Marosi e tenuta della nave

Di Carlo Pelanda (3-3-2003)

 

In momenti di incertezza è giusto chiedersi se l’economia italiana ed il governo che ne sta al timone siano in grado di reggere i marosi. Proviamo a mettere insieme i dati capaci di darci qualche indizio per rispondere. Il 2002 è finito con una crescita del Pil nazionale attorno allo 0,4%, di fatto stagnazione. L’ultimo trimestre ha mostrato una accelerazione della crescita, superiore alle previsioni ed alle sensazioni. Ma si teme che il primo trimestre del 2003 venga compromesso dal perdurare dell’incertezza bellica, che tiene sospesi gli investimenti, dall’aumento del prezzo del petrolio, dal peggioramento della crisi recessiva in Germania, mercato nazionale più grosso e, quindi più influente, nell’intera eurozona. Vedremo a fine marzo l’impatto. Tuttavia, ed è una buona notizia, il governo ha già dimostrato in un 2002 di difficile convalescenza di saper tenere quadrati i conti pubblici in relazione ai vincoli europei. E l’economia italiana, pur soffrendo un processo di deindustrializzazione e crisi competitiva a livello di grandi gruppi, mostra una vitalità inattesa. Analizziamo con ordine.

Il governo è stato criticato per aver usato misure una tantum allo scopo di far scendere il debito e tenere il deficit annuo poco sopra il 2%, meglio di Francia e Germania, ambedue sopra il 3% e quindi in violazione del Patto di stabilità su cui si fonda la credibilità dell’euro. Francamente ho provato certa ammirazione nei confronti delle mosse del governo pur riconoscendone la natura acrobatica. Per esempio, è vero che buona parte del debito è scesa grazie ad una manovra finanziaria tra Tesoro e Banca d’Italia. Ma è stata lecita nell’ambito delle regole. E ha mostrato l’estrema determinazione, nonché ottima capacità tecnica, del nostro governo nel voler rispettare la tabella di discesa del debito storico per portarlo sotto il 100% del Pil nel 2005. Nonostante un anno brutto che ha messo sotto tensione la finanza pubblica. E tale atto va particolarmente apprezzato in relazione ad una poco nota, al grande pubblico, questione intraeuropea. Francia e Germania hanno chiesto meno rigore sui deficit annuali perché il loro debito storico non è preoccupante. E, qui il punto, hanno tentato di far passare un criterio punitivo bei confronti dell’Italia: i Paesi con alto debito cumulato devono rispettare con più precisione gli obblighi al pareggio di bilancio annuale mentre quelli con meno debito stesso possono splafonare. Con la manovra detta sopra il nostro governo ha dimostrato che l’Italia riusciva a rispettare le regole nonostante le difficoltà. E con questo ha difeso anche la tenuta del Patto di stabilità. Quindi la ricerca di soluzioni acrobatiche, tra cui metterei anche il condono, va vista come segnale di determinazione nel rispettare le regole europee in un contesto sfavorevole e non come gestione allegra o disordinata. Un buon segnale, secondo me, che merita un rispetto superiore a quello concesso dall’opposizione.

Ed è altrettanto buono quello che mostra come il governo voglia proseguire nella strada delle riforme di efficienza nonostante la mancanza di soldi dovuta al ciclo basso. Un’iniziale detassazione è in atto. Gente come me non la ritiene sufficiente ed invoca tagli drastici della spesa pubblica per fare più spazio a quelli fiscali. Ma è facile dirlo sui giornali. Chi governa si ritrova una situazione di mercato in cui allo stimolo fiscale non corrisponde necessariamente un boom di crescita che faccia rientrare gettito nelle casse statali nonostante le minori tasse. Quindi ci deve essere prudenza. Ma, pur critico del governo perché ne mostra a mio avviso troppa, devo riconoscere che viene fatto tutto il possibile per mantenere la direzione di riforma. Cosa che da ottimismo per modernizzazioni più decise quando la situazione migliorerà.

E se peggiorerà? Questo governo non sembra sprovveduto o incerto. Per esempio, se il petrolio avrà un picco speculativo oltre misura è probabile che verrà tolto l’equivalente di tassa sulla benzina per lasciarne invariato il prezzo. In generale, si nota una politica determinata a tenere sotto controllo i conti pubblici anche nel caso peggiore. In sintesi, il governo c’è. L’unica cosa che mi preoccupa su questo piano è il controllo dell’inflazione. Cosa che richiede una modifica della forma del mercato per inserirvi più concorrenza. Questo il vero killer dell’aumento dei prezzi. E sono pessimista su tale punto specifico perché vedo prevalere gli interessi delle corporazioni e cartelli, per mantenere elevati prezzi e tariffe. E appare evidente che il governo non ce la faccia a sfondare tali resistenze oligopolistiche. L’Italia è un Paese ancora molto arretrato sul piano della forma del mercato e ciò preoccupa.

Ma la domanda principale è quanto vitale sia l’impresa italiana. Qui i dati sono misti. Di buono vedo che le piccole imprese sanno resistere al ciclo basso europeo in forma innovativa ed attiva, molto più di quanto previsto. Di brutto è osservabile la crisi o la sofferenza dei grandi gruppi industriali e dei servizi che mettono sotto stress il sistema bancario. Infatti aumenta il rischio che i primi non ripaghino l’enorme debito assunto. Intendiamoci, non c’è aria di crisi bancaria come in Germania. Ma c’è il serio rischio che le banche restringano il credito facendo mancare il sangue al corpo economico, a cominciare dai capillari, cioè le piccole imprese. La mia sensazione è che ce la faremo e piuttosto bene. Ma, vista la situazione, la conferma dovrà aspettare ancora qualche mese.

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