Gli equivoci degli “asini” ulivisti
Di Carlo Pelanda (14-5-2006)
Il problema economico principale dell’Italia sono le idee sbagliate o asservite sull’economia prodotte dal corpo grosso che domina la comunicazione in materia.
Su queste
pagine avevamo ipotizzato fin dal 1996 l’effetto impoverente di un euro maldisegnato che poi si è avverato.
In quegli anni il corpo grosso dei commentatori italiani, tutti di sinistra,
additò me, Antonio Martino, Giulio Tremonti come euroscettici delegittimando a priori le nostre analisi.
Quando nel libro “Il Fantasma della povertà” del 1995 Tremonti
ed io anticipammo i fenomeni di crisi competitiva oggi
evidenti a tutti, il medesimo corpo grosso li negò o li irrise perché
implicavano un cambiamento sostanziale del welfare. Infatti nel 1996 Prodi condusse la campagna elettorale
promettendo che non sarebbe stato necessario cambiare modello e che ogni
problema di globalizzazione sarebbe stato risolto
dall’euro. Errore terribile. Ma il corpo grosso non lo
criticò. Chi lo fece - noi che in tanti qui lo scrivemmo –
trattati come paria. Quando Tremonti,
dal
Non lo so, suggerite, ma ritengo debba diventare oggetto di dibattito la inaccettabile bassa qualità tecnica ed immoralità di chi domina l’opinione pubblica in economia. In particolare, l’effetto devastante prodotto dagli economisti e commentatori di sinistra è quello di far credere a tanti, troppi, lettori e telespettatori che sia possibile creare e mantenere la ricchezza con alte tasse, mercato del lavoro rigido, in generale con l’apparato di modello quasi sovietico che ci ritroviamo. Da un lato, è certamente possibile mantenere tecnicamente in vita tale modello, ma al prezzo di perdere ogni anno quote di ricchezza non più rinnovabile. In sintesi, gli economisti e cantori di sinistra imbrogliano la gente certificando l’illusione che la possibilità di rallentare la decadenza di un sistema economico equivalga ad una sua buona gestione. Non è vero, non è possibile. Ed ora un governo di sinistra si appresta a trasformare in misure concrete l’idea di conservare la forma inefficiente del welfare, peggiorandola. Con la complicazione di un regime persecutorio per quella parte d’Italia (Nord e Adriatico) che crea ricchezza tirando il resto che non lo fa. Il punto: tali errori ed orrori sono stati già fatti dal 1996 al 2001 e l’Italia economica è sopravissuta, pur a fatica, ma ora è improbabile che la nostra economia riuscirà a sostenerli senza soffrire danni irreparabili perché le condizioni esterne sono più stringenti. Abbiamo meno spazio per errori. E c’è un’opinione pubblica rossificata in materia economica che non sa o non vuole segnalarli, favorendoli per deficit di critica e conformismo compiacente. Per questo chiedo agli economisti e ricercatori di scuola realista e razionale di uscire dal silenzio, di superare la paura di andare contro il corpo grosso ed il suo potere, di avere coraggio. Senza qualificazione della cultura economica e della sua comunicazione non potremo difendere e, poi, riformare l’economia reale.