C’è una relazione tra boom dell’India e sua cooptazione nel perimetro occidentale
Di Carlo Pelanda (13-2-2007)
Come mai
l’India è passata in poco tempo dallo sviluppo lento a quello rapido?
Certamente la globalizzazione ha trasformato la
povertà in fattore competitivo e quindi in capitalizzazione.
Ma fino al 2004 andava pianino perché la crescita, oltre che dalla mancanza di infrastrutture, era limitata da una democrazia funzionante
di eredità britannica in una società
dove 1/3 della popolazione era ceto modernizzante ed il resto bloccato da
tradizionalismo ed assistenzialismo. Da un lato, fin dagli anni ’90 l’India ha
mostrato capacità
autonome di progresso, ma dall’altro questo era meno veloce dei ritmi economici
impressi in Cina dalle sue élite neoimperiali. Nel
2005 una parte del mercato si accorse che lo stellare sviluppo cinese generava
troppe sovracapacità, che non era trainato dalla
tecnologia, ma dalla competitività sleale valutaria e sociale, che era drogato da investimenti stranieri diretti giustificati da
profezie più che da analisi razionali e che era una bolla destinata a
sgonfiarsi. Inoltre i partner cinesi spesso non erano affidabili, le tutele
giuridiche vaghe. Tale sensazione spostò parecchi attori del business globale, tra cui la
Fiat, dalla Cina all’India con sviluppo trainato dalla
tecnologia, dotata di credibilità legale e socialmente stabilizzata dalla democrazia.
Ma la sensazione fu solo in parte spontanea e molto di
più indotta. L’America si accorse che l’India era un alleato
chiave per contenere il potere
cinese in Asia, per isolare la vocazione nucleare dell’Iran che New Dehli sosteneva per co-interessenza e per tenere calmo il
Pakistan. Ma non era possibile un’alleanza esplicita
per la persistenza nel sistema politico indiano sia di un forte nazionalismo, a
destra, sia della posizione di non-allineamento, a sinistra. Pertanto qualche
stratega decise di dare all’India dei benefici incentivanti per via silenziosa:
sabotaggio comunicativo riservato dell’attrattività
cinese ed esaltazione di quella indiana, accesso al
business globale per élite indiane, fine delle
sanzioni di fatto accese a metà degli anni ‘90 per il riarmo nucleare non
concordato, “sussurri” al mercato di investire in India. Questo fatto geopolitico è il turbo del boom. La Cina
reagisce con seduzioni all’India, ma questa sarà cooptata nel G8 e Pechino no (vedi:
www.lagrandealleanza.it). Giuseppe, ti offro questa intelligence per riparare
ad una citazione, credimi giocosa, che mi dicono ti abbia infastidito. Ma
ammetti che a Prodi spiegate tutto e gli fate fare
bella figura a New Dehli mentre a D’Alema dite meno lasciandolo sollecitare, poverino, affari italo-cinesi mentre il business è in India.
Carlo Pelanda