Mutamento climatico

 

Non basta il taglio delle emissioni

 

Di Carlo Pelanda (5-2-2007)

 

Il rapporto Onu sul mutamento climatico ne individua uno catastrofico entro un secolo, con anticipi percepibili già oggi: aumento della temperature e del livello del mare, impaludamenti, desertificazioni, fenomeni estremi. Scenari correlati che analizzano il riscaldamento globale temono glaciazioni improvvise: lo scioglimento dei ghiaccia artici riduce la salinità dell’acqua e ciò potrebbe variare la corrente del Golfo che rende temperati i climi nordamericano e nordeuropeo raffreddandoli al punto da avere i ghiacci in pianura padana. Questa pare esposta o al rischio di diventare una palude con coccodrilli oppure una steppa glaciale. Non si sa: la complessità termodinamica del sistema atmosfera/acque è tale da non essere ancora descrivibile da modelli scientifici. Per esempio, i “gas serra” riscaldano il pianeta (global warming), ma anche ne limitano il riscaldamento stesso filtrando le radiazioni solari (effetto “dimming”). Tuttavia, nonostante questa incertezza, la scienza con etichetta Onu ha sposato una tesi: il riscaldamento globale è veloce ed è causato per il 95% dei gas emessi dal ciclo degli idrocarburi.

Gli economisti sono chiamati a produrre modelli di analisi e gestione del possibile impatto del cambiamento climatico sulla società. Alcuni credono allo scenario Onu, calcolano i danni possibili e concludono che per evitarli bisogna abbattere le emissioni subito e porre limiti allo sviluppo. La catastrofe incombente giustifica un enorme costo e sacrificio per evitarla. Questa teoria implica che, riducendo in un secolo le emissioni, il riscaldamento dovrebbe essere minore. Ma siamo proprio sicuri che sia così? Il pianeta cambia clima continuamente per diverse cause: orbita, inclinazione della Terra, attività solare, eruzioni vulcaniche, ecc. Le tracce di periodi caldi e freddi sono visibili nella storia geologica ed ecologica prima dell’era industriale. Certamente le emissioni contribuiscono al riscaldamento (o al raffreddamento?), ma togliendole, ed in quanto tempo, otterremmo un clima che possiamo sostenere con le strutture attuali? Senza precisare questo dato si rischierebbe di creare una crisi economica senza avere effetti risolutivi. Inoltre c’è troppa ideologia o semplificazione nella questione: carica di costi l’economia e riduci la libertà del capitalismo ed avrai risolto il problema. Io non me la sento di sostenere tale posizione che provoca una crisi certa, domani, per miliardi di persone per evitarne una ancora non precisata dopodomani. D’altra parte è evidente che il pianeta cambia e che le strutture sociali ed economiche sono evolute recentemente assumendo che sia sempre stabile. Secondo me il punto razionale è preparare la società e l’economia a gestire climi più estremi o variabili.  In tale ottica la lista delle priorità sarebbe diversa, più concreta e fattibile con costi assorbibili, da quella “limitativa”. Se il clima diventa più caldo o più freddo ci sarà necessariamente bisogno di più energia a minor costo per scaldare o raffreddare le case. E tale tipo di energia può essere solo quella nucleare. Tra l’altro pulita, senza emissioni. In generale ci vorrà più tecnologia, per esempio megamacchine che muovano enormi masse di terra rielaborata per costruire argini in caso di aumento dei mari. In conclusione, al cambiamento dell’ambiente dobbiamo rispondere non tanto o solo tagliando le emissioni, ma creando ambienti artificiali per rendere pian piano indipendenti via tecnologia i nostri habitat da qualsiasi variazione ambientale. Così il costo diventerebbe investimento.

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