La Bce riduca i tassi
Di Carlo Pelanda (1-3-2004)
Nei giorni scorsi sono aumentate le pressioni sulla Banca centrale europea affinché tagli, giovedì prossimo, il costo del denaro, ora al 2%, per ottenere un abbassamento del valore di cambio dell’euro in relazione al dollaro. Questo va spiegato, seppur schematicamente. Il tasso di riferimento del dollaro è all’1%. Obbligazioni e titoli di Stato in dollari, influenzati da tale riferimento, offrono rendimenti nominali minori di quelli denominati in euro. Ciò ha incentivato un afflusso di capitali verso le emissioni europee. Si ritiene che abbassando i tassi dell’euro, e facendo altre operazioni collegate, parecchio capitale possa ritornare sul dollaro, o comunque non uscirne più che tanto, riequilibrando un po’ il cambio. Che ora vede l’euro troppo alto e ciò penalizza tanto drammaticamente le esportazioni europee da essere un fattore determinante di recessione-stagnazione per tutte le economie dell’eurozona. Inoltre un abbassamento dei tassi riduce l’onere mensile dei mutui, se a tasso variabile, e rende meno costosa qualsiasi operazione a debito sul mercato. In teoria ciò libera del capitale per aumentare i consumi ed incentiva gli investimenti. Tutti i leader dell’eurozona, infatti, chiedono alla Bce di tagliare. Il più insistente è stato ed è il cancelliere tedesco Schroeder alle prese con 5 milioni di disoccupati di cui un milione creato dalla recessione dell’ultimo biennio.
Come risponderà Trichet? La
missione della Bce è quella di salvaguardare il valore dell’euro contro
l’inflazione alzando il costo del denaro e frenando l’economia quando i prezzi
aumentano. Nella sua carta costituiva ciò è chiaro. Lo è di meno il suo dovere
di stimolare l’economia quando necessita di riflazioni. Ciò è dovuto all’eredità
della cultura regolativa della Bundesbank – memore della crisi inflazionistica
in Germania negli anni ’30 - che tra il rischio di inflazione e quello di
deflazione sovrastima di norma il primo. Nel 2003, data la situazione
economica, la Bce avrebbe già dovuto tagliare i tassi, ma non lo fece perché in
tutta l’eurozona l’inflazione media era troppo vicina al 3%, esagerando il
pericolo. Ora, nel 2004, resta solo l’Italia con un aumento dei prezzi fuori
misura mentre tutti gli altri europei sono tornati sotto la soglia del 2% che è
l’obiettivo di stabilità dei prezzi posto dalla Bce. Noi rappresentiamo il
19,2% dell’intera economia dell’eurozona e quindi circa l’80% è in una
situazione di inflazione decrescente tale da poter giustificare una riduzione
del costo del denaro senza timore di un incendio inflazionistico anche per i
criteri restrittivi della Bce.
Ma non è così scontato. Un
costo del denaro al 2% è già minimo. Il ridurlo ancora potrebbe aumentare le
difficoltà del sistema bancario perché ne comprimerebbe i profitti nominali
sulle operazioni di credito. E poiché una gran parte delle banche europee sono
sotto tensione in quanto troppo esposte con imprese fragili e già molto
indebitate tale fattore va messo in conto. Inoltre il modello economico continentale
è caratterizzato da poca libera concorrenza e tanti protezionismi sociali e
nazionali, ambedue fattori di spinta inflazionistica. Ed anche di rigidità. Per
cui non è detto che all’immissione di più liquidità il sistema produca più
crescita come invece avviene tipicamente nella più flessibile e liberalizzata
America. Per questo si possono prevedere dei forti dubbi della Bce nel fare la
mossa richiesta. Comunque, qualora un’opinione esterna avesse valore senza
poter conoscere tutti i dati ora valutati da Trichet, la situazione è talmente
grave da preferire un rischio sul lato dell’inflazione, abbassando i tassi il
più possibile, che su quello della deflazione e sue conseguenze recessive.