San Export salverà
l’economia italiana
Di Carlo Pelanda (25-5-2010)
Mentre siamo in
attesa di conoscere in dettaglio le misure di riequilibrio dei conti pubblici
dovute alla priorità di contenere il debito, e di capire se la crisi dell’euro
troverà un argine, dobbiamo portare l’attenzione sugli andamenti dell’economia
reale. Alla fine sarà la quantità di crescita del Pil che determinerà il
successo o meno, nonché l’intensità dell’impatto, di un rigore contabile più
stringente. Su questo lato le notizie sono buone sia per l’Italia sia per
l’Eurozona.
La domanda globale
si è rimessa in moto da qualche mese e sta trainando l’export delle aziende
italiane in quantità superiori al previsto. Il segnale è ottimo perché indica
che la crisi recessiva 2008-09, proprio della domanda globale e dell’export,
non è stata così lunga da distruggere le nostre capacità nazionali. Ma è anche
buona notizia per le entrate fiscali e, in generale, per il bilancio pubblico.
Verrà creato più gettito Iva, vi sarà ripresa dell’occupazione, pur lenta, ma
una più veloce chiusura del regime di cassa integrazione, almeno per una parte
dell’industria italiana. La ripresa della fiducia, poi, aiuterà la tenuta dei
consumi interni. E’ presto per riportare questa tendenza alla stima della
crescita del Pil italiano nel 2010, ma, ad occhio, dovrebbe arrivare sopra
l’1%, oltre la previsione corrente che lo vede salire solo tra lo 0,5 e lo
0,7%. La ripresa dell’export italiano, nei mercati esterni all’euro, è iniziata
prima della caduta del valore di cambio dell’euro stesso nei confronti del
dollaro e dello yuan cinese. Se l’euro resterà “basso” per qualche tempo non è improbabile che la crescita
italiana trainata da un export più competitivo sul piano valutario arrivi al 2%
e un po’ oltre. Anche perché la Germania, che importa molte componenti
italiane, esporterà di più e “spedirà” turisti più contenti di spendere nel
Belpaese. Come qui sostenuto in precedenza, la svalutazione competitiva
dell’euro è l’unica misura immediata per accelerare la ripresa dell’economia
europea incapace di crescita interna per l’inefficienza e rigidità dei suoi
modelli nazionali. Certamente la crescita pompata solo dall’export non è sana,
ma se in altri modi non è possibile, per intanto, benvenga.
Ed è conseguente spingere per una svalutazione competitiva dell’euro – ad un
livello che però bilanci il rischio di importare inflazione eccessiva - che duri almeno un triennio. Ridurrebbe di
molto l’impatto deflazionistico (impoverente) delle misure di necessario
rigore. Ma è anche realistico chiedersi quali fattori “qualitativi” possano
incrementare ancor di più le esportazioni italiane nell’area non-euro. Le
imprese italiane stanno aumentando la loro penetrazione di mercato non solo in
Asia, ma anche nell’area del Mediterraneo. In Libia, Egitto, Marocco, Tunisia,
Algeria – per inciso, complimenti al Consutel Group
di Vicenza per aver conquistato il megaprogetto di comunicazioni a banda larga
in quel Paese, prova che le piccole aziende italiane sanno gestire grandi
operazioni – e nei Balcani oltre che in
Turchia e Russia, sta aumentando la presenza italiana sia per iniziative
intelligenti degli imprenditori e delle loro associazioni sia per un
silenzioso, ma efficacissimo, lavoro di sostegno diplomatico da parte del
governo e dei sistemi di assicurazione del credito all’export, quali Sace e Simest. Si tratta di
continuare su questa strada: sistema Paese a competitività crescente combinato
con una politica che crei un mercato Mediterraneo sempre più fluido. Sarà la
soluzione esterna ai problemi interni, spingiamola di più.