I tagli vanno
gestiti in modo strategico e non tattico
Di Carlo Pelanda (20-7-2010)
La crisi di fiducia sul debito e sull’euro,
scatenata dal caso greco, ha costretto il governo, in poche settimane, a
dimostrare al mercato che l’Italia avrebbe saputo contenere con megatagli i
deficit annui e, pertanto l’aumento del debito cumulato. Al momento i calcoli
fanno ritenere che 25 miliardi tra decurtazioni e nuove entrate, nel 2011 e
2012, possano bastare. Ma, sottovoce, molti, tra cui la Banca d’Italia, temono
o prevedono che bisognerà arrivare in pochi anni alla situazione di pareggio di
bilancio, cioè di deficit (quasi) zero annuo, perché diventerà un requisito
europeo imposto dalla Germania per rendere solido l’euro. Berlino, per legge
costituzionale varata nel 2009, lo applicherà dal 2016 in poi nel bilancio
federale e dal 2020 a quello degli enti locali. “Deficit zero” significa non
poter più contare sul margine di indebitamento annuo dello Stato entro la
soglia del 3% del Pil, che per l’Italia significa circa 45 miliardi. Inoltre un
debito pubblico ottiene fiducia e minori costi di rifinanziamento non solo se
non aumenta, ma, soprattutto, se aumenta la crescita del Pil. Pertanto il
criterio di deficit zero va calcolato inserendo anche la riduzione delle tasse.
Il che significa dover tagliare dai 40 agli 80 miliardi, probabilmente 60 oltre
a quelli già previsti, di spesa strutturale. Tale cifra implica un grande
cambiamento di modello economico e dobbiamo valutare come il governo dovrà
gestirlo.
La prima reazione
del governo alla necessità di tagliare di più e prima del previsto è stata
disorganizzata. Lo ha rilevato il Sottosegretario alla Presidenza del
Consiglio, G. Letta, con un duro rimprovero al Ministro dell’Economia,
Tremonti, per aver sostituito con atto di imperio, sostenuto da un linguaggio
ricattatorio “o così o insolvenza dell’Italia” la funzione di coordinamento del
Primo ministro. Con questa posizione Letta ha voluto rimarcare che tagli di
spesa così pesanti hanno bisogno di un processo articolato di studio e
condivisione con chi è oggetto di decurtazione. Per esempio, ogni Regione deve
avere il tempo per rappresentare il proprio modello economico specifico per
capire come riorganizzar la spesa. Così non è successo. Da un lato, esistono
motivi d’emergenza per semplificare la complessità politica. Dall’altro, non si
può governare a frustate perché poi la “bestia” si ribella. In particolare non
lo si potrà se sarà necessario tagliare di più. Da notare, poi, che Tremonti ha
portato Berlusconi a sostenere presso la Ue una posizione politicamente debole: il debito di una nazione va calcolato
sommando quelli pubblico e privato. In Italia il secondo è minore e ciò
renderebbe la sua posizione meno grave,
comparata con altri. Ma il debito pubblico è un oggetto preciso e non si
scappa. Quando la Commissione Ue lo ha rimarcato, ironizzando, l’Italia ha
fatto la figura di chi vuole svicolare proprio in un momento in cui ha la
priorità di dimostrarsi credibile. I guizzi di genio non funzionano in questa
materia. Inoltre serve strategia e non solo tattica. L’obiettivo dell’Italia è
convincere il mercato che metterà i conti in ordine aumenterà la crescita. Non
è necessario farlo realmente, per dire, in 5 anni rischiando la
destabilizzazione. Quello che è importante è rendere credibile il percorso e
l’esito finale in modo da adattare i tempi di esecuzione alle reali
possibilità. A me sembra che l’attuale conduzione economica sia troppo tattica
e perfino isterica. Per questo ne raccomando una più carica di competenza
strategica, coordinata dal Primo ministro via un ufficio speciale che includa i
Presidenti di Regione ed una rappresentanza dei sindaci.