La competizione per conquistare l’Africa potrebbe aiutarla

 

Di Carlo Pelanda (13-10-2009)

 

 

Fino al 2006 gli scenari relativi al futuro dell’Africa erano negativi. Catastrofici quelli relativi all’area subsahariana, con previsione di degenerazione perfino del ricco Sud Africa governato da una maggioranza nera. Stagnanti quelli relativi all’area settentrionale musulmana. I dati confermavano il pessimismo: 20 paesi devastati da guerre, persistenza della cultura magica incompatibile con lo sviluppo nell’area nera, profilo epidemiologico da incubo nella zona equatoriale, malgoverno dappertutto. Oggi questa realtà non è cambiata, ma si è invertita la profezia: l’Africa è percepita come luogo di futuro sviluppo. Perchè?  

Certamente l’Africa subsahariana è diventata oggetto di maggiore interesse da quando la Cina ne ha conquistato una parte mirando al controllo delle materie prime e approfittando del fatto che America ed Europa, con l’eccezione, ma limitata, della Francia, non la presidiavano. Nel 2007 una pletora di dittatori andò a Pechino per siglare il seguente contratto: accesso privilegiato ai cinesi per lo sfruttamento delle risorse naturali in cambio di soldi e protezione politica. Un collega africanista –  già amareggiato per l’impossibilità di salvare i cristiani perseguitati nel Darfur a causa del sostegno cinese al Sudan che inibiva l’intervento degli occidentali -  commentò l’evento in modo scorretto, “il bongo ha fatto bingo”, ma efficace. I paesi cinesizzati, infatti, stanno migliorando, un po’, i numeri economici e i loro dittatori la robustezza del regime. Il punto: l’aumento di rilevanza delle materie prime ha scatenato una nuovo competizione tra potenze per il controllo geopolitico delle risorse. La Cina ha fatto la prima mossa, usando un metodo intelligente di colonizzazione: comprare i ras locali, non mischiarsi nelle beghe, ma controllare direttamente il processo economico di interesse inviando imprese capaci di farlo. Da qualche tempo c’è una reazione americana e francese per contenere l’espansione di Pechino che dovrà usare un metodo simile. La competizione neocoloniale comporterà più investimenti e la necessità di dare maggiore ordine politico al continente. Anche l’area islamica settentrionale dovrà entrare nella partita, Libia e Marocco già proiettati a sud. Da questa movimentazione del continente è scaturito il linguaggio che vagheggia i futuri Stati Uniti d’Africa e un destino economico positivo. Fuffa al servizio di fini neocoloniali? Certo, ma segnala che c’è un ingaggio neocoloniale delle potenze in Africa con un metodo di investimento e non solo predatorio. L’Italia si sbrighi ad entrare nel business usando i buoni rapporti con egiziani e magrebini.   

Carlo Pelanda