Nessun
riconoscimento all’orgoglio islamico
Di
Carlo Pelanda (7-3-2006)
Il caso Calderoli
riguarda una questione generale e non solo personale: dove mettiamo il confine
alle pretese dell’estremismo islamico?
L’ex
ministro ha sbagliato ed è stato sanzionato. Ma
quando Ayman al-Zawahiri
ha citato Calderoli entro un messaggio di minaccia,
l’opinione pubblica italiana ha, per lo più, trattato la cosa come cronaca
minore, in alcuni casi perfino irridente. Lasciando così
intendere che dopotutto Calderoli se la è cercata.
Questo messaggio è pericolosissimo perché segnala non solo ai terroristi, ma
anche agli strateghi dell’espansionismo islamico che studiano
l’Italia, la nostra predisposizione a cedere di fronte al radicalismo
musulmano ed alla violenza. Cosa che li incentiva ad
aumentare la pressione ricattatoria. Per questo motivo di interesse
nazionale la risposta giusta, tra noi, sarebbe dovuta essere: “Calderoli
ministro lo abbiamo criticato, ma difenderemo con tutti i mezzi il diritto di
espressione del Calderoli cittadino”. Al
terrorista Zawahiri la stampa avrebbe dovuto dire:
“tocca un italiano, li tocchi tutti”. Ai fondamentalisti,
sulla questione delle vignette: “ non vi daremo mai il riconoscimento in
quanto islamici che pretendono la superiorità della religione sopra
la Costituzione
, questo è il confine”. Ma tali giuste risposte
non sono venute, probabilmente perché non è ancora chiara la strategia
islamica di ricerca del riconoscimento. Questa viene
perseguita da quattro diversi attori: (a) i gruppi fondamentalisti
entro l’area a prevalenza musulmana cercano il riconoscimento del codice
spiritualista contro quello secolarizzato che si è aperto alla cultura
materiale; (b) gli jihadisti usano il terrore per
far riconoscere al mondo, pena un danno inaccettabile, il diritto di esistenza
di uno Stato basato sull’intepretazione rigorista
del Corano (Califfato); (c) gli espansionisti non jihadisti,
connessi al primo gruppo, perseguono una strategia più graduale per far
riconoscere il diritto delle comunità musulmane a praticare le proprie regole
indipendentemente da quelle dei Paesi ospitanti; (d) l’effetto combinato dei
primi due gruppi produce un’ondata destabilizzante che costringe i leader dei
regimi islamici moderati a chiedere alla comunità internazionale più
riconoscimenti alle ragioni dei musulmani radicali per cercare di contenere la
guerra civile intraislamica, assecondandoli. Tale
richiesta è stata accettata dalle democrazie occidentali nella convinzione che
un po’ di concessioni e di politica del rispetto soddisfacesse l’orgoglio
musulmano a sufficienza per calmarlo. Ma ora sta emergendo il dato realistico
che tale politica della “spugna” non sta funzionando: i riconoscimenti, il
“dialogo”, ecc., invece che sedare eccitano
sempre di più l’estremismo rigonfiandolo di adepti e di maggiori pretese.
Tale fenomeno è recente ed è quindi comprensibile che non sia ancora stato
colto a livello di commentatori sui media. Inoltre i
governi occidentali sono parzialmente spiazzati: capiscono che dovranno
arginare l’ondata fondamentalista
musulmana con metodi più duri, ma alcuni ancora sperano che si spenga da sola,
altri sono vincolati da priorità diplomatiche concretissime, tutti preoccupati
di non fare mosse false fino a che è massimo il rischio di una crisi pesante
con l’Iran. Questo, per inciso, uno degli attori che preme
per farsi riconoscere come potenza leader dell’islam. Il punto: proprio
la strategia di concedere, pur piccoli, riconoscimenti all’orgoglio islamico
per sperare di sedarlo si è dimostrata controproducente. Ogni concessione è
stata interpretata, anche da chi fondamentalista non
è, come una vittoria che ne chiama una maggiore, in un processo autoamplificantesi.
Questo è esattamente il fenomeno che dobbiamo interrompere ponendo un confine
netto al riconoscimento possibile. I governi europei dovranno operare con
necessaria prudenza, ma sulla stampa possiamo e
dobbiamo dire chiaramente: nessun riconoscimento all’islam fondamentalista,
nessuna concessione all’orgoglio musulmano oltre il dovuto diritto
costituzionale di libertà religiosa, mai. Per questo Calderoli,
ora, va difeso da tutti noi.
www.carlopelanda.com