| "Un'architettura politica per evitare la crisi del 
            mercato globale"intervista a Carlo 
            Pelanda
 
 Professore, lei è un 
            "liberista ruminante". Ora si mette a fare 
            l'interventista?
 
 No, assolutamente. Come diceva il 
            professor Savona, il mercato non è qualcosa di magico, autoregolato, 
            con proprietà terapeutiche. E' invece un oggetto politico e, come 
            tale, va presidiato con un'architettura politica appropriata. Detto 
            per inciso solo in Italia si pensa che il liberismo debba essere 
            necessariamente selvaggio. In tutto il mondo il liberalismo 
            economico è sempre stato accompagnato dalla piena consapevolezza che 
            il mercato ha sempre bisogno di forti istituzioni. Noi abbiamo un 
            po' scherzato su questa definizione di liberisti ruminanti nei 
            confronti di alcuni nostri amici americani che non riflettono 
            abbastanza sul fatto che un mercato troppo potente e non 
            adeguatamente regolato uccide se stesso. Fuori dalle battute, c'è un 
            punto fondamentale: noi siamo infatti abituati a guardare le cose 
            sulla base dei dati, non dei libri ideologici o delle sensazioni. I 
            dati di ricerca mostrano chiaramente che la libertà dei capitali e 
            l'effervescenza di un mercato non regolato a livello globale, hanno 
            creato un'alluvione di ricchezza. E questo è andato bene negli 
            ultimi dieci anni. Però allo stesso tempo non è emersa 
            un'architettura politica che fosse in grado di organizzare questo 
            nuovo flusso di ricchezza. E questo sta comportando 
            squilibri.
 
 Quale è allora la vostra 
            preoccupazione?
 
 La preoccupazione che abbiamo non è 
            quella di limitare ideologicamente il mercato, bensì quella di 
            creare delle istituzioni politiche che permettano allo sviluppo 
            globale di poter avanzare in forma più equilibrata sul piano 
            sociale. Per evitare che il mercato si suicidi. Dunque possiamo dire 
            che il nostro libro si pone il problema di definire un'architettura 
            politica che può evitare le grandi crisi al mercato 
            globale.
 
 Ma in questa "architettura 
            politica globale", all'ultimo chi deve governare il 
            mondo?
 
 Ci sono due alternative. La prima vede il mondo 
            governato da istituzioni sovranazionali che devono possedere quindi 
            un potere formidabile, tale da dominare i singoli stati. Chi 
            sostiene questa teoria non ha fiducia nei singoli stati nazionali, 
            li vede cioè troppo protezionisti e quindi pensa a un potere che 
            possa sfondare le porte del protezionismo. Ed evitare che il flusso 
            dei capitali e delle informazioni sia ostacolato da localismi. 
            Questa è appunto la prima tesi. E' una teoria molto sostenuta negli 
            Stati Uniti, poiché queste istituzioni sovranazionali sono come dei 
            guanti che si riempiono in base all'interesse nazionale di un pugno 
            forte che li riempie. E' lo standard globale o meglio lo standard 
            americano. Ciò ovviamente ha molti lati positivi, poiché sarebbe 
            impensabile un mondo non governato da alcuno, avremmo solo guerre e 
            povertà. Però, misurando empiricamente, si può vedere che questo 
            sistema è troppo concentrato, troppo rigido e necessariamente 
            produce scompensi. Semplifico: la coperta è troppo piccola per il 
            letto e quindi c'è il rischio che i piedi restino al freddo. 
            Risultato: raffreddori e poi polmoniti.
 
 E 
            allora quale è la seconda strada, la vostra?
 
 L'altra 
            opzione è quella secondo la quale sarebbe augurabile che ogni stato 
            nazionale o unità politica del pianeta abbia una fortissima 
            sovranità e capacità di negoziare con le istituzioni dello standard 
            mondiale sulla base delle proprie ragioni e dei propri interessi. 
            Questa seconda corrente è stata lanciata dai paesi emergenti con un 
            forte carico di antagonismo contro il sistema e contro gli Stati 
            Uniti. Il professor Savona ed io abbiamo cercato di capire le buone 
            ragioni da entrambe le parti. L'idea buona del libro, che spero dia 
            l'avvio ad un dibattito, è l'opinione che ci deve essere un luogo 
            globale di governo del mondo. Ma deve cambiare il contenuto di 
            questo governo, potremo dire la missione: invece di espropriare le 
            sovranità nazionali, bisogna permettere ad ogni nazione di 
            interpretare a modo suo la partecipazione al mercato globale, 
            secondo la sua specificità storica, la sua situazione sociale e di 
            ricchezza. Le istituzioni sovranazionali devono quindi diventare 
            tavoli di negoziazione delle regole. (c. 
            lan.)
 
 13 marzo 
            2001
 appiocaludio@yahoo.com 
             
 
 
 
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