Servono
privati visionari per evitare la stagnazione del settore spaziale pubblico
Di
Carlo Pelanda (15-9-2009)
Dalla sua
nascita (1998) questa rubrica è preoccupata dalla stagnazione, in occidente,
dei progetti finalizzati a costruire insediamenti nello spazio extraterrestre.
Per tre motivi: (a) il rubricante crede – strategia degli esodestini - che l’unica speranza
di salvazione in vita degli umani sia la loro biotrasformazione, tra migliaia
di anni, ma che ciò sarà possibile solo uscendo dai limiti ecologici del
pianeta; (b) se l’occidente non si muove, la Cina emergente prenderà il controllo dello spazio
esterno e dell’orbita annullandone la superiorità strategica nell’arco di 30-40
anni, scenario inaccettabile di sconfitta del capitalismo democratico da parte
di quello autoritario; (c) l’Italia ha un’industria spaziale molto evoluta che
ne è fattore di ricchezza, a rischio se i programmi europei ed americani
restano vaghi e sottocapitalizzati. Entro ottobre Obama dovrà decidere una
politica spaziale in base a cinque opzioni fornite
qualche giorno fa dalla Nasa, esoagenzia leader dell’occidente. Sarà rilancio o
regressione?
La Nasa ha preparato le opzioni con realismo. Si nota il tentativo di salvare gli
investimenti già fatti sia in termini di continuazione del programma avviato da
Bush nel 2004 (sostituire i vecchi shuttle con una nuova nave spaziale e
tornare sulla Luna nel 2020)
sia di miliardi spesi per finire la Stazione spaziale
internazionale combinandoli con le restrizioni di bilancio e senza rinunciare
ad esplorazioni nello spazio profondo. Ma manca una
visione che concentri sforzi e risorse verso un obiettivo ambizioso. Non sarà
certo Obama a darla perché ha priorità più terrene. Pertanto
è prevedibile che la stagnazione dei programmi americani continuerà. Quelli
europei sono altrettanto frammentati e senza temi forti. Quindi
il settore stagnerà e sarà colpito dai tagli di bilancio. Come invertire tale
tendenza che pregiudica i tre interessi sopra espressi? Il rapporto della Nasa
fa una interessante apertura al coinvolgimento dei
privati nei programmi spaziali. Tale idea potrebbe essere allargata e fornire
una chiave di sblocco? Bisognerebbe rispondere alla domanda
di come un privato può fare profitto in un esomercato e quanto in
relazione all’investimento certamente grande per
praticarlo. Turismo spaziale? Bah. Costruire industrie nello spazio per fare
prodotti non fattibili sulla Terra o per rischiosità o per problemi di gravità?
Qui il punto. Se lo si trova, molto dell’investimento
già cumulato per le tecnologie spaziali potrà essere trasferito ai privati
rendendo fattibile per loro il salto. Piacerebbe con queste parole stimolare
qualche geniale imprenditore italiano.
Carlo
Pelanda