Il fenomeno dell’ “entanglement
quantistico” (in seguito e.q. o anche e.) implica, di fatto, la non esistenza
dei concetti di separazione spazio – temporale. Riportiamo brevemente (avendone
già trattato in altri articoli e saggi) il concetto di “entanglement”, che in
inglese significa “connesso” o “attorcigliato”. L’ e. è un fenomeno che si
mostra unicamente a livello quantistico, cioè non ha un’ analogo nella fisica
classica. In pratica esso deriva proprio dal concetto di “misura” in meccanica
quantistica; infatti, a questi livelli la materia e l’energia (che sono legate dalla nota equivalenza
relativistica) hanno comportamenti sia ondulatori che corpuscolari, come del
resto è stato rivelato da famosi esperimenti, come quello della “doppia
fenditura”. In pratica, una elettrone, mostra a volte di comportarsi come un’
onda (dà per esempio luogo a fenomeni ondulatori tipici, come quello dell’interferenza)
ed altre volte come un corpuscolo (ad esempio nell’effetto fotoelettrico);
questo è a sua volta un portato del Principio di indeterminazione di Heisemberg
che è alla base di tutto il mondo quantistico. Questo bizzarro comportamento fu
descritto in un esperimento ideale dal trioAlbert
Einstein (1879 -1955), Boris Podolsky (1896 -1966) eNathan Rosen (1909 –
1995) da cui il nome di “paradosso EPR” (presentato nel 1935). In parole povere
tale paradosso ci dice che due particelle che siano state una volta a contatto
tra loro poi rimangono per sempre “unite” eche se modifichiamo lo stato
quantico di una, ad esempio la polarizzazione dello spin, immediatamente
l’altra, pur essendo a miliardi di anni luce ne risente dell’effetto e si
adegua.Quando tale paradosso uscì provocò aspri dibattiti in seno alla comunità
scientifica e soprattutto tra Einstein e Niels
Bohr (1885 -1962); il primo pensava che poiché potevano esistere tal assurdità
la meccanica quantistica fosse incompleta e magari esistessero delle “variabili
nascoste” che dessero conto di ciò togliendo l’intrinseca dimensione
probabilistica che regnava nel mondo dei quanti; ilsecondo pensava invece che
il paradosso fosse vero e che rispecchiasse una strutturale impredicibilità del
mondo quantico. C’è da dire che la scienza dimostrò molti anno dopo con il
lavoro teorico di John Stewart Bell (1928 – 1990) e poi quello sperimentale nel 1982 di Alain Aspect (1947 -) che Bohr aveva ragione ed Einstein torto. Il
Paradosso EPR ha una portata filosofica enorme perché ci mostra che il mondo inrealtà
è molto diverso da come ci appare a noi a livello macroscopico; in pratica
tutte le particelle risultano essere interconnesse, ma la cosa sconvolgente è
che tale connessione è immediata al di là dello spazio e del tempo e che quindi
questi due concetti a livello elementare non esistono nel modo in cui li
intendiamo noi.
Dunque la m.q. è una teoria
intrinsecamente non locale e l’ipotesi delle variabili nascoste è falsa
(Teorema di Bell, 1964). Il portato principale di questa situazione è che la
stessa “Realtà” sembra non esistere fin quando qualcuno non la osserva ed
allora ecco che tramite il collasso della funzione d’onda la materia è
costretta a scegliere un determinato stato quantico (energia, spin etc) e quindi
si “concretizza” una forma stabile.Fin quando la materia o l’energia non è
osservata essa esiste inun ostato indeterminato e senza forma alcuna.
Nell’esperimento della doppia
fenditura c’è uno schermo con due fessure: unfotone emesso può passare solo d a
una delle due, ma fin quando non losi osserva esso, interagendo con sé stesso,risulta
essere passato in entrambe; quando poi lo si osserva è costretto a “scegliere”
una delle due fessure. A questo punto il famoso fisico
[1]
John Archibald Wheeler (1911 -2008) ha proposto il concetto di “universo
partecipatorio” perché, comevedremo, è proprio l’osservatore, in un certo
senso, a “costruire” la Realtà.
Riprendiamo il nostro esperimento
con il fotone
[2]
e lo
schermo a doppia fenditura; seponiamo un rivelatore di fotoni dietro una delle
due fenditure e d ad una certa distanza dallo schermo (tale cioè da assicurarci
che il fotone sia passato da entrambi le fenditure, nella sua forma d’onda)
ecco che noi possiamo agire a posteriori
sul comportamento del fotone stesso dopo che è passato dalle due fenditure.
Infatti, osservandolo dietro ad una delle due fenditure automaticamente si esclude
l’altra, ma il fotone, come onda era già passato da entrambi ed allora che cosa
è successo?
Da unpunto di vista puramente logico
possiamo dire che il fotone, come onda, risulta aver “ritirato” il proprio
“fronte d’onda” come semai fosse passato contemporaneamente dalle due
fenditure, invece siamo certi che vi sia passato perché dietro loschermo si era
formata la caratteristica interferenza tipica delle onde. Allora quale
misterioso meccanismo ha agito addirittura nel passato per cambiare quello che
era già avvenuto? In realtà il paradosso può essere risolto solo pensando che i
nostri concetti di spazioe di tempo non valgano più, come già detto, a livello
quantistico; infatti se il tempo e lo spazio non esistono ecco che allora il
fotone non “tornerà sulle sue decisioni”, ma, molto semplicemente, non vi erano
decisioni dprendere perché iltempo non era passato, ad un certo livello di
Realtà, ma tutto avveniva contemporaneamente!
Wheeler spiega bene le cose con
un caso concreto o esperimento a “scelta ritardata” (proposto nel 1978); proprio
della Relatività Generale di Einstein sappianoche nello spazio esistono le
cosiddette “lenti gravitazionali” che sono galassie che hanno la possibilità di
dividere in due la luce di una stella, ad esempio un lontano Quasar, grazie
proprio alla loro forza gravitazionale. Quindi se c’è un Quasar a 10 miliardi
di anni luce ed una lente gravitazionale ed ecco che un fotone proveniente dal Quasar incontra
la lente e si divide in due (analogo dell’esperimento della doppia fenditura).
Tuttavia, quando giunge dopo ben 8 miliardi di anni sulla terrae noi lo
osserviamo lo indiciamo a “scegliere” quale delle due strade cosmiche (che
portano alla doppia immagine del Quasar) ha seguito e quindi in un certo senso
con la sola osservazione modifichiamo un passato di 8 miliardi di anni!
E’ chiaro dunque che fenomeni
come questi ci dicono che l’intero universo è veramente una creazione degli
osservatori che lo osservano e non esiste di per sé oggettivamente nel senso
noto della meccanica newtoniana. Queste conclusioni rivoluzionano completamente
non solo la visione che abbiamodella Realtà, nei concetti basilari di spazio e
tempo, ma anche a livello filosofico e l’universo ci pare sempre più una
struttura interconnessa in cui quello che accade non esiste oggettivamente una
volta per tutte, ma piuttosto fa parte di un quadro continuamente cangiante
dipinti dagli stessi osservatori. Resta da definire bene il concetto di
“osservatore” e quindi di “osservazione”. Cos’ èun osservatore? Quando lo posso
definire tale equindi capaci di alterare addirittura il passato? La coscienza
gioca un ruolo in tutto questo o l’ “osservatore” potrebbe anche essere anche un
meccanismo automatico ed inanimato? Come si vede con queste domande siamo giunti
al livello più profondo di una sofisticata riflessione su cosa sia quella
Realtà che noi diamo giornalmente per scontata.
Bibliografia
Aczel A. D.
Entanglement. Il più grande mistero della fisica Raffaello Cortina Editore, Milano
2004.
Albert Einstein, Podolsky, Rosen, (1935) "Can Quantum Mechanical Description of
Physical Reality Be Considered Complete?" Phys. Rev. 47: 777.
Bell J. S.
(1964) “On the Einstein-Podolsky-Rosen Paradox”, in “Physics”, I, pp. 195 -200.
Bell John S.,
“Dicibile e indicibile” in meccanica quantistica”, Adelphi Milano 2010.
Ghirardi G.C., Un'occhiata
alle carte di Dio, Il Saggiatore, Milano 2003.
Wheeler J. A.,
"The 'Past' and the 'Delayed-Choice' Double-Slit Experiment",
in Mathematical Foundations of Quantum Theory, edited by A.R. Marlow.
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