01/04/2011

Migrazioni e ‘buon senso’

L’assoluta perdita di razionalità politica costituisce una delle caratteristiche prevalenti dell’attuale epoca di globalizzazione industriale relativamente alla riorganizzazione degli assetti sociali ed economici che sarebbe necessaria per adeguare il consenso politico alle aspettative sociali ed al potenziale di servizio di un sistema industriale ormai altamente dotato di flessibilità e quindi agevolmente adattabile a servire la stabilità delle nuove istituzioni necessarie per assicurare la governance globale al sistema.

Una delle voci più attuali in cui si evidenzia la totale perdita di senno politico è quella della gestione delle migrazioni di massa.

Occorre l’aggettivo per distinguere il diritto del buon senso contro l’insipienza del senso comune in materia.

Come in ogni comparto della vita organizzata durante i periodi di pseudo stabilità ed all’interno di una certa omogeneità del sistema in questione si stabiliscono delle abitudini che caratterizzano i meccanismi istituiti da ogni sistema per compensare le disparità sociali al suo interno e armonizzare così il consenso politico che serve per garantire stabilità istituzionale al sistema di governance; ad esempio le ‘migrazioni’.

L’abitudine di accettazione sociale dei meccanismi di armonizzazione interni al sistema si traduce in genere in standard procedurali che presiedono alla gestione sul campo dei meccanismi stessi ed a finanziarne tutte le fasi di avanzamento onde renderne accettabili gli sviluppi economici per tutte le fasce sociali coinvolte.

L’armonia dettata dalla sostenibilità dei disagi è garantita dalla compensazione del costo e durata della fase di avvio dei meccanismi con il ritorno universale e globalmente superiore di benefici economici per tutti gli individui coinvolti dai processi sul campo.

La riconosciuta sostenibilità e credibilità del generale beneficio universale dei meccanismi di integrazione sociale permettono l’acquisizione di abitudine ai meccanismi nel senso comune che diventa accettazione supina e scontata degli stessi processi. Le comunicazioni sociali diffondono questa accettazione come un diritto naturale fondato su quel buon senso che si è potuto consolidare.

Esaminato da un punto di vista tecnico ciò che ha reso scontato alla luce del senso comune il meccanismo delle ‘migrazioni’ è la sua dose minima di perturbazione dell’armonia sociale preesistente rispetto al suo apporto di benefici complessivi una volta che sia stata assorbita la perturbazione. Si tratta insomma di rapporto tra la dimensione del sistema ospitante e quelle delle ondate perturbatrici associato alla durata di tempo necessario per l’assorbimento dei perturbatori in un sistema finale in armonica continuità di crescita.

Il buon senso che si percepisce ostile alla perturbazione sia ‘locale’ che ‘temporale’ apportata in modo acuto dagli immigranti viene ridotto alla ragione dal senso comune che deriva dai verificati e credibili meccanismi operativi che regolano l’assorbimento dei nuovi arrivati.

Occorre in definitiva un processo ‘a dosi omeopatiche’ perché il ‘senso comune’ abbia potuto sostituire nella pubblica opinione il ‘buon senso’ che è un meccanismo donato dalla Natura all’uomo a tutela delle diversità etniche e culturali – e le relative concezioni di civiltà (arte, religione, gastronomia, etc.).

Ogni volta che la storia ha proposto invece l’avvento di migrazioni a ondate massicce rispetto alle comunità ‘ospitanti’ (soprattutto quando esiste una grande differenza nei rispettivi profili culturali), i meccanismi di natura hanno prevalso rendendo sterili i meccanismi imposti per via legale; generando così forme ‘locali’ di resistenza istituzionale anche persistenti (mafia, KKK, etc.). Solo l’assorbimento dei nuovi arrivati e la lenta integrazione per via biologica e culturale è riuscita poi a conservare solido il ceppo culturale ‘superiore’ nel quale si è innestata una diversità marginale che ne ha arricchito la creatività tradizionale; in Italia è ricca la tradizione di assorbimento degli etruschi in Roma, dei ‘barbari’ nella stabile ‘romanità’ della penisola, degli Svevi, dei Normanni, degli Angiò, dei Borboni – all’insegna del ‘Graecia capta, ferum victorem coepit’.

Si trattò sempre di periodi estesi sull’arco di più generazioni e di conflitti sociali duraturi associati a lotte, sangue e odio persistente.

Il più recente esempio di migrazioni continue e rapidi assorbimenti è reperibile negli USA in cui l’estensione territoriale consentiva di diluire nello spazio i nuovi arrivati e alle limitate popolazioni residenti originarie di aiutare i nuovi arrivati a accettare il contesto della governance di cultura britannica che era prevalente nelle istituzioni. Anche in quel mondo tuttavia le resistenze e conflitti sociali interni sollevati dalle migrazioni in ambiti ‘locali’ caratterizzati da scarsa mobilità furono frequenti e drammatici all’avvento di forti minoranze di grande diversità culturale (religiosa, linguistica, gastronomica, etc.) – irlandesi, italiani, cinesi, etc..

Solamente la grande mobilità territoriale e sociale unita alla grande disponibilità di risorse che richiedevano costante aumento di manodopera per essere tradotte in crescita di benessere economico, hanno consentito il rapido assorbimento di grandi masse che tuttavia avevano generalmente una comune tradizione culturale europea di origine greco-romana-cristiana. I cinesi sono restati più saldamente ghettizzati nelle China Town dei grandi centri urbani, mentre l’integrazione degli africani è ancora lontana dall’essere realizzata e sta creando isole ghettizzate di islamismo fondamentalista.

Arriviamo alle migrazioni dell’era della globalizzazione.

Nell’epoca di Roma Imperiale non si presentarono esigenze di grandi migrazioni di massa che emersero al suo crollo con le orde barbariche attratte dalle ricchezze dell’Impero e dalla caduta delle sue difese. Roma seppe garantire celeri scambi e solida governance ad un sistema economico che consentì a tutte le etnie di conservare le proprie abitudini e nel contempo beneficiare del maggiore benessere e sicurezza senza doversi sradicare dalle abitudini ‘locali’ e dal territorio natio.

L’attuale, seconda versione della globalizzazione dispone di una ricca gamma di soluzioni tecnologiche ed organizzative tale da permettere il trasferimento di opportunità di crescita del reddito adeguate ad ogni tipo di cultura ed abitudini etniche (riorganizzazione e delocalizzazione delle fasi produttive industriali) senza costringere a sradicare dalle proprie tradizioni masse di migranti che non riuscirebbero a trovare adeguata occupazione in tempi rapidi presso le comunità accoglienti, che sono caratterizzate da scarsa mobilità e da ridotti margini di flessibilità sociale e disponibilità culturale.

Inoltre, le masse di emigranti dai paesi più poveri sottrarrebbero ai loro paesi e comunità natie i soggetti più dinamici e motivati condannando i restanti a ristrettezze maggiori per la perdita di risorse imprenditoriali – le più rare e indispensabili per assicurare lo sviluppo di qualsiasi sistema economico.

Per queste ragioni sembra che sia necessario privilegiare lo spontaneo ‘buon senso’ naturale che oggigiorno suggerisce di rifiutare la ‘libera migrazione’ come diritto acquisito dal ‘senso comune’ (a stento, con disagio ma con rapido beneficio) nel passato di sistemi umani relativamente omogenei culturalmente come quello di USA-Europa (contrassegnato dai noti, forti drammi – estinzione dei pellerossa, schiavismo bianco, giallo e negro, KKK, etc.) e quello dell’UE (con la tradizione di guerre civili, pogrom e permanenti difficoltà interne).

Il ‘buon senso’ suggerirebbe invece di esaltare i processi di trasferimento alle masse di diseredati nei paesi più poveri di opportunità di sviluppo economico conservandovi i migranti potenziali ed accelerandone in ogni modo possibile l’avvento di qualità di vita accettabili – pilotandovi regime change che instaurino condizioni di vita civile a misura delle esigenze di accelerazione dello sviluppo industriale integrato agli scambi globali.

La Chiesa di Roma non può privilegiare l’avvento di grandi periodi di instabilità sociale e culturale al Nord e di grandi traumi economici e sociali in entrambi il Nord e il Sud rispetto alla gradualità di uno sviluppo che sia rispettoso della continuità culturale e della stabilità delle famiglie nel corso di uno sviluppo industriale e crescita di diffusione della fede cristiana capace di ‘incarnarsi’ nelle culture locali invece di cercare di pilotare dall’alto in modo illiberale e inaccettabile per la cultura industriale ‘Occidentale’ modi uniformi di percezione della ‘dottrina ortodossa’ – una visione controriformista difficilmente condivisibile nel 2000 globalizzato.

Almeno dopo la caduta del muro di Berlino!

È comprensibile che le corporazioni (ad esempio i sindacati) cerchino di ostacolare la ‘delocalizzazione’ degli impianti industriali anche se essi risultino antieconomici rispetto all’insediamento nei paesi meno industriali ma non è accettabile che si pretenda di agevolare l’accoglienza delle masse di diseredati che vengono da quei paesi per costringerli a condizioni di vita che, noìel migliore dei casi, sono inferiori a quelle sperimentate dai negri nelle piantagioni di cotone dei Confederati; e di quelle successive degli stessi negri nelle miniere e nelle acciaierie degli Unionisti.

Lasciare i negri a casa loro portando nei loro paesi opportunità di lavoro ‘produttivo’ è una soluzione più rispettosa della loro umanità e diversità ma ciò impone di negoziare coi loro capi-tribù locali tipi di regime accettabili alla luce delle loro e delle nostre esigenze industriali; adeguare cioè la ‘governance’ globale tramite una gerarchia negoziata di regimi in cui il grado di perfezione ideale liberal-democratica non raggiungerà mai il 100% ma che risulti almeno flessibilmente arricchibile lungo quella scala di valore nel corso dello sviluppo economico che deve essere di reciproco beneficio.

Sembra banale alla luce del ‘buon senso’ ma suona invece utopico alla valutazione del ‘senso comune’ che ci è inculcato da millenni di vita da sudditi che si attendono dallo Stato la soluzione saggia e benevola dei loro problemi; scartando ciò che il ‘buon senso’ segnala come rischio di ‘affidare ai lupi la protezione del gregge’!

D’altronde la soluzione imposta sul piano puramente dell’avidità economica dalla globalizzazione industriale risulta sul piano pratico: 1) la più economicamente utile per entrambe le comunità ricche del Nord industriale e povere del Sud oppresso, 2) la meno culturalmente traumatica per entrambe le comunità ospitante del Nord e per quella spolpata dalle migliori risorse umane del Sud, 3) l’unica a rispettare le aspettative di continuità culturale e di stabilità politica nutrite precipuamente dalle comunità locali che sono quelle su cui si fonda il consenso democratico ovunque nel mondo (anche se ispirati da spirito laico e liberale nel Nord, e da spirito settario e fondamentalista nel Sud). Entrambe manifestazioni ‘naturali’ di sane forme di chiusure ‘nazionaliste’ create da massicce aggressioni o minacce per l’integrità delle tradizioni su cui ogni etnia (paese reale) fonda la legittimità delle proprie istituzioni (paese legale). L’unica alternativa a questa aspettativa ‘naturale’ di rispetto per le radici ‘locali’ della società meno caratterizzata da ‘mobilità’ (la stragrande maggioranza in ogni paese, regione o provincia) è quella spesso tentata dalle ‘menti sottili’ che si propongono come elite di governo legittimate dalla loro superiorità intellettuale ad ‘educare le masse’ ad assumere comportamenti ‘innaturali’ che confermino la validità pratica dei loro modelli istituzionali di regimi illuminati di governi illiberali top-down legittimati dalla superiorità ideologica di dottrine secolari (‘laiche’, progressiste, rivoluzionarie, anticipatrici - de-sinistra) o religiose (fondamentaliste, integraliste, etico-tradizionaliste – de destra). Entrambi paradigmi che cancellano la stessa democrazia pretendendo di avocare al sinedrio dei migliori (non per nulla Togliatti era ‘il migliore’ per antonomasia e il Santo Padre o il Sovrano lo sono per regimi para-reducciones dei gesuiti in Uruguay) la definizione del bene e della felicità che caratterizzano il ‘progresso’ e gli associati stili ‘ortodossi’ di comportamento. Dai più antichi modelli delle scuole para-religiose di Pitagora, degli Esseni, dei Sufi fino alle più recenti pianificazioni quinquennali, programmazioni dei redditi, concertazioni un animiste, panieri di consumi costituzionalmente garantiti fino alle emergenti proposte di ridefinizione del Prodotto Interno Lordo in Prodotto Interno di Felicità di quella ‘mente sottile’ di Sarkozy che ha dato evidenza della sua ‘sottigliezza’ quasi impercettibile con la sua levata di genio scatenando una guerra civile in Libia e un associato processo a valanga in tutto il mondo islamico. Fortunatamente il ‘laissez faire’ liberista anche in queste contingenze ‘illuminate’ concepite dalle più astratte ‘menti sottili’ dimostra l’esistenza di un’azione di governo che il ‘disegno intelligente’ esercita sulla Storia. Esso si serve dell’avidità, della stoltezza e dell’egoismo umano che animano il successo universale del capitalismo-liberista, per generare invece (con una vera e propria stupefacente ‘eterogenesi dei fini’ o ‘Serendipity’) tipi altrettanto egoiste, avide e stolte di reazioni degli alleati internazionali più riottosi (USA, Italia, Germania) e degli avversari interni nei paesi in fase di regime change (fratelli musulmani, fondamentalisti, signori della guerra, etc.) la cui combinazione sollecita Obama ad aderire alle politiche di ‘esportazione della democrazia’ e di guerra dei volontari di ‘W’ Bush e tutti i paesi islamici medievali (Arabia Saudita, Emirati, Yemen, Tunisia, Marocco, Egitto, Siria, etc.) a concordare comportamenti unitari per evitare la guerra contro di se e per non arrestare il flusso di capitali dai paesi civili ‘Occidentali’ verso quelli parassitari incivili che non hanno altrimenti altre risorse per acquistare in Occidente beni e servizi necessari per il loro benessere e per le loro beghe interne o astrazioni intellettuali.

It’s the economy …. stupid!

Ne prendano atto anche il PD (per non aumentare il consenso elettorale della Lega) e Santa Madre Chiesa (per non scadere nel pauperismo solidale più astratto, irresponsabile e perdente rispetto al calvinismo equo e solidale più responsabilizzante).