, potrebbe ridurre lo sviluppo a spese dei sistemi industriali meno solidi e competitivi. Destra e Sinistra non terminano, devono solo chiudere gli atteggiamenti antagonisti per assumerne di nuovi miranti a cooperare pragmaticamente a risolvere le singole, specifiche istanze ‘locali’. Ogni programmazione dei redditi diventa patetica data la assoluta sproporzione esistente tra le istituzioni produttive e quelle che controllano e regolamentano il sistema stato-industria a dimensione globale. Invece la negoziazione caso-per-caso e locale dei problemi potrebbe migliorare la qualità dello sviluppo riducendo le durate e le intensità delle crisi congiunturali.