Non sono insulti ma fatti
Di Carlo Pelanda (15-12-2006)
Nell’ambito di un seminario ho definito incompetente ed irresponsabile la politica economica del governo. Un’economista governativo mi ha sfidato ad esplicitare cosa avrei fatto io nelle, secondo costui, spaventose condizioni ereditate. Accetto volentieri perché chi critica deve dire esattamente cosa farebbe di diverso
Nel luglio
del 2006 avrei messo in priorità il cercare di evitare il declassamento del
debito. Anche perché se questo si fosse combinato con
la tendenza all’aumento dei tassi, annunciato dalla Bce,
la sostenibilità del costo degli interessi sarebbe diventata difficile. Per
riuscirci avrei rilanciato un programma urgente di vendite o cartolarizzazioni del patrimonio pubblico per segnalare che
c’era l’assoluta volontà di invertire la tendenza alla crescita del debito,
abbattendone una pur piccola quantità. Non sarebbe bastato. Bisognava anche
convincere il mercato che l’Italia sarebbe diventata capace di fare più Pil contenendo la spesa e quindi di destinare più “avanzo
primario” annuo alla riduzione della montagna debitoria.
In base alla priorità detta avrei indicato nel Dpef
che le tasse ed altri pesi depressivi non sarebbero aumentati nella successiva
stesura della legge finanziaria. Sarei stato abbastanza tranquillo nel fare
così perché, in estate, stavano arrivando i dati che confermavano una crescita
robusta e, soprattutto, un sorprendente aumento del gettito fiscale. Da questi
dati, con un’appropriata simulazione, si poteva già inferire che la quantità di entrate complessive in più del previsto sarebbe stata,
alla fine dell’anno, attorno ai 30 miliardi. Ora è stimata in circa 38. Avrei
comunicato questa anomalia positiva e calibrato la
finanziaria in attesa della sua conferma. Con la ciccia in più, calcolabile già
ad ottobre, avrei affrontato con serenità la mazzata dovuta alla sentenza della
Corte di giustizia europea in merito al regime Iva sulle auto aziendali, il
problema di copertura della cassa urgente e quello di contenere il deficit sotto
il 3%. In sintesi, sostengo che tale politica ci avrebbe
forse salvato dal declassamento del debito, tenuto i conti quadrati,
evitato tasse e reso lo sviluppo più credibile. In particolare, avrei fatto di
tutto per caricare di fiducia il ceto produttivo dandogli il motivo per
investire di più nel futuro e consumare oggi. Classista borghese? No, avrei
applicato la teoria che “il mercato da ricchezza e lo Stato garanzie”, non
viceversa, e che Pil e gettito crescenti sono le condizioni necessarie per servire gli interessi di
tutti. Non avrei certamente punito i contribuenti più attivi trattandoli come
criminali e aumentando i loro carichi proprio nel momento in cui mi davano 2
punti e mezzo di Pil di gettito inaspettato. Avrei ringraziato Tremonti per aver lasciato il giusto avvio di un buon
contratto fiscale, minima disoccupazione, conti sostanzialmente in ordine e,
anche se un governo la influenza poco, l’economia in crescita. Con ancora molto da fare, ma anche con molto già fatto pur negli anni
sfortunati 2001-2004. Il governo Prodi, invece,
ha inventato un buco che non c’era, ha alzato le tasse senza motivo se non
quello di ingrassare sindacati e parassiti, ha varato misure depressive e
repressive che minano la fiducia del mercato, altre inutilmente confusionarie
come il trasferimento del Tfr, troppe contro un ceto
e a favore di un altro. In particolare, non ha messo in priorità il debito e si
è beccato il declassamento con grave danno per la credibilità
ed i conti dell’Italia. Rispetterà almeno gli europarametri
nel 2007?