Lo scenario della detassazione
Di Carlo Pelanda (10-5-2004)
A marzo Berlusconi annunciò che entro aprile il governo avrebbe predisposto un piano sostanziale di riduzione delle tasse. Ai primi di maggio ciò non è avvenuto, ma il Presidente del consiglio ha rinnovato l’annuncio con parole determinate. Il perché la data sia slittata lo si può trovare nelle cronache relative alle ultime settimane. Che si può sintetizzare in due motivi: contrasti nella maggioranza sulla formula politica della detassazione in relazione ai ceti che vengono più favoriti o meno; il problema tecnico di bilanciare il minor gettito dovuto alla detassazione con tagli alla spesa pubblica, complicato da una previsione di crescita del Pil per il 2004 piuttosto bassa, attorno all’1,2%, vista la stagnazione economica dell’eurozona. Ora molti lettori si chiedono se Berlusconi riuscirà a mantenere la promessa, e se sì quanto e quando.
Un dato certo riguarda la
volontà del capo del governo. Si è impegnato personalmente, sa che ne va della
propria credibilità nei confronti del suo elettorato. Inoltre è consapevole del fatto che senza una
stimolazione fiscale molto robusta l’economia italiana non riuscirà ad uscire
dall’andamento stagnante. E se non vi riuscirà ciò segnerà il fallimento del
programma promesso nel 2001 e la probabile sconfitta nelle elezioni politiche
del 2006. Ciò gli è chiaro da parecchio tempo. Infatti lo comunicò in forma
scherzosa un anno fa con la battuta: se Tremonti non vara il piano di
detassazione entro il 2004 – riconoscendo
che dal 2001 al 2003 la crisi globale non lo permise - “ lo impiccherò nel giardino di casa mia”.
Lo disse con un sorriso, ma il
messaggio fu ed è chiaro. Con un'altra battuta si può dire che nel governo solo
Berlusconi è consapevole dell’assoluta priorità tecnica e politica della
salvazione economica dell’Italia via detassazione e la necessità di passare
sopra a tutti i rischi e problemi per attuarla. Tutti gli altri soggetti
rilevanti, pur d’accordo in principio, enfatizzano altri aspetti: chi ha paura
di trovarsi nel 2005 con un deficit superiore al 3% ammesso come limite massimo
dagli europarametri di stabilità a causa del minor gettito temporaneo; chi teme
di farsi accusare di favorire i redditi più alti e non i più bassi e di
rischiare una punizione elettorale, ecc. Il secondo problema è in via di
soluzione, ma resta il primo. Berlusconi, come la maggior parte degli
economisti, sa che la detassazione deve essere massima ed al più presto.
Proprio perché il dare alle famiglie centinaia, ad alcune migliaia, di euro in
più all’anno tolti dalle tasse significa creare un boom dei consumi che poi
sosterrà più vendite e maggiori investimenti. Se il ciclo globale terrà e il 1°
gennaio 2005 entrassero in vigore le due nuove aliquote dell’Irpef previste
(33 e 22%), le simulazioni mostrano che il Pil potrebbe crescere sopra
il 3% nel 2005 stesso e negli anni successivi, ancor di più se il dollaro
salisse e favorisse le nostre esportazioni e turismo. Ma per far scattare la
riduzione detta bisogna prendere un rischio: resterà nel bilancio dello Stato
una quota di spesa pubblica non coperta da future entrate perché tagliate con
la detassazione. Gli economisti, tra cui chi scrive, giurano che l’azzardo è minimo in quanto la crescita
prodotta poi aumenterà il gettito pur a tasse minori entro due o tre anni.
Quindi la defiscalizzazione è la vera copertura. Tuttavia i vincoli europei
la impongono anno per anno ed è comprensibile la fatica di Tremonti nel
quadrare il cerchio. In conclusione, Berlusconi manterrà la promessa, ma dovrà
adattarla ai limiti. Spero si trovi una formula che li superi, ma, anche se
attutito, l’avvio della defiscalizzazione produrrà comunque un certo effetto
boom.