Le nuove istituzioni per il capitalismo di massa

(titolo originale)

 

Di Carlo Pelanda

 

Settembre 2000

 

 1. Requisito. Chi disegna offerte politiche nelle democrazie occidentali deve tener conto di quattro fatti che appaiono ben confermati dai dati di ricerca: (a) la maggioranza degli elettorati chiede i vantaggi del mercato senza volerne pagare eccessivamente i prezzi: vuole un capitalismo di massa (habeo ergo sum); (b) tale forma della domanda, In Europa ed America, influenza una tendenza centrista nelle offerte politiche sia della sinistra sia della destra, cioe’ la ricerca di un modello che riesca a bilanciare creazione capitalistica della ricchezza e sua diffusione sociale, ma la realizzazione di tale giusto mix appare ancora molto difficile da raggiungere; (c) infatti i dati mostrano che c’e’ uno scarto crescente tra la capacita’ potenziale del mercato di crescere e quella degli Stati di organizzare la societa’ per alimentare continuamente tale crescita e, di conseguenza, la realizzazione del capitalismo diffuso; (d) e che il gap e’ di tipo prevalentemente politico, cioe’ un difetto frenante degli Stati che non puo’ essere riempito dalle continue innovazioni dell’economia tecnica. In sintesi, il requisito di fondo che deve ispirare le nuove offerte politiche e’ il seguente: se si vuole ottenere la condizione di capitalismo di massa bisogna riorganizzare i modelli politici affinche’ risultino pilastri piu’ efficaci per sostenere la crescita continua del mercato. Questo ha bisogno di una leva politica espansiva. Poiche’ tutte quelle sperimentate dal solidarismo di sinistra hanno il difetto fondamentale di diffondere la ricchezza al prezzo di comprometterne la creazione, pare opportuno ricercare le nuove istituzioni per il capitalismo di massa facendo evolvere in direzione piu’ sociale l’impianto concettuale liberista che tale difetto certo non l’ha. Ma prima di vedere come, e’ necessaria una notazione tecnica di rilievo critico.

 

 2. Il vincolo della crescita continua. Il rischio generato dal gap politico corrente non e’ tanto quello che le societa’ evolute si spacchino tra ricchissimi e poverissimi, ipotesi relativamente remota se in forma cosi’ polarizzata. Ma che, pur in una situazione di ricchezza abbastanza diffusa, i meno abbienti non riescano a diventare ricchi con sufficiente velocita’ e che la classe media si appiattisca verso il basso. Nelle societa’ occidentali piu’ liberalizzate si nota, infatti, una crescita buona, ma che lascia la classe media piatta. In quelle a Stato sociale piu’ pesante si trova meno crescita ed una quantita’ maggiore di individui sottocapitalizzati e deboli. In tali condizioni, se perdurassero, l’economia planetaria non riuscirebbe ad espandersi a sufficienza per difetto di carburante sia umano sia finanziario nei paesi piu’ avanzati che la tirano e, rallentando, ripiegare e crollare. Preoccupazione esagerata? Per nulla. La nuova economia, e la piattaforma finanziaria che la sostiene, hanno una caratteristica peculiare, ancora non del tutto ben inquadrata negli ambienti di ricerca che la stanno esplorando. Da un lato, offre benefici di massa come mai nella storia. Dall’altro, richiede un prezzo: se si ferma, crolla tutto. L’anticiclicita’ potenziale della nuova economia non ha una sola direzione come qualche frettoloso ritiene, cioe’ lunghi periodi di crescita e solo brevi recessioni, ma due: se si ferma, prima di farla ripartire con la stessa capacita’ di creare ricchezza potrebbero passare decenni e chissa’ quanti brutti guai in mezzo. Quindi il nuovo vincolo e’: il mercato non cessi mai di crescere; non possiamo permetterci piu’ - lasciatemi semplificare cosi’ - il lusso di avere dei poveri in giro per il mondo.  Tale ipotesi, ricavata da un programma pluriannuale di scenari e simulazioni svolto dal mio gruppo di ricerca (Globis), e’ certamente da raffinare, ma appare gia’ sufficientemente robusta per trasformarla in vincolo realistico di progettazione strategica. In particolare, la nuova economia risulta cosi’ miracolosa perche’, in relazione a quelle del passato, e’ maggiormente capace di estrarre piu’ ricchezza da fattori immateriali, mentali ed aspettative  future. E di scontarla nel presente in forma di crescente capitale fungibile e diffuso. Ma tale ciclo virtuoso si chiude, momento per momento, solo se risulta credibile la promessa di espansione costante (e non inflazionistica). Proprio per questo motivo e’ necessario che la crescita si sviluppi sempre piu’ accelerata, diffusa, carica di innovazioni tecniche continue (fattore disinflazionistico) e, soprattutto, senza gravi cadute. In sintesi, la nuova economia (globale, della conoscenza ed altamente finanziarizzata) e’ drammaticamente piu’ vulnerabile ai punti di blocco di quanto lo sia stata la “vecchia”.  Una trappola, tipo se ti fermi muori? Certo. Ma non ci sono alternative, escludendo la gradevolezza di scenari neopauperisti, e dobbiamo giocare questa nuova partita storica. E per farlo si comincia ad intuire che serva con certa urgenza una robusta leva politica espansiva, cioe’ Stati riformati per reggere meglio il processo di crescita.

  Il punto critico, e’ utile ripeterlo per capirsi meglio, riguarda le societa’ piu’ evolute, cioe’ gia’ ricche. Sono circa una ventina, tra cui l’Italia pur esibendo questa sintomi di decadenza, che possono fare, in teoria, da locomotiva al resto del mondo nei prossimi quindici o venti anni, prima che i paesi emergenti affiorino sul serio. Se le prime non crescono di piu’ e prendono un assetto crescente costante, tutta la crescita globale e’ a rischio di contrazioni pesanti. Che ricadrebbero anche su quelle piu’ avanzate, impedendo il consolidamento del capitalismo di massa. Al momento solo l’America tira tutto il pianeta ed il suo motore si sta affaticando.

 

 3. Alleanza tra Stato e mercato.  La novita’ teoretica e pratica, e’ che non puo’ piu’ esistere un conflitto tra Stato (luogo di produzione e gestione delle garanzie) e mercato (luogo di generazione della ricchezza). E la conseguente poca disponibilita’ ideologica a capire quanto i due, invece, debbano allearsi ed integrarsi in modo complementare in una sinergia perfetta. Perche’ le analisi mostrano che proprio la mancanza di tale complementarieta’ e’ il principale motivo del gap detto sopra. Nei casi dove lo Stato pretende di creare ricchezza (socialdemocrazie) il mercato viene caricato di una missione ineseguibile, quella di fornire garanzie economiche. E per questo cresce di meno o nulla, soprattuto non si futurizza costantemente. Nei casi, d’altra parte, dove si cerca di attribuire al mercato la missione di diffondere la ricchezza si compie un altro tipo errore: il mercato capitalistico e’ uno stupendo creatore di opportunita’, ma non ha strumenti - o comunque insufficienti - per fornire alle persone le capacita’ di coglierle. Per esempio, nessuno si aspetta che il mercato finanzi direttamente i giovani  studenti affinche’ dopo venti anni questi diventino ottimi produttori e consumatori, cioe’ abbiano un valore di mercato e la capacita’ di riprodurlo in forma di ciclo espansivo. Sarebbe un investimento troppo remoto ed indiretto, finanziaramente inaccettabile. Per tale motivo il mercato non possiede tutte le facolta’ necessarie alla sua continua riproduzione. Ed  ha bisogno di un sostegno complementare che organizzi ed allochi le risorse con criteri diversi da quelli della remunerazione diretta e ravvicinata: una sorta di Merchant Bank che investa oltre l’orizzonte del mercato stesso (infrastrutture, sicurezza, legalita’, educazione di massa, risocializzazione dei deboli, ecc.). E questa la possiamo chiamare Stato. Definito come quel luogo di gestione di risorse utili al mercato che il mercato stesso non puo’ gestire all’interno dei propri criteri. In sintesi, Stato e mercato avrebbero, in teoria, missioni ben definite e perfettamente complementari: lo Stato deve garantire le condizioni indirette della riproduzione espansiva del mercato; il mercato deve occuparsi dei processi diretti di creazione della ricchezza. I problemi di gap derivano dal fatto che i modelli politici delle democrazie occidentali non riescono a definire con precisione le missioni specifiche dell’uno e dell’altro e, soprattutto, fanno fatica ad individuare l’interfaccia che integri le funzioni complementari tra Stato e mercato. Forse perche’ finora la sinistra ha avuto il monopolio del disegno delle garanzie, sbagliandole tutte, anche perche’ il pensiero liberista non ha voluto occuparsene, ancorato alla formula troppo generica che meno Stato c’e’ meglio e’. Cosi’ siamo in ritardo generale nel concettualizzare una leva politica espansiva economicamente efficiente e socialmente efficace.

 

4. Dalle garanzie sottrattive a quelle sommative. Manca uno “Stato della crescita”. Il punto principale di riforma riguarda le garanzie economiche che permettono la partecipazione di massa al mercato. Quelle evolute nell’ultimo secolo hanno tutte la forma di atti assistenzialistici o protezionistici finanziati attraverso una sottrazione di ricchezza diretta o indiretta al mercato. Vengono chiamate redistributive. Ma sarebbe piu’ preciso definirle come garanzie “sottrattive”. Perche’ l’atto redistributivo (vincoli sindacali, servizi pubblici, finanziamento pubblico diretto, ecc.) comporta una distruzione netta di ricchezza. In tale modello le garanzie hanno costi sproporzionati ai benefici. Soprattuto, le garanzie economiche finalizzate a salvaguardare il reddito di un individuo tendono a mantenerlo nella posizione sociale piu’ bassa, senza miglioramenti. Questo dato devastante, che si ricava dall’analisi delle prestazioni di tutte le varianti di Stato sociale e simili, dovunque,  suggerisce che la sottrazione di ricchezza netta debba includere anche le perdite di potenziale di capitale umano. In sintesi, la garanzia redistributiva e’ un fallimento e comporta un modello politico che soffoca la crescita e gli accessi di massa ad essa. Ma anche l’assenza di garanzie ha un effetto simile, pur per vie diverse. Concentra troppo la ricchezza rendendola meno fluida e mantiene troppo potenziale umano sottocapitalizzato. Quindi le garanzie diffusive gestite dalla politica devono esserci.

Ma e’ proprio la natura sottrattiva della garanzia redistributiva che impedisce il giusto mix. Perche’ si tenta di mettere insieme un “piu’” (il libero mercato) con un “meno“. Il risultato, appunto, e’ una sottrazione costante. Cio’ genera il problema di trovare garanzie positive, cioe’ un “ +” sul lato dello Stato che massimizzi il  “+“  intrinseco del mercato.

Tali garanzie positive devono assumere la configurazione di  investimenti. Per esempio, tolgo al mercato una quantita’ di ricchezza via drenaggio fiscale, ma gliela ritorno moltiplicata nel futuro. In tal caso la tassa, se non e’ di entita’ tale da distorcere immediatamente il mercato, non ha connotazione sottrattiva. E la garanzia diviene, appunto, un investimento. Cio’ introduce il problema di selezionare quali azioni di garanzia da parte dello Stato – e svolte come – hanno la proprieta’ di trasformarsi in investimenti, evitando di essere sottrazioni. Quelle di sicurezza e legalita’ vanno fuori dal calcolo e sono tassa comunque necessaria. Ma l’apparato burocratico, per esempio, e’ un costo inutile oltre una data scala (per altro correntemente superata di molto da tutti gli Stati). I protezionismi sindacali sono ancora peggio. C’e’ una categoria di garanzie pubbliche chiaramente non-sottrattive? Certo, a parte il settore dei macroinvestimenti infrastrutturali che puo’ essere valutato solo nelle contingenze, le risorse pubbliche (non necessariamente da gestire via apparati statali) spese per potenziare la capacita’ individuali di avere un reddito nel mercato, educazione e formazione continua, sono certamente degli investimenti positivi. Che, soprattutto, il mercato non riesce a fare in forme dirette. In tal senso la ricerca delle nuove garanzie non-sottrattive trova una risposta abbastanza semplice. La missione dello Stato e’ quella di organizzare le risorse formative, e loro dintorni, che permettono a tutti i cittadini di avere la competenza per accedere ad un valore di mercato. Ci sono altre missioni di garanzia positiva, ovviamente, che individuano il nuovo modello di Stato della crescita. Ma quella di investimento sul capitale umano e’ la principale perche’ riguarda la leva politica espansiva che determina maggiormente sia il piu’ elevato potenziale di crescita economica sia la configurazione di massa del capitalismo.

In concreto, si tratta di garantire che ogni cittadino si formi e si riformi continuamente al piu’ alto standard possibile. In tal caso la quantita’ di individui che avra’ bisogno di tutele assistenziali sara’ minima. E quei soldi che si spendono in tale investimento sul capitale umano ritornano moltiplicati in forma di crescita del mercato e di percezione che questa continuera’ nel futuro. Un guadagno netto. Se, invece, spendo poco per l’educazione dei giovani e tanto per assisterli perche’ il loro valore di mercato non e’ stato costruito bene, allora tutti abbiamo una perdita.  Si tratta solo di inserire il ciclo di formazione del capitale umano come massima priorita’ in un modello di Stato specificato come fornitore di garanzie positive, cioe’ di sostegno indiretto al mercato. Non e’, francamente, un concetto difficile. E contiene la possibilita’ di risolvere in forma espansiva (cioe’senza ricorrere a garanzie sottrattive) il problema di bilanciare creazione e diffusione sociale della ricchezza. Per un modello dettagliato basato su questo approccio si veda il mio libro “Lo Stato della crescita” (Sperling & Kupfer, 2000) ed altri materiali su: www.carlopelanda.com.

 

 5. Il problema di transizione. Ma non appare facile trasformare concretamente e velocemente gli Stati sociali esistenti, e quelli liberalizzati, in nuovi “Stati della crescita”. Ed e’ comprensibile. Non si tratta solo di “spendere qualche soldo in piu’ per la scuola”, come qualcuno sta banalizzando. Il nuovo modello implica una completa riallocazione delle risorse fiscali a favore di investimenti individualizzati di grande entita’. Perche’ la somministrazione – iniziale e continua nel resto della vita - di alti standard educativi a livello di massa implica l’impegno della maggioranza delle risorse pubbliche nell’ambito del criterio di ridurre al minimo possibile i pesi fiscali per favorire l’espansione economica. Per esempio, meno tasse e la maggior parte dei proventi pubblici indirizzati ad investimenti diretti, persona per persona, per costruirne la qualita’ economica significa cancellare la spesa statale in altri settori. Un incubo sul piano del consenso per il politico che deve gestire tale transizione. E forse per questo il concetto di investimento sul capitale umano come priorita’ delle garanzie pubbliche, pur sensato, non e’ ancora riuscito ad emergere pienamente nonostante i molti che da anni lo propongono e lo teorizzano. E’ troppo difficile cambiare l’esistente e quindi le nuove idee riformatrici restano nel cassetto. O passano, ma solo in forma debole e retorica, non come nuovo principio centrale - costituzionale, forte -  del nuovo Stato. E cosi’ la soluzione espansiva al problema di gap ancora non si vede nemmeno sulla carta perche’ il lato delle garanzie rimane sottrattivo (negli Stati sociali) o insufficiente (negli Stati piu’ liberalizzati), ambedue i modelli pericolosamente sottodimensionati per reggere l’espansione futura del mercato e la speranza di ottenere il capitalismo di massa.

Per sbloccare questa situazione di impasse sara’ necessario specificare meglio gli aspetti tecnici del nuovo modello di Stato a cui si puo’arrivare. I problemi di transizione, infatti, possono essere molto attutiti dalla chiarezza e consenso su quello che si puo’ avere nel futuro. Spero di aver dato qui i motivi di urgenza ed alcune linee guida per stimolare un concorso di idee utile a delineare le nuove istituzioni politiche per la crescita.