Cresce il rischio di
dissoluzione dell’euro
Di Carlo Pelanda (27-4-2010)
Un numero crescente
di ricercatori ed osservatori prevede la dissoluzione dell’euro, alcuni – per
esempio Mario Deaglio,
Università di Torino, in un intervista a Radio 24 - perfino profetizzandola
entro cinque anni. Il mercato finanziario chiede un premio verso il 10% per
comprare titoli di debito sovrano greco, segnalando in tal modo che ne teme
l’insolvenza, almeno parziale. Weber, Presidente della Banca centrale tedesca e
componente del direttivo della Bce dichiara, con sorprendente incoscienza visto
il ruolo, che c’è un rischio di contagio da parte del male greco alla Spagna,
Portogallo ed altri, tra cui noi pur non citati. Dove per contagio si intende
che il mercato sarà più reticente nel comprare titoli di debito pubblico in
euro e vorrà più interessi, alla fine rendendo insostenibile il loro peso e
costringendo gli Stati più indebitati a dichiarare l’insolvenza. Tali eventi di
“default” a catena renderebbero l’euro carta straccia. Ma, pur scendendo,
il cambio euro/dollaro non sconta ancora
uno scenario catastrofico. Cosa dovrebbero pensare i lettori di fronte a questi
dati contradditori?
La profezia di
dissoluzione dell’euro ne accompagnò la nascita nel 1999. Una folta schiera di
economisti tedeschi si rivolse alla Corte costituzionale per bloccare l’euro
sostenendo che non era possibile applicarlo ad economie deboli e disordinate e
che se fosse stato fatto la Germania avrebbe perso stabilità monetaria. Il
Prof. Feldstein,
docente ad Harvard, profetizzò il crollo dell’euro entro un decennio.
Anche io scrissi, dal 1996 al 1999, per avvertire che l’euro non sarebbe stato
sostenibile con la formula di applicazione proposta (e mi beccai l’etichetta di
euroscettico). Qual è il problema principale? Non ci può essere moneta unica se
non c’è un governo dell’economia unitario. Nell’Eurozona ci sono economie forti
e deboli e forti, ma con un debito che ne deprime la crescita, come l’Italia.
La stessa moneta può essere applicata a tutti solo se c’è un centro di politica
economica europeo capace di compensare gli squilibri tra i partecipanti via
compensazioni. Se non c’è, il sistema salta. Tale problema non si può risolvere
solo imponendo agli Stati la disciplina
di bilancio. Paradossalmente, tutti erano e sono d’accordo su questo punto.
Infatti la dottrina dell’euro, nel 1997 (Trattato di Amsterdam) fu: cominciamo
a farlo e poi per necessità tutte le nazioni dovranno accettare il governo
unico europeo dell’economia o se no la moneta crollerà. Ma le nazioni, Germania
in testa, non hanno voluto sostenere l’integrazione monetaria con quella
politica. Ed è per questo, in sostanza, che l’euro è nei guai: non ha
“patrimonio politico”. Il mercato non sconta ancora la dissoluzione dell’euro
perché ritiene che, di fronte all’emergenza evidente, alla fine i governi
accetteranno di convergere per dare all’eurozona un sistema di bilanciamento
che aiuti le economie deboli o più indebitate a restare nell’euro stesso. Per
esempio: (a) europeizzazione con garanzia rafforzata dei debiti nazionali in
euro; (b) compensazioni ai Paesi deboli oppressi dalla moneta forte, cioè
dall’impossibilità di svalutare per aggiustarsi; (c) cambiamento dello statuto
della Bce affinché possa usare la politica monetaria non solo contro
l’inflazione, ma anche per stimolare la crescita, per esempio rendendo più
competitivo il cambio. Ma il primo caso
di vera emergenza che richiedeva convergenza, quello greco, è stato affrontato
con divergenza totale tra gli eurogoverni, Germania
per le sue. Cosa pensare? Alla fine l’euro verrà salvato, ma del come non c’è
ancora segno.
PS Ehi Esarcato,
sottovoce: pare che Fregni si sia finalmente deciso,
dopo mesi, ad invitarmi a presentare il libro “Formula Italia” dalle vostre
parti. Ma deve avere qualche problema a trovare un luogo che possa ospitare un
bestione come me. Il club marinaro è pericoloso perché non potrei evitare
sfottò di marineria triestina (austroungarica, ricordate Lissa:
cuori di ferro su navi legno..) nei confronti di quella locale. Forse un
Rotary, ma le mie irriverenze libertarie potrebbero fargli percepire un
rischio. Pare che la Voce non sia in grado di organizzare una conferenza
(sfottetela). Insomma, questa volta Fregni c’è, ma il
luogo no. Sottovoce, ragazze audaci soprattutto, inviate suggerimenti.