Ombre cinesi
Di Carlo Pelanda (13-12-2004)
Uno scenario del Pentagono, nel 1994, ha previsto che, attorno al
2020-2025, la Cina avrà un livello di sviluppo tale da renderla capace di
sfidare il potere globale degli Usa sia sul piano economico sia su quello
militare. Nel 2003, l’Istituto francese per le relazioni internazionali (Ifri)
ha predetto che nel 2050 l’area a più alta crescita economica del pianeta sarà
quella del mercato regionale formato da Cina più Giappone, Coree, Taiwan, ecc.
resi satelliti da Pechino. In tale scenario gli Usa rimarranno una potenza
economica e strategica, ma minore. Mentre l’area europea conterà sempre di meno
nel mondo per poca capacità di crescita interna, economica e demografica. Vi
sono tanti altri scenari, tutti centrati sullo scopo di capire se e quando si
sposterà il baricentro mondiale a seguito dell’emergere della Cina come potenza
economica e militare nel prossimo futuro, ma è inutile citarli perché tutti
registrano la nuova centralità della Cina.
Quindi, in base a tali dati, la scelta realistica sul piano delle
strategie economiche e future sembrerebbe quella di prendere la posizione
migliore possibile nel mercato cinese per coglierne le opportunità di affari e
avere buoni rapporti con un futuro nuovo dominatore. Ed è il tipo di realismo
che ha portato recentemente il presidente Ciampi con al seguito duecento
imprenditori ad instaurare con le autorità cinesi una relazione amichevole.
Stessa cosa fatta da Schroeder e Chirac poco tempo prima. Con due missioni: (a)
favorire l’accesso al mercato cinese,
totalmente controllato dal governo, a favore della propria industria
nazionale; (b) costruire una relazione politica con i cinesi per questo, ma
anche per altro. In particolare, la Germania ha cercato di farsi amica Pechino,
oltre che per vendere treni superveloci, per ottenere la cooptazione nel
Consiglio di sicurezza dell’Onu come membro permanente con diritto di veto
(ora composto da Usa, Francia, Regno
Unito, Russia e, appunto, Cina). L’Italia, che non vuole questo riconoscimento
alla Germania per non essere marginalizzata, ha cercato relazioni amichevoli
con Pechino per lo scopo opposto. Ambedue, Ciampi e Schroeder, hanno fatto
dichiarazioni di “sottomissione” richieste dai cinesi. Di cui la più importante
riguarda la fine dell’embargo di vendita di armi alla Cina sancito dall’Unione
Europea ed Usa a seguito del massacro di più di diecimila studenti, nel 1989, a
piazza Tien an Men, dal governo cinese di allora. Chirac ha fatto lo stesso, ma
con un motivo in più: la speranza di formare un’alleanza eurasiatica per
bilanciare il potere globale americano. Cosa che i cinesi gradiscono, e
pretendono con morbidissima pressione, in base alla loro strategia futura. Che
ha tre punti: (1) sbattere gli americani fuori dal Pacifico; (2) creare un
blocco regionale asiatico dominato da Pechino; (3) ottenere un sistema di
relazioni internazionali globale basato sul multilateralismo in modo da farsi
riconoscere come blocco regionale di fatto più potente del pianeta. Senza
fretta, in decenni. Riuscirà? Difficile. Chi scrive crede sia più probabile un
altro scenario La Cina è ad alto
rischio di destabilizzazione interna perché dittatura che, pur capace di
sviluppare inizialmente l’economia, non riuscirà a consolidarla in quanto per
farlo ci vuole democrazia. Cosa che le èlite attuali non intendono
concedere. Gli Usa – con Russia, India
e Giappone - non hanno alcuna intenzione di lasciare ad una Cina, più
nazionalista che comunista, il dominio del Pacifico. Vedremo, ma sarebbe più
realistico accorgersi che ci sono più ombre che luci sul futuro della Cina. Di
conseguenza gli attori economici e politici dovrebbero imparare a valutare
meglio le prime e non farsi abbagliare dalle seconde.