01/10/2008

Mercato liberal-democratico

Siamo da sempre convinti di non assistere a ‘catastrofi’ in senso di ‘fine del capitalismo’ ma solo alla graduale evoluzione dell’economia industriale su base globale che comporta il manifestarsi di anche drammatici riassetti in tutte le istituzioni di interesse pubblico del sistema politico-economico che si fonda sul libero-mercato.

La recente ‘bocciatura’ del piano di intervento proposto dalla Casa Bianca da parte del Congresso è quindi solo la manifestazione di vitalità con cui negli USA la cultura liberal-democratica presiede a gestire l’evoluzione del processo della globalizzazione sul piano delle istituzioni di carattere economico (fondamentalmente la gestione del credito – Wall Street) e delle istituzioni di tipo politico (fondamentalmente la gestione della moneta – il Governo Federale). È stato il libero mercato a creare il problema, esso deve quindi risolvere il problema lasciando potare i vecchi rami ‘irresponsabili’ rivitalizzando quelli che invece hanno saputo conservare risorse per sopravvivere. Da questo punto di vista è corretto quanto affermato da McCain (vero ‘cow-boy maverick’, capace di interpretare il comune sentire del ‘main street’ e non dei lobbisti di ‘Wall Street’) che cioè di fronte alla crisi “si può conservare sangue freddo in quanto ‘i fondamentali dell’economia USA sono solidi’”. McCain non si riferiva col termine di ‘fondamentali’ ai parametri del mondo finanziario ma a quelli che caratterizzano il sistema della produzione industriale di beni e servizi (da produttività, a competitività, a creazione di posti di lavoro, a innovazione industriale). Si tratta, come tutte le crisi di borsa, di una crisi ‘fisiologica’ al sistema capitalistico di libero mercato dovuta alla crescita dell’industrializzazione su base globale che ha sovvertito la tradizionale struttura della domanda delle risorse necessarie per lo sviluppo. Rivoluzione che ha toccato anche il mercato della risorsa ‘finanziaria’ e che è stata servita in modi innovativi da strumenti di finanza ‘creativa’ grazie alla ‘speculazione’ soprannazionale che ha coinvolto tutti i Paesi e sistemi industriali. Le ripercussioni sono iniziate negli USA ma si trasmetteranno con gradualità a tutti i sistemi industriali già saldamente inter-connessi. È solo una serie di crisi fisiologiche e temporanee che si fondano sulla struttura produttiva globale che consente di remunerare il rischio di esposizioni finanziarie fuori dimensione secondo gli standard tradizionali delle economie dei vecchi Stati Nazione. È una crisi che tuttavia, come tutte le crisi di borsa, può ‘contaminare’ i comportamenti dei produttori-consumatori-risparmiatori-elettori accelerando drammaticamente la richiesta di ‘rientro degli investimenti’ col risultato di produrre crolli nel sistema produttivo che, pur solido nei suoi ‘fondamentali’, potrebbe essere destabilizzato in modo insostenibile. La funzione delle ‘istituzioni’ di interesse pubblico del mondo industriale liberal-democratico è di sdrammatizzare la crisi e di mostrare fiducia nelle capacità del sistema industriale di superarla senza ricorrere ad ingiustificabili surrogazioni ‘illiberali’ come quella escogitata dalla Casa Bianca. McCain ha ora un’occasione unica nella sua vita di ‘maverik’ (fuori del sistema istituzionale) di assumere la leadership con una proposta ‘liberale’ e realmente rappresentativa del ‘conservatorismo’ USA profondamente radicato nella ‘main street’ e nello ‘spirito del ‘76’ della costituzione USA.

Il ‘libero mercato’ in liberal-democrazia non crea discrasie di valori tra gli elettori e i loro eletti al parlamento (Paese Reale e Paese Legale) né tra i produttori di reddito e i loro canali di risparmio e credito (Banche e Borse Valori). Sono le miriadi di decisioni che ogni giorno vengono decise in piena responsabilità individuale dai produttori di reddito per collocare a rendita il proprio risparmio e dei consumatori di beni e servizi per appagare le proprie esigenze ad aggregarsi secondo una scala di prodotti di investimento caratterizzati da diversificati contenuti di rischio/rendita. Così come sono le molteplici scelte elettorali di elettori pienamente liberi e responsabili ad aggregarsi per eleggere nei diversi distretti elettorali I loro rappresentanti al Congresso.

Una maggiore discrasia tra i valori che ispirano il Paese Reale rispetto a quelli del Paese Legale si manifesta invece più facilmente tra gli elettori e il Governo Federale. Infatti esso e’ una istituzione su cui si concentrano pressioni spesso legittime, spesso espresse anche in forme legali da Lobby animate da interessi spesso alieni alle esigenze degli elettori e dei produttori di reddito (ideologie politiche, relazioni internazionali, sistema dell’industria militare). Le lobby che agiscono invece sul Congresso sono quelle più prossime alle esigenze del mercato interno che spesso ottengono nicchie di comodo distorsive delle regole di libero-mercato ma per appagare constituencies elettorali ‘locali’. Queste lobby si traducono in ‘earmarks’ o finanziamenti clientelari negoziati come ‘merce di scambio’ (che è denominata ‘porkbarrelhood’) e che viene introdotta come vero e proprio ostaggio nel corpo di leggi di finanziamento totalmente disomogenee per finalità industriali.

Ciò che rende meno divaricato il comune sentire tra elettori-consumatori ed istituzioni di interesse pubblico è la prossimità di valutazione nel tempo dei loro rappresentanti da parte dei cittadini. Il Congresso viene rinnovato ogni due anni dal corpo elettorale in modo totale per ciò che concerne la Camera dei Rappresentanti e per un terzo degli eletti per ciò che concerne il Senato. Il Governo Federale invece riceve mandato elettorale per un periodo di quattro anni e quindi può permettersi di assumersi scelte anche difformi col comune sentire degli elettori almeno per i primi anni del suo mandato.

La recente bocciatura della proposta ‘illiberale’ del Governo Federale di addossare ai contribuenti l’onere di sostegno a Wall Street ha visto una convergenza di rappresentanti dei due partiti che a Novembre devono rendere conto delle loro scelte al corpo elettorale. I candidati di entrambi i partiti devono rendere conto del rifiuto del carattere ‘illiberale’ della proposta formulata dal Governo Federale. L’intervento dello Stato per rimediare a crisi che sono maturate per colpa di scelte libere ma ‘irresponsabili’ nel libero mercato risulta aliena ai criteri ispiratori della liberal-democrazia; anche se vengono assunte da sue istituzioni nel rispetto formale dei canoni costituzionali. La ‘forma’ e’ rispettata ma il ‘merito’ e’ quello di un regime dirigista e centralista.

Abbiamo assistito alla vitalità della liberal-democrazia di fronte ad un rimedio ‘illiberale’ anche se in buona fede fosse ispirato da finalità di minor-danno per la comunità. Grazie al comune sentire di candidati ed elettori, la comunità si e’ riappropriata in modo liberal-democratico del giudizio di coerenza delle scelte rispetto ai canoni di libero mercato. Dovranno ora essere i rappresentanti ed i candidati alla presidenza a formulare scelte più coerenti coi valori ancora vivi presso gli elettori-produttori-risparmiatori-consumatori.

D’altra parte questa riappropriazione di iniziativa da parte dell’elettorato USA dimostra che la sua stragrande maggioranza si ispira saldamente alla ‘conservazione’ dei valori della costituzione liberal-democratica e del più pieno e responsabile libero-intraprendere. Ciò non costringerà solo il futuro Presidente ad allinearsi alla ‘conservazione’ dell’ideologia egemone in quel Paese ma costringerà inevitabilmente tutti i Paesi coinvolti dalla ‘crisi’ finanziaria prodotta dall’ormai consolidata ‘globalizzazione’ a partecipare all’associato processo di riassetto istituzionale (la nuova ‘governance’ globale – Nuovo Ordine Globale) in coerenza coi criteri egemoni liberal-democratici che avranno inciso le nuove scelte USA sia prioritariamente nel tempo che in consistenza di misura - data la dimensione della sua economia.

Ciò inciderà sulle forme e modalità secondo le quali dovranno riassestarsi le istituzioni nazionali e soprannazionali per comporre la governance politico-istituzionale di un mercato globale ormai egemone.

Pena di un eventuale rifiuto sarebbe il trasferimento dei costi privi di sostegni negoziati tra Stati. Le aree che ne soffrirebbero maggiormente sarebbero distribuite lungo una scala che rispecchia il grado di adesione già maturato all’economia di libero mercato.

Ne soffrirebbero innanzitutto i Paesi meno industrializzati e generalmente governati da regimi monocratici con eventuale e parziale mitigazione per quelli esportatori di petrolio.

Ne soffrirebbero poi i Paesi illiberali caratterizzati da economia centralizzata tra i quali la Russia e la Cina.

In successione sarebbero colpiti Paesi liberal-democratici le cui economie risultano ancora in pieno sviluppo ma carenti in flessibilità interna come l’India e il Brasile.

Gli altri Paesi liberal-democratici caratterizzati da sistemi economici in cui sono eminenti le lobby di gruppi industriali nazionali e in cui sono solide le istituzioni dei vecchi Stati Nazione come Francia e Spagna o Regno Unito sarebbero penalizzati.

Infine verrebbero penalizzati quei Paesi che, come l’Italia, sono caratterizzati da un sistema industriale altamente flessibile e libero dai vincoli delle istituzioni del vecchio Stato Nazione che mai hanno saputo consolidare il proprio efficace consenso nello sviluppo dell’economia; neanche in epoca politica di assenza anche formale di liberal-democrazia.

Vedremo nel corso degli sviluppi politici nello stato egemone globale, gli USA, quali scelte saranno assunte dal Congresso (ora), dai candidati alla Presidenza (tra ora e I primi cento giorni) e dalle nuove procedure della governance finanziaria a Wall Street ed a Washington (nel corso del 2009).

Il nostro ruolo e’ sufficientemente marginale sia politicamente che economicamente ed e’ sufficientemente flessibile come struttura produttiva indipendente dalle istituzioni ormai obsolete (Stato nazionale e sindacati) da permetterci il privilegiato status di ‘osservatore’ mediatico; una sorta di abbonati gratuiti alla ‘soft opera’ in corso di svolgimento.