Il mercato esagera i rischi perché non ha informazioni per calcolarli
Di Carlo Pelanda (2-2-2004)
Il mercato globale ha preso una direzione decisa verso la crescita. Ma è ancora pervaso da incertezze che lo rallentano. Teme, in particolare, tre fonti di instabilità: (a) una pandemia tipo la Sars o l’influenza aviaria che bloccherebbe i traffici entro e fuori l’Asia con conseguente crisi globale; (b) nuovi eventi bellici tipo l’Irak con il loro portato di congelamento economico; (c) un’ulteriore e più devastante sequenza di attentati terroristici che minerebbe la fiducia già scossa. Tali eventualità sono ombre che non lasciano sviluppare al mercato il massimo di ottimismo e quindi di impulso ad una crescita globale continua e robusta. Una scuola di pensiero raccomanda di non parlarne troppo per non spaventare. Un'altra, preferita da chi scrive, ritiene che il mercato in realtà non abbia paura dei pericoli in se, ma solo dell’impossibilità di calcolarli. Se li calcola, infatti, li sconta per quello che sono e li assorbe. Se non ci riesce, allora li esagera. Infatti la tesi di questo articolo è che li stia esagerando per carenze sul piano dell’informazione istituzionale.
Dalle pessime condizioni
igieniche dell’Asia vengono periodicamente minacce di pandemia. Tuttavia si
nota una crescente capacità di apprendimento per contenerle da parte dei
governi nell’area e di tutti gli altri per limitarne gli effetti globali. Per
questo, pur in assenza di dati e di esperienza storica, l’ipotesi più probabile
è che tali fenomeni possano essere ridotti ad un minimo nel futuro. Quindi il
mercato non ha motivi per esagerare questo pericolo e qualcuno dovrebbe
comunicarglielo in modo credibile.
Ulteriori incertezze
belliche sono ancora più improbabili. Dopo la bonifica dell’Afghanistan e
dell’Irak l’America non ha in priorità altri interventi militari a grande
scala. Verso la Siria e l’Iran, che per il loro appoggio diretto al terrorismo
sarebbero i prossimi bersagli teorici, è in atto una politica di ordinamento
che usa molto più la carota che il bastone. Quella stessa, per esempio, che ha
creato la svolta pro-occidentale della Libia e la fine della guerra civile in
Sudan. Resta il timore di instabilità in Irak ed Afghanistan, ma gli apparati
di controllo occidentali dispiegati in quei luoghi sono ben dimensionati e
capaci di gestire sorprese negative. Di
fatto, solo la stabilità del regime filo-occidentale in Pakistan e di quello
saudita desta preoccupazioni. Ma “normali” e non eccezionali. In sintesi,
l’incertezza geopolitica non pare eccessiva, nel senso di “gestibile”, ma il
mercato la esagera perché senza informazioni complete e complessive in materia.
La probabilità di eventi
terroristici destabilizzanti, invece, è una variabile ignota. Sappiamo che Al
Quaida tenta continuamente di fare un secondo colpo, ma non si riesce a capire
se non ci riesca o se “faccia finta” per ottenere un altro effetto: lasciare
che l’Occidente si tranquillizzi per poi sorprenderlo meglio con una botta
simile o superiore a quella delle torri. Su questo punto il mercato è
nervosissimo e tiene il freno. Il prezzo dell’oro è ancora troppo alto, così
come quello degli immobili (in bolla) ed altri beni rifugio a scapito della
liquidità che alimenta gli investimenti produttivi. E non solo per le crisi di
fiducia dovute agli scandali finanziari, ma anche per l’ombra di qualche
catastrofe percepita in arrivo. Ovviamente i governi non possono dare grandi
certezze in materia, ma se svelassero più dettagli su come va la guerra contro
il terrore, allora sicuramente il mercato prenderebbe una posizione meno
pessimista di quella attuale perché l’azione di contrasto è efficace ed il
nemico, pur pericoloso, non così potente. In conclusione: più informazione
precisa, più precisazione del rischio, più crescita.