La difficile equazione del petrolio
Di Carlo Pelanda (17-5-2004)
Molti lettori guardano con preoccupazione l’aumento del prezzo del petrolio e si chiedono quali e quante conseguenze avrà per le loro tasche. Gli scenari tecnici definiscono attorno ai 30 dollari (a valori correnti di cambio) per barile un costo del petrolio – a cui viene agganciato quello del gas – che non produce squilibri esagerati. Quando va oltre lo fa in termini di aumento, pur non proporzionale, dell’inflazione. Che costringe ad aumentare il costo del denaro e quindi a togliere liquidità all’economia, cosa che deprime la crescita. Quindi la prima domanda è: l’attuale prezzo sui 40 dollari potrà interrompere la “ripresona” globale e la “ripresina” europea, compresa quella italiana? Se non va oltre probabilmente no. Se va oltre, sì. Con una complicazione: l’euro alto riduce l’impatto inflazionistico dell’aumento del petrolio espresso in dollari, ma deprime le nostre esportazioni. Se si abbassa l’euro si risolve questo problema, ma si importa più inflazione. Non c’è soluzione a queste equazioni se non quella di tenere moderato il costo petrolifero.
Pertanto la seconda domanda
è: come andrà nel futuro il prezzo del petrolio? L’attuale rincaro dipende
dall’effetto combinato della maggiore domanda di energia prodotta dalla
crescita strepitosa dell’Asia, trainata dalla “bolla” cinese, e dal boom
americano. La gente in questi luoghi chiede più benzina, le industrie più
energia, i trasportatori più carburanti, i nuovi ricchi nei paesi emergenti più
condizionatori o impianti di riscaldamento che vanno ad elettricità generata
con carburanti fossili. Gli analisti tecnici, e gli stessi operatori
specializzati nel mercato energetico, sono stati colti di sorpresa dalla
quantità di domanda petrolifera espressa dall’Asia. E ciò sta portando alla
revisione degli scenari precedenti: se si mette nel conto globale una maggiore
richiesta di petrolio e gas da parte dei Paesi emergenti, allora si trova che
l’attuale capacità di offerta totale, proiettata, è inadeguata. Infatti i paesi
Opec stanno pompando il pompabile e non hanno molto petrolio in più da mettere
sul mercato in relazione alla scala degli impianti estrattivi e dei loro
sistemi di distribuzione. Altri produttori, quali la Russia, hanno un enorme potenziale
di materia prima, ma gli oleodotti sono saturi e per distribuire più materiale
ci vorranno più investimenti e tempi lunghi. In sintesi, il prezzo del petrolio
ha una tendenza media al rialzo costante nel medio e lungo termine. Che può
essere interrotta solo da crisi economiche che rallentano la domanda, ma che
non invertiranno la tendenza. I Paesi produttori non hanno interesse a gettare
l’economia globale in crisi perché poi scenderebbe il loro profitto. E sono
disposti a bilanciare i prezzi, quindi i volumi estratti, con le condizioni di
sostenibilità. Ma lo sviluppo dei Paesi emergenti sta creando un eccesso di
domanda tendenziale non copribile dall’offerta. Da un lato, l’aumento dei
prezzi stimola nuove ricerche ed estrazioni a più alto costo, per esempio
sottomarine, di petrolio e gas nonché di carbone. Dall’alto la quantità totale
di tale risorse è limitata.
Terza domanda: come finirà?
Molto male se nei prossimi 50-70 anni non si troverà il modo di sostituire
gradualmente la dipendenza dal petrolio con nuove fonti energetiche. Ma la più
importante per le tasche, oggi, è: cosa si può fare per limitare il prezzo dei
carburanti al consumo in Europa? Il loro prezzo è gravato da quasi il 70% di
tasse. Quindi se i costi alla fonte vanno alle stelle c’è la possibilità di
calmierare quelli al consumo riducendo la componete fiscale. Questa è la buona
notizia per il breve e medio periodo. La cattiva è che i governi europei, siano
di destra o sinistra, non lo stanno facendo.