La convergenza euroamericana
Di Carlo Pelanda (21-2-2005)
La visita di Bush in Europa
ha lo scopo di sancire una nuova convergenza tra Usa e l’insieme dei Paesi
europei dopo una forte divergenza con Francia e Germania dal 2002 in poi. Le
cronache ne stanno descrivendo i motivi, ma non le questioni più delicate di
diplomazia riservata che avranno un impatto diretto sul nostro interesse
nazionale
Ricapitoliamo la parte più nota. L’America è la superpotenza singola
militare, economica e tecnologica del mondo, ma non è grande abbastanza per
poter governare il pianeta da sola. Finalmente se ne è accorta e, dopo la
dimostrazione di forza e della disponibilità a pagare i prezzi – economici di
sangue – per gestire i problemi globali, ora sta segnalando che ha bisogno
degli europei per tenere sotto controllo un Iran pronto a diventare potenza
nucleare aggressiva, concludere con successo la costruzione del nuovo Irak,
finalmente chiudere il conflitto tra palestinesi ed israeliani, reinquadrare
Siria e Libano, e, grazie a questo, stabilizzare tutto il Medio oriente,
togliendo al terrorismo e fondamentalismo islamici spazio di manovra.
Ma la tendenza convergente è spinta anche da questioni meno note,
forse più importanti per definire le “vere” agende di negoziato. Il pensiero
strategico dell’Amministrazione Bush è mosso dalla priorità di evitare la
tentazione, fortemente sentita dalla Germania di Schroeder, di allearsi lungo
una direttrice eurasiatica con Russia e Cina in funzione di bilanciamento
globale antiamericano. La Germania è la potenza singola europea, soffre la
gabbia monetaria e geopolitica dell’Unione, e desidera essere riconosciuta come
interlocutore alla pari da Usa, Cina e Russia. La Francia, dopo la riunificazione
tedesca nel 1989, ne ha contenuto le ambizioni imponendole l’accettazione di
una condivisione a due del potere continentale e utilizzando la formazione di
una Unione europea come leva di forza, e cosmesi, per ingabbiare Berlino. Il
Trattato di Maastricht (1993) e l’annuncio irreversibile della moneta unica
(1996) sono stati generati, in realtà, da questa strategia e non certo da
sentimenti europeisti astratti.. Il democristiano Kohl accettò tale soluzione,
ma non il socialnazionalista Schroeder. Che, infatti, dal 2000 ha rotto l’asse
con i francesi, aumentato la divergenza con gli americani ed allo stesso tempo
loro comunicato che Berlino, cooperando su alcune questioni, era l’unico
interlocutore europeo per Washington. Quindi Bush si trova con il problema di
dover accontentare la Germania ed allo stesso tempo calmarne gli sgomitamenti.
E’ un quadro molto complicato, ma con una novità risolutrice che ha determinato
un atteggiamento “morbido” da parte Usa: la Francia ha capito – oltre al fatto
di avere interessi convergenti oggettivi con gli Usa in Africa e Medio-oriente
(Libano) - che senza un’alleanza, pur relativa, con gli Usa, Berlino le
scapperà di mano. Inizialmente, ha voluto dimostrarsi più antiamericana ed
euroasiatica di Berlino stessa per non lasciare a questa la leadership di un
sentimento di autonomismo europeo, ma poi, nel 2004, ha cambiato idea perché
ciò rinforzava più i tedeschi che Parigi. In sintesi, l’America ha bisogno del
pilastro europeo per rafforzare il proprio e la Francia cerca un miglior
rapporto con l’America anche in funzione di bilanciamento della Germania.
Infatti questa dovrà accettare tale tendenza, ma scalpita per ottenere in
cambio qualcosa da Bush. O il seggio privilegiato all’Onu oppure un dollaro
forte che aiuti l’economia tedesca in ginocchio ad esportare di più. La prima
soluzione sarebbe un grave danno per l’interesse italiano e francese, infatti
da un po’ più dialoganti, la seconda andrebbe bene per tutti gli europei.
Carlo Pelanda