01/03/2009

1.Catastrofe politica annunciata

negli USA sta rapidamente costruendosi una catastrofe politica.

La determinazione di Obama a voler attuare un reale ‘cambiamento’ in politica interna non si limita a voler far uscire l’economia industriale del suo Paese dal rischio di recessione che incombe sull’economia globale qualora non venisse concordato sul piano internazionale un ‘rientro’ dal debito finanziario che ha finanziato il consolidamento della globalizzazione. 

Obama si rende conto di essere un ‘parvenu’ nel mondo della politica USA e quindi di rischiare un puro ‘ruolo fantoccio’ oggetto passivo più che non soggetto attivo di decisioni assunte nei ‘salotti buoni’ USA e concordate al Congresso tramite le loro ‘lobby’ scavalcando i poteri formali dell’esecutivo.

La naturale ambizione personale conduce Obama a rifiutare questo ruolo passivo e a appellarsi alle sole ‘lobby’ che gli sono accessibili: le minoranze ‘liberal’ che votano usualmente per il partito democratico e la ‘opinione pubblica’ che proietta ancora su lui le aspettative di un ‘cambiamento’ catartico.

Obama quindi ha mostrato pragmatismo e disponibilità a contenere le sue promesse di ‘cambiamento’ in politica estera in cui gran parte dell’opinione pubblica e degli interessi economici del Paese si possono accontentare di una gradualità di iniziative alla luce dell’orgoglio e della sicurezza nazionale.

Questo pragmatismo è servito a Obama per cercare di imporre al Congresso un drastico intervento nella economia del Paese all’insegna del ‘cambiamento del sistema’ che egli denuncia come insoddisfacente nei suoi meccanismi più che non nella sua conduzione o controllo di gestione.

Lo scontro al Congresso sulle dimensioni e sulle finalità del bilancio pluriennale sta avendo luogo tra il legislativo con le sue consolidate ‘lobby industriali’ sia liberal che conservatrici (la Wall Street) e i nuovi poteri che Obama cerca di inserire a sostegno di un esecutivo più direttamente collegato alle aspettative degli elettori (la Main Street) che hanno legittimato il suo mandato elettorale incentrato sul drastico (ma indefinito) ‘cambiamento’.

Si tratta di un approccio di carattere ‘rivoluzionario’ per il tradizionale funzionamento delle istituzioni USA. Un carattere ‘rivoluzionario’ che cerca di ridefinire i pesi tra i tre poteri affidando un ruolo più determinante alla Casa Bianca in quanto diretta ‘rappresentante’ delle aspettative del corpo elettorale. Casa Bianca e Main Street contro il conservatorismo di Congresso e Wall Street alla luce dello stato di ‘crisi globale’ che impone la concessione di poteri speciali a-termine.

Ciò conduce a un rischioso tipo di interpretazione della presidenza USA come ‘dittatura a termine’. Una interpretazione pienamente coerente con la Costituzione e la storia della liberal-democrazia purché sia accompagnata da una coerente interpretazione di ruolo da parte di legislativo e giurisdizionale.

Questo ‘cambiamento’ istituzionale si accompagna al ‘cambiamento’ funzionale che il bilancio di Obama può iniettare nel sistema economico-industriale del Paese. Se questo duplice ‘cambiamento’ non venisse negoziato consensualmente tra le aspirazioni di Obama e le esigenze del Congresso si verrebbe a creare una pericolosa frattura tra due esigenze contrastanti: la conservazione della legittimità che le ‘lobby’ hanno consolidato al Congresso a tutela del ‘sistema industriale’ e sue relazioni internazionali consolidate dalla globalizzazione (Wall Street Globale) e il consolidamento del nuovo ruolo che Obama pretende per sé come unico interprete della legittimità delle aspettative del corpo elettorale (Main Street).

Il rischio di scontro è già palese all’interno del partito democratico e della divisione che la discussione del bilancio presidenziale hanno prodotto al Congresso. Questo rischio potrebbe irrigidirsi ulteriormente per i tentativi furbeschi di Obama di favorire il formarsi a suo sostegno di nuove forme di consenso nella pubblica opinione con provvedimenti legislativi ‘liberal’ e demagogici ma deteriori per l’efficacia stessa del bilancio (accesso ai servizi sanitari anche agli immigrati illegali, sindacalizzazione estesa alle piccole e medie aziende).

Se questo ‘cambiamento istituzionale’ proseguisse senza una mediazione al fianco del ‘cambiamento funzionale’ che il bilancio pluriennale vuole iniettare nel sistema industriale del Paese, si giungerebbe a una traumatica separazione tra il ‘sogno indefinito’ sul quale Obama sta cavalcando la sua immagine e presa di consenso in Main Street e le ‘ragioni pragmatiche’ richieste per conservare la funzionalità del sistema industriale nazionale dal quale dipende la sostenibilità del bilancio e la crescita di ricchezza del Paese.

Il momento di ‘crisi istituzionale’ si evidenzierebbe al momento in cui il bilancio di Obama dimostrasse di non poter produrre risultati adeguati a soddisfare le esigenze industriali ed economiche del Paese. In quel frangente Obama sarebbe costretto o a ‘rientrare dal sogno’ o invece a forzare la mano a ‘Wall Street’ appellandosi a ‘Main Street’ in occasione delle tornate elettorali che possono essere ‘drogate’ solo marginalmente negli USA (brogli e concessioni di due Senatori al Distretto di Columbia). Sarebbe una pericolosa evoluzione dell’interpretazione liberal-democratica di diversi pesi tra le istituzioni ad una che volesse invece dare all’esecutivo un ruolo di ‘ombudsman’ o Robin Hood del cittadino ‘contro’ il sistema ‘capitalista industriale’.

La conclusione di un’avventura di questo tipo non potrebbe che essere traumatica sotto il profilo sociale e istituzionale e potrebbe concludersi con uno dei periodici ‘regicidi’ che si manifestano nei regimi presidenziali.