L’eventuale
espansionismo iraniano sarebbe contenibile solo dai paesi arabi e da una indicibile sorpresa
Di
Carlo Pelanda (8-11-2005)
Questa
rubrica ritiene ancora solido il principio di scuola britannica: “chi comanda in Afghanistan domina l’Asia”. Ma un
altro è più rilevante: chi comanda in Iran ha il dominio
dell’Asia che conta. Per altro lo avevano già colto gli americani
quando imposero lo Scià in funzione antisovietica e di guardiano del
Golfo, fino al 1979. Recentemente lo ha capito la
Cina. Da un po’ lo stanno riscoprendo
le élite della rivoluzione iraniana quando hanno riflettuto sulle sorti
del regime. Due vie: (a) o verso una lenta dissoluzione dovuta ad un
compromesso tra riformatori, nazionalisti e fondamentalisti basato sulla
spartizione dei poteri, con spazi crescenti per la cultura laicizzata; (b)
oppure verso il rilancio del regime teocratico stesso dando alla nazione
iraniana una missione eccitante. Il vero leader, Khamenei, ha scelto la seconda
opzione, fatto eleggere lo strumento Ahmadinejad ed
eliminato i (pur tanti) moderati. E fin qui è stata una correzione alla
decadenza del regime. Da qui in poi la domanda principale è se i
restauratori tenteranno una strategia veramente espansiva o si accontenteranno
di fare solo rumore utile al consenso interno. Non si può ancora
rispondere, ma la prima ipotesi ha certa probabilità. L’Iran si
trova in una posizione geostrategica, geoeconomica e geosimbolica che
gli fornisce un enorme vantaggio di contingenza. La stabilità del nuovo Irak è di fatto un ostaggio
della volontà di Teheran. Gli americani sono spompati. La
comunità islamica mondiale non ha una leadership. La Mecca è a portata di
mano per debolezza della monarchia saudita - come già intuito da bin Laden – e il già enorme potere di
ricatto petrolifero sta aumentando per il rialzo strutturale della domanda
globale. Ma per prendersi tutto a Teheran mancano due cose: l’atomica,
per dissuadere gli Usa ed un’invenzione che possa riunire sciiti iraniani
e sunniti arabi. Il fatto che stia cercando ambedue, la seconda è la
leadership sui palestinesi contro Israele, segnala una volontà
espansiva. Quindi con l’Iran non si scherza. Ma fargli una guerra
preventiva sarà per molto tempo impossibile. Arginarlo con una
coalizione di contenimento efficace implicherebbe il consenso di Cina e Russia,
una Francia meno sensibile al ricatto islamico interno, un Regno Unito ed un Italia che rinuncino ad interessi vitali. Difficile. Cosa
resta? Per il dopodomani il sostegno clandestino alla controrivoluzione. Per
oggi e domani l’unica è mettere gli Stati arabi contro Khamenei.
Indicibile, poi, ma provocante, ipotizzare che Al Qaida
vada contro Teheran per difendere la sua leadership sulla Jihad. Geomeopatia?
Carlo Pelanda