L’Europa
ci aiuti a salvare 40mila posti di lavoro
Di
Carlo Pelanda (20-2-2006)
Oggi è
un giorno cruciale per il settore della produzione di polli. Sono in gioco circa
40.000 posti di lavoro, tre volte tanto se si considera l’indotto, messi a
rischio da un calo dei consumi dovuti alla paura irrazionale di contrarre, via
alimentazione, il virus H5N1, cioè l’influenza
aviaria. Cosa serve? Una serie di misure speciali di
sostegno, da parte dello Stato, che permettano ad aziende e lavoratori del
settore di sopravvivere fino a
quando la gente si accorgerà che la paura è totalmente immotivata e
riprenderà a comprare i polli. Il problema è che tali aiuti sono vietati dalle
regole della Unione europea. Per un buon motivo, in
teoria: nel mercato unico europeo vi devono essere regole eque di concorrenza
senza privilegi per alcuno. Ovviamente tale regola può e deve essere violata in
casi eccezionali. Ma il sistema europeo non precisa
bene le deroghe ammesse. Quindi bisogna negoziare
caso per caso. Ed oggi i ministri Alemanno e Storace
tenteranno di ottenere dalla Commissione europea lo spazio per poter aiutare
sostanzialmente il settore temporaneamente in crisi. Questo articolo ha lo scopo
di segnalare a Bruxelles che l’opinione pubblica, specialmente delle zone del
Nordest più colpite di altre, sta con i lavoratori a
rischio e vuole preservare un settore agroalimentare
che è di rilevanza strutturale per la nostra economia.
Personalmente,
ed in base ai primi segnali, non credo che
la Commissione
europea farà troppe storie. Vi sono dei precedenti di deroga alla regola di
concorrenza con permesso di aiuti speciali nazionali,
tra cui quello della “mucca pazza” nel 2000. Ma c’è il rischio che
la Commissione
conceda una deroga troppo ristretta. Mentre
per gestire con successo l’emergenza le autorità italiane devono essere
libere, pur in collaborazione continua con Bruxelles, di fare quello che serve,
giorno per giorno. Non solo. Ci vorrebbe un maggior impegno dell’Unione
europea nel produrre standard di sicurezza che poi rassicurano
i consumatori. Cosa che potrebbe fare in due modi: (a) lanciando un programma più
ampio di monitoraggio, prevenzione ed informazione in
relazione alla diffusione dell’influenza aviaria nel mondo animale; (b)
aiutando la certificazione di assoluta sicurezza dei prodotti alimentari. Va
detto che l’Italia è all’avanguardia al riguardo di ambedue i punti. La
filiera produttiva che porta la carne di pollo negli scaffali dei negozi è la
più controllata e certificata del pianeta. Ma,
probabilmente, un bollino blu europeo integrativo potrebbe aiutare a rinforzare
la certificazione italiana. Va detto, per altro, che sembra uno scherzo di
carnevale il fatto che proprio nell’Italia campione di sicurezza alimentare si
verifichi un problema di fiducia in materia. Anomalia amplificata dal
fatto che in altri luoghi d’Europa, dove ci sono ritrovamenti di volatili –
allo stato libero – contaminati dallo H5N1
non si osserva un calo di consumi dei polli. Tale stranezza ci suggerisce
lo scenario più probabile: evidentemente in Italia è capitato quello che gli
studiosi delle emergenze chiamano una “catastrofe comunicativa”, cioè
l’affermarsi di un’idea di pericolo senza cause reali. E la letteratura di
ricerca mostra che ciò può avvenire per errori di comunicazione da parte dei
media o delle autorità. Ma, se così,
possiamo ben sperare: le catastrofi comunicative colpiscono duro, ma per breve
tempo. Perché ad un certo punto la gente torna alla realtà
vedendo che il pericolo è inesistente. Quindi si tratta di aiutare il
settore per qualche mese in attesa di una
normalizzazione che può dirsi certa. E’ una richiesta razionale e sarebbe
incomprensibile se
la Ue
la rifiutasse o la limitasse.
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