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REGOLAZIONE EPISTEMOLOGICA DEL

DECISIONISMO METODOLOGICO

Di Carlo Pelanda (1984)

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1 - Premessa

Anche se inseriti in un volume dedicato sia ai fondamenti politologici della strategia sia ad alcune dimensioni di essa, ci sentiamo notevolmente tranquilli nell'affermare che il problema metodologico dell'azione finalizzata a tale livello abbia un profilo nettamente più generale, ovvero uno che riguarda lo status epistemologico (leggi: il tipo di trattamento della realtà in relazione al problema della verità) del decisionismo, di cui il metodo strategico è una applicazione.

Cosa vuole dire regolazione epistemologica del decisionismo metodologico? Per "decisionismo metodologico" intendiamo la procedura che basa su una decisione la realizzazione di un disegno. Nella cultura metodologica corrente tale procedura non è regolata epistemologicamente. Non è ancorata, in altre parole, ad una teoria della realtà e della verità che espliciti come una decisione riesca ad essere realizzata, e quali ne siano i requisiti .

Il razionalismo scientifico di tipo purista, nella sua formulazione dottrinaria, regola il 'decisionismo' in negativo. Ovvero nlega la rilevanza epistemologica delle procedure decisionistiche in quanto afferenti al criterio dell'utilità e non a quello della verità. Relega infatti tali procedure a livello della logica strumentale, dichiarando quest'ultima irrilevante in relazione al problema della realtà-verità (1).

Il decisionismo, pertanto, viene usualmente regolato su base pragmatilca sia attraverso l'uso strumentale delle dottrine e tecniche del metodo scientifico sia attraverso la composizione utilitaristica di varie forme di metodologia qualitativa e pragmatista. Tale tipo di regolazione tuttavia è, semplicemente, una non-regolazione sistematica.

Nell' ambito del nostro lavoro di ricerca principale, dedicato alla formulazione di una teoria integrata dei sistemi e dell'evo luzione, con profonde revisioni della configurazione tradizionale di ambedue, ed ai riflessi di questa nel campo dell'epistemologia, della gnoseologia e del problema del metodo in generale (vedi: Pelanda 1984b; 1985a; 1985b), abbiamo generato una particolare posizione di "realismo autoreferenziale" che esibisce la vocazione di dare ragione del come vengano creati i livelli di realtà (e verità). Questa base ci permette di avviare una regolazione di realismo autoreferenziale del decisionismo - ovvero di esplicitare il metodo del decisionismo come procedura di creazione dei livelli di realtà e trovarne alcuni requisiti - al di fuori dei tradizionali schemi base sia del razionalismo scientifico sia del pragmatismo.

Tale finalità è contenuta in un testo organizzato in termini di contrappunto critico tra la nostra posizione e quella di realismo eteroreferenziale, cioè la base dottrinaria del razionalismo scientifico.

Il raggio del lavoro che segue è limitato al livello degli schemi concettuali più generàli relativi al problema metodologico del trattamento della realtà. Non prenderemo in considerazione, quindi, gli schemi di scienza delle decisioni (dedicati al problema di "presa delle decisioni", che è cosa molto più ristretta) nè quelli delle discipline operative. Il nostro contributo al "pensiero strategico", pertanto, resta confinato entro un livello di linguaggio teorico proprio della riflessione più generale sul problema del Metodo. Problema che vediamo in termini di dominio del processo evoluzionistico, in generale, e decisionistico, in particolare, di creazione dei livelli di realtà.

La regolazione epistemologica di tale processo è un precursore della regolazione metodologica della 'strategia', correntemente forma di decisionismo programmatico e realizzativo non regolato o regolato solo su base pragmatica (2).

Nel nostro scritto usiamo il termine 'decisione' nel peculiare significato di "generazione e organizzazione di uno statuto di segni ed operazioni".

 

2 - L'interruzione di un regime di indecidibilità attraverso una decisione come problema metodologico generale sia della cognizione che dell'azione finalizzata

Non esiste, in forma codificata, una definizione generale di quale sia il problema metodologico dell'azione finalizzata in senso realizzativo. Se ne può estrarre una, con proprietà sintetiche, dall'enorme letteratura dedicata a tale settore. Più o meno il problema viene posto in termini di come ottenere la conoscenza di un campo di realtà e di come trasformare quest'ultima in decisione che inneschi l'azione realizzativa in funzione della finalità. Oppure di come approssimare la prima, lì dove inottenibile o inaffidabile, in modo tale che la decisione possa essere lo stesso ragionevolmente agganciata ad un precursore cognitivo realistico (il settore dell'azione decisa ed eseguita in regime di incertezza cognitiva e/o informativa).

questa formulazione del problema è influenzata dalla dottrina che noi chiamiamo di realismo e razionalismo eteroreferenziali. Ovvero una forma di razionalità basata sul far corrispondere il più possibile la decisione allo stato della realtà (cioè in eteroriferimento ad essa) ed a una previsione attendibile sull'evolversi di essa stessa. Così espressa, tale formulazione mostra la sua dipendenza dottrinaria dal razionalismo scientifico (dominante nella cultura metodologica). Cioè da una dottrina in cui 'conoscenza' e 'decisione', e le procedure afferenti alle due, sono considerate entità nettamente distinte. Chi persegue soluzioni del problema metodologico dell'azione finalizzata alla luce della citata cultura razionalistica è pressochè "naturalmente" orientato ad ancorare la 'decisione' alla 'conoscenza', ovvero le procedure della prima a quelle della seconda (la direzione della soluzione pragmatica, invece, sarebbe quella di ancorare la 'conoscenza' alla 'decisione'). In altre parole, entro tale ambito la regolazione epistemologica del decisionismo metodologico, qualora ricercata, sarebbe attuata per estensione applicativa della dottrina metodologica standard della scienza, ovvero seguendo il criterio dell'aderenza più stretta di un processo decisionistico alle procedure, regole e tecniche del metodo scientifico (3). Cominciamo il nostro discorso partendo dall'esplorazione (ovviamente schematica) dei problemi afferenti all'approccio appena citato.

Definiamo la complessità del mondo reale, o di un pezzo di esso, come una situazione - un regime - di indecidibilità.

Il razionalismo scientifico vecchia maniera (es. la dottrina metodologica dell'empirismo logico) direbbe che l'indecidibilità può essere interrotta dalla conoscenza ottenuta attraverso uno specifico metodo di accertamento della verità empirica. Questa non sarebbe una 'conoscenza decisa', ma una conoscenza sostanziale perchè gradualmente confermata da successive prove di corrispondenza tra teoria che organizza la conoscenza stessa e realtà empirica. In altri termini, verrebbe detto che la conoscenza ottenuta con il metodo scientifico è in grado di interrompere sostanzialmente un regime di indecidibilità cognitiva al riguardo del mondo reale.

Quest'ultima affermazione verrebbe contrastata con forza estrema dalla più recente riflessione sul potere cognitivo della scienza e del suo metodo. In questi ultimi decenni si è consolidata l'idea della indimostrabilità del contenuto di verità di qualsiasi forma di conoscenza scientifica. Essa può essere solo controllata in negativo, si può cioè vedere se è falsa alla prova dei fatti, ma se non è falsa alla luce di certi fatti ciò non significa che sia vera, bensì semplicemente non ancora falsificata (questo, più o meno, è il succo epistemologico del realismo critico di Popper). Ulteriormente, e ancor più di recente, ha preso piede la nozione di ricerca scientifica come processo argomentativo senza fine dove le teorie sono continuamente forzate a mostrare i propri limiti. ln altri termini la riflessione corrente, e, a nostro avviso, più matura sulla scienza ed all'interno della scienza nega che sia possibile chiudere un circuito di verità, macroscopica o locale essa sia. In sostanza, il metodo della scienza non è in grado di interrompere un regime dl indecidibilità attraverso forme di conoscenza stabilizzata.

Detto in altre parole, il metodo scientifico non interrompe un regime di indecidibilità cognitiva attraverso la fissazione di una conoscenza stabilizzata sulla base di un dominio fattuale certo. Lo interrompe attraverso una decisione, ovvero genera una 'conoscenza decisa' alla luce di una volontà ed un consenso che considerino ragionevole la corrispondenza della teoria con certi fatti (4). Che la conoscenza scientifica, in un dato tempo, sia una (peculiare forma di) decisione ha molti più effetti nel mondo della realizzazione pratica che non in quello della ricerca teorica. auest'ultimo è vincolato solo dall'obbligo sia di sottoporre continuamente ogni 'conoscenza decisa' alla frizione con un numero crescente di fatti, sia di organizzare le congetture teoriche in modo tale che siano permeabili ad essere modificate dai fatti stessi. Tale processo può andare avanti all'infinito. Non vi è, in altri termini, alcun obbligo di produrre interruzioni 'forti' del regime di indecidibilità cognitiva.

Tali interruzioni forti del regime di indecidibilità cognitiva, invece, sono d'obbligo per chiunque operi nel mondo della realizzazione finalizzata (scienza e prassi del controllo, della realizzazione tecnologica, della programmazione, dell'azione operativa, ecc.). Chiunque operi in questo ambito è costretto o portato a - forzare un campo di realtà a disporsi (o a ricombinarsi o a ricrearsi) entro uno schema simbolico e concreto desiderato. E', cioè, costretto a realizzare concretamente qualcosa a partire da una conoscenza decisa. In alcuni settori, come la ricerca e realizzazione tecnologica, l'interruzione di indecidibilità si avvale di un precursore. Tale precursore è costituito dalla possibilità di confinare un campo di realtà in modo tale che entro di esso viga una situazione determinata sostanzialmente e quindi determinabile cognitivamente su base sperimentale (si pensi a qualsiasi forma di macchinismo). In altri settori, per esempio quelli che riguardano i processi sociali, tale possibilità di creare un confine precursore che renda determinabile il campo di realtà oggetto di cognizione-intervento è labile. ln questo ambito l'interruzione di indecidibilita, attraverso una decisione realizzativa, non può avvalersi di un delimitatore di campo che stabilizzi, e isoli dall'indeterminismo (evoluzionistico) macroscopico, il livello di realtà che si vuole forzare a disporsi entro il proprio disegno. Delimitazioni di campo, ovviamente, avvengono. Per esempio: gli economisti escludono dai loro modelli le variabili sociologiche; i sociologi (per lo più) escludono, per esempio, le dimensioni biologiche; gli analisti di sistemi sovradeterminano i propri schemi in senso quantitativo-formalizzato, ecc. Ma tali delimitazioni, proprio perchè non sostenute concretamente da un confine reale tra esse e "tutto il resto che è rilevante", assumono la caratteristica di essere schemi disciplinari, statuti di segni teorici, linguaggi ecc. notevolmente inefficaci in sede di previsione e realizzazione di programmi o azioni finalizzate di vario tipo.

In altre parole, una macchina, prodotta da una teoria-macchina autofinale a sua volta generata da una conoscenza decisa, riesce ad entrare in relazione di indifferenza con altri campi di realtà che non siano il proprio, in quanto concretamente isolata dai primi (per esempio attraverso un'interfaccia intelligente che regola le relazioni tra i due livelli di realtà). Un modello economico, un piano strategico, ecc., invece, restano aperti all'irruzione dell'indeterminismo del mondo reale. Tali macchine imperfette, in quanto incapaci di autovalidarsi funzionalmente, sono costituzionalmente degli interruttori molto labili del regime di indecidibilità.

Ora, eravamo rimasti al problema di quanto ragionevole sia l'opzione di ancorare al metodo scientifico la decisione realizzativa. Tale metodo, se applicato nella sua forma pura, produrrebbe una situazione paradossale. Ad ogni richiesta da parte del modello strategico operativo (personalizziamo la cosa per vezzo e comodità) del tipo "è saturo il campo informativoconoscitivo che permette l'innesco dell'azione decisa razionalmente sulla base della corrispondenza empirica?", la risposta sarebbe sempre "no". Cioè si attuerebbe una sequenza infinita di "siamo pronti?" "No". In altre parole la decisione strategica ancorata ai requisiti epistemologici del metodo scientifico, inteso come ricerca non delimitabile della conoscenza, si configurerebbe semplicemente come non-decisione. Cioè il regime di indecidibilità non verrebbe interrotto.

Si potrebbe, allora, passare a livelli di uso del metodo scientifico degenerato sia in senso riduttivistico e deterministico sia in quello strumentale-convenzionalista. Ambedue, pur molto diversi, con la forma pura del metodo scientifico condividono le procedure di "realismo eteroreferenziale" ovvero procedure che rispettano dichiarativamente il vincolo della corrispondenza tra schemi teorici (di rappresentazione, di computazione, ecc.) e realtà fattuale. Tuttavia, nel primo caso, la mancata falsificazione contingente di una qualche conoscenza qualifica quest'ultima come certa o, meglio, "consolidata", in quanto verificata; nel secondo caso la conoscenza è definita solo in base alla sua utilità strumentale (come se fosse vera in quanto funziona). In ambedue i casi la "conoscenza decisa" viene trattata come strumento di dominio reale. Ancorare a questo livello impuro del metodo scientifico la decisione strategica significherebbe potere, ad un certo punto del processo di strutturazione del campo informativo-conoscitivo, chiudere il circuito di indecidibilità (cioè: siamo pronti? Sì), e decidere di agire guidati dal piano strategico prescelto. Tale decisione e l'azione, tuttavia, sarebbero basate su una 'conoscenza decisa', ovvero su una conoscenza di cui è epistemologicamente indecidibile il livello di verità (di dominio reale dei fatti e degli eventi possibili), ma che ritiene di essere sufficientemente prossima alla verità o ad una schema predittivo computazionale ed operativo convenzionale capace di sostituire il problema della verità stessa. ln questo caso lo status epistemologico (ovvero la relazione con la realtà-verità~ della decisione che interrompe il regime di indecidibilità sarebbe a sua volta indecidibile. E ciò perchè, come già detto, di ogni forma di 'conoscenza decisa' è indimostrabile il livello di verità eteroreferenziale (ovvero la corrispondenza tra la conoscenza decisa e la realtà a cui quest'ultima afferisce).

L'uso operativo-applicativo del metodo scientifico "degenerato" assume, pertanto, il medesimo status epistemologico del decisionismo di tipo pragmatico. Cioè quello di una relazione indecidibile tra conoscenza e realtà, ovvero quello di una decisione dichiarativamente ancorata alla realtà, ma sostanzialmente arbitraria. Il decisionismo metodologico non è epistemologicamente regolabile alla luce del metodo scientifico puro (che non può chiudere mai il circuito di cognizione della realtà) nè impuro (in quanto lavora su 'conoscenze decise' come se fossero vere, senza possibilità di dimostrarne la verità).

In inciso, perchè poi non torneremo più su questo discorso, neppure il metodo dell'analisi storica possiede tale proprietà regolativa. La conoscenza storica, per l'uso operativo, ha significato solo se accompagnata da una conoscenza dimostrabile del grado di stabilità del livello di realtà alla quale afferisce. Poichè quest'ultima è indimostrabile (implicherebbe un dominio deterministico dell'indeterminismo evoluzionistico), la pretesa che una correlazione passato-futuro (o presente) abbia significato è del tutto arbitraria. lnoltre, qualsiasi conoscenza storica, in quanto retrodizione, ha lo status di 'conoscenza decisa'; ovvero il medesimo status, in relazione alla verità, delle versioni sia pura che impura del razionalismo scientifico e relativi problemi già citati.

Lo 'slogan' che sintetizza queste righe può essere: l'uso operativo, o finalizzato in genere, di metodi ancorati al - e regolati dal - razionalismo scientifico nelle sue varie e molteplici forme si risolve nel paradosso di interrompere un regime di indecidibilità attraverso l'indecidibilità.

Ovviamente quest'ultima frase trova il suo significato in senso proprio a livello epistemologico, ovvero il livello in cui si pensa al problema del trattamento della realtà in relazione a quello della verità. Il lettore, probabilmerlte, è interessato a vedere se il limite epistemologico individuato (che tra l'altro è argomento ormai ampiamente trattato in letteratura anche se non nella cultura diffusa) si configuri anche come limite funzionale. Potrebbe contrapporci, infatti, la considerazione che, dopotutto, di cose al mondo ne vengono realizzate, nel bene e nel male. In effetti l'indecidibilità del mondo reale viene concretamente interrotta da decisioni-azioni che realizzano particolari schemi antropici finalizzati. Cioè certi livelli di realtà vengono ricombinati in funzione di un disegno specifico, sia esso la costruzione di un ponte imponendo a del materiale grezzo lo statuto di segni che organizza il progetto oppure l'ottenimento di un obiettivo sul piano politico sociale ricombinando funzionalmente risorse umane e materiali giacenti originariamente su piani diversi di finalità, ecc. Ma come?

Come avviene la creazione dei livelli di realtà? Come, a partire da una 'conoscenza decisa' si arriva a realizzare un piano di realtà esistente, e in tal senso "vero"? Le risposte tradizionali o correnti a queste domande sono notevolmente insoddisfacenti. ln certi settori dell'attività antropica, scienze applicate per esempio, si dice che ciò avviene perchè si usano conoscenze e tecniche che forniscono un sostegno reale alla volontà realizzativa specifica, cioè conoscenze decise sufficientemente vere. in altri settori, dell'azione operativa per esempio, si invoca l'intuito, l'intelligenza realizzativa e pratica (la 'metis'), l'arte ecc.; ovvero concetti che attribuiscono alla mente una capacità di dominio dei fatti, un po' misteriosa e sfuggente a qualsiasi analisi razionale e posseduta in grado diverso sia sulla base di qualità individuali sia dell'esperienza. In altre parole si invoca il metodo della prassi, una sorta di fiuto delle cose, metodo che sfugge, vista la complessità dell'organizzazione culturale e della mente, a qualsiasi tentativo di comprensione. In sintesi il processo di creazione dei livelli di realtà (sia finalizzato che non-intenzionale) viene spiegato in modo molto labile.

Come viene regolato, poi? Chi è influenzato dalle varie dottrine del razionalismo scientifico cerca di regolare il decisionismo metodologico (in tal caso la presa di decisioni, intesa come atto di organizzazione e selezione di alternative) attraverso il già citato ancoraggio con la realtà fattuale. Chi è influenzato da altre tradizioni (soggettivismo, volontarismo, ecc.) la volge in termini di poetica e prassi della realizzazione operativa (cioè l'azione sostituisce la conoscenza). Altri ancora, consapevoli dei limiti razionali delle prime e dell'irriflessività metodologica delle seconde, tentano una sintesi dove la razionalità scientifico-empirista regoli il decisionismo pragmatico, stabilendo tuttavia il primato del secondo. quest'ultimo approccio trova esito in soluzioni metodologiche di tipo strumentalistico. Nel caso, la regolazione epistemologica del metodo strategico consisterebbe nel dichiarare quest'ultimo come procedura di ricombinazione finalizzata di tutte le conoscenze (decise) contingentemente a disposizione. Su questa strada ci siamo già mossi proprio con il curatore di questo volume (vedi Jean e Pe~anda 1984) nell'ambito del tentativo di individuare l'autonomia metodologica della strategia. Tuttavia una procedura di ricombinazione strumentale (di pragmatismo metodologico) deve basarsi sulla capacità di dominio del processo di creazione dei livelli di realtà.

Viene chiamato in causa, infatti, l'occhio con cui si guarda alla realtà e il tipo di credenza su di essa. La scienza, al riguardo, esibisce un paio di difetti fondamentali. La dottrina metodologica di essa, nelle varie versioni, si occupa di una parte molto ristretta del problema della realtà. Ovvero quella parte dove, dato un piano di realtà, c'è il problema di accertarne le caratteristiche. La dottrina metodologica del razionalismo scientifico non si occupa della creazione dei piani di realtà (se non nei termini ristretti, del ruolo tra osservatore e oggetto osservato, inseparabili, per esempio nell'analisi quantistica in fisica). Chi se ne occupa, allora? Lo fanno le singole scienze analizzando i processi dell'evoluzione ai diversi livelli di organizzazione della materia. Tanti risultati di queste, utili a progredire nelle decisioni (conoscenza decisa) sul come la realtà si crei e come sia fatta complessivamente non trovano, tuttavia, uno sbocco nella modificazione della dottrina metodologica della scienza. Quest'ultima resta autodelimitata al problema dell'accertamento della verità entro un campo di realtà, fino al punto di non saper poi descrivere come la scienza crei se stessa. Tale paradosso ha radici molteplici ed antiche che riporteremo sommariamente più avanti.

questa citazione ci serve solo per dire che alcuni fondamenti del razionalismo scientifico (che è rilevante perchè influenza in modo dominante gran parte della cultura metodologica corrente), in cui la posizione di realismo eteroreferenziale assume particolare profilo, dipendono dal programma autodelimitativo della dottrina metodologica della scienza empirica che si vuol occupare solo dell'accertamento della realtà livello per livello. Il processo . di creazione dei livelli di realtà, pertanto, è lasciato pressochè del tutto inesplicito. Così pure il come e il perchè del decisionismo metodologico, sia nella scienza sia nell'attività realizzativa antropica in generale.

A chi è lasciato allora il compito di definire quali siano i processi di creazione della realtà, e di come essi siano possibili? A chi la realtà la crea. Ma sia gli scienziati che gli artisti, che i politici o i realizzatori operativi in genere, producono autodescrizioni di mero valore dichiarativo al riguardo di tale processo. Soprattutto non contribuiscono alla sua oggettivizzazione. Così abbiamo un altro paradosso: che mentre tutti e tutto sono soggetti ed oggetto nei processi di creazione della realtà (e della verità) domina nella cultura una dottrina metodologica che parla di - e ricerca - una realtà o cerca di trascendere il problema attraverso soluzioni pragmatiche.

ln riferimento a tale tipo di dominio culturale assume sapore eterodosso la nostra affermazione principale, su cui ruoterà il seguito: la realtà (e la verità) è immensamente flessibile ad essere creata - in senso concreto ed oggettivo e non solo soggettivo, il che è ovvio - attraverso decisioni autoreferenziali che si costituiscono come un livello di realtà capace di forzare altri piani di realtà a ricombinarsi in esso o a ridisporsi secondo i criteri di esso stesso. auesta nostra posizione di realismo autoreferenziale è, appunto, eterodossa in relazione alla dottrina del razionalismo scientifico e del realismo eteroreferenziale. Ed è anche eterodossa nei confronti delle culture operative basate sul pragmatismo più smaccato ovvero al di fuori di qualsiasi metodo. Ovvero, ancora nell'ambito del decisionismo metodologico non regolato epistemologicamente.

ll significato del voler ottenere una regolazione epistemologica del decisionismo metodologico (cioè di quel processo per cui una decisione interrompe un regime di indecidibilità) consiste nel portare a livello di linguaggio intersoggettivo (cioè di metodo) quello che finora è rimasto inesplicito o risolto solo entro linguaggi soggettivisti. Tale tentativo dovrebbe avere un certo impatto nei confronti delle discipline operative e della realizzazione. Quest'ultime sono sempre state libere (o abbandonate, se si vuole) di imitare dottrine metodologiche nate per scopi non-realizzativi (dove appunto la 'conoscenza' è ritenuta cosa diversa della decisione, e la differenza, si ricordi, è solo sociologica - cioè dichiarativa - non epistemologica - cioè sostanziale) con esiti ridicoli (tipo il ritenere d'uso pratico la Teoria dei giochi) o libere di comporre la propria metodologia nella beata irriflessività del pragmatismo più scanzonato (cioè dell'irrazionalismo e irrealismo sistematici).

Implicitamente stiamo rispondendo alla domanda che abbiamo formulato poco sopra. Se, cioè, il limite epistemologico dell'applicazione sia del razionalismo scientifico sia del pragmatismo non regolato, possa costituirsi anche come limite funzionale ed operativo (prasseologico) del metodo realizzativo

in generale, e strategico in particolare. La risposta è sì, in quanto nessuna di queste due culture metodologiche si costituisce come procedura di dominio esplicito del processo di creazione dei livelli di realtà.

Il dominio del processo di creazione dei livelli di realtà è il luogo ove deve essere cercata la soluzione al problema del metodo dell'azione finalizzata, in generale, e di quello strategico in particolare (anche di quello scientifico, ma qui nol tratteremo questo punto). Tale problema va formulato non in termini di come trasformare la conoscenza in decisione-azione (o trovarne succedanei strumentali) ma in termini di quale tipo di struttura intrinseca debba avere la decisione - e l'azione realizzativa - per interrompere un regime di indecidibilità. ln altre parole l'individuazione dei requisiti che permettono alla decisione di costituirsi come livello di realtà capace di forzarne un altro a disporsi in esso, concretamente, è l'obiettivo di fondo che caratterizza il nostro tentativo, qui in forma preliminare. Ripetiamo, ciò significa voler regolare epistemologicamente il decisionismo metodologico.

 

3 - Breve critica al realismo eteroreferenziale, alla gnoseologia e al razionalismo ad esso afferenti

Lo studioso che, leggendo la sezione precedente, si è reso conto del nostro muoversi sulla base dell'equivalenza epistemologica tra 'conoscenza' e 'decisione', per etichettarci nell'ambito della riflessione passata su questo tema, potrebbe collegare le nostre parole ad una molteplicità di tradizioni: dell'idealismo gnoseologico di Kant - la mente non scopre le leggi di natura, ma impone le proprie leggi sulla natura - o dell'operazionalismo di Reichenbach - il trattamento delle leggi di natura attraverso postulati nè veri nè falsi funzionali alla semplificazione del linguaggio - ecc. Poi potrebbe sospettare che, nel tradizionale scontro tra 'scienza' e 'strumentalismo', strizziamo l'occhio un po' alle tesi del vescovo Berkeley, un po' al convenzionalismo di Poincaré e di Duhem, un po' al nominalismo, un po' al "comeseismo", un po' al formalismo hilbertiano, un po' alle soluzioni soggettivistiche e a quelle utilitaristiche al problema della conoscenza. Ci eticheterebbe, in altre parole, nell'ambito congiunto delle tradizioni del realismo metafisico e dell'irrazionalismo gnoseologico ed epistemologico.

Verremmo posti, quindi, su un fronte contrapposto alla posizione dottrinaria standard derivata dal realismo eteroreferenziale che sta alla base delle procedure della conoscenza scientifica e della razionalità da quest'ultima derivata.

Niente di tutto questo. O, meglio, la nostra visione è profondamente contraria alle forme di realismo basate sul concetto, per noi semplicistico, di verità come corrispondenza con i fatti. Ma la posizione che perseguiamo, pur risentendo del riemergere dei temi nominalistici nell'ambito della riflessione sul Metodo, trascende di molto il tradizionale scontro filosofico sulla natura 'vera' d 'strumentale' della conoscenza scientifica, così come trascende gli altrettanto tradizionali, e collegati, problemi del "monismo metodologico", del programma demarcazionista tra scienza e non-scienza, del soggettivismo contrapposto ad oggettivismo, ecc. La nostra posizione di realismo autoreferenziale tratta il problema della realtà-verità vedendo quest'ultima come entità ontogenicamente indeterministica e oggettivamente creabile attraverso decisioni autovalidantesi ed autorealizzantesi. Prima di dare, pur in minimo dettaglio, la posizione di realismo (evoluzionistico) autoreferenziale, vediamo, anch'essa in modo molto sommario, quella di realismo eteroreferenziale.

 

3.1. - Il realismo eteroreferenziale come cuore dell'impianto gnoseologico ed epistemologico del razionalismo scientifico

Il pilastro del razionalismo scientifico è costituito dalla posizione nota come realismo empirico (5). Quest'ultimo, in presentazione ipersemplificata, dice che esiste una realtà oggettiva esterna al soggetto e che essa è dominabile cognitivamente da quest'ultimo (le formulazioni di "realismo ipotetico" e "realismo relativista" sono più morbide, ma fondamentalmente analoghe); tale realtà viene conosciuta attraverso processi di apprendimento per prova ed errore dove gli errori vengono via via eliminati sulla base della loro mancata corrispondenza con i fatti reali; il modo di conoscere che risulta più aderente alla realtà è quello del metodo scientifico, inteso come metodo (sia in versione induttivista che ipotetico-deduttivista, sia in senso confermazionista che falsificazionista, ecc.) che rende massimamente suscettibile di modifiche lo schema mentale interno del soggetto stesso. Ovvero, attraverso l'uso del metodo scientifico, un soggetto cognitivo e guidato dalla realtà "esterna" a sè nel processo di scoperta della verità. La conoscenza cosi~ ottenuta è 'la Conoscenza' in quanto, anche se provvisoria - 'su palafitte' - è l'unica forma del dominio cognitivo che possa essere confutata intersoggettivamente, ovvero controllata da più soggetti che usano il medesimo schema di riferimento metodologico, ovvero controllata in modo oggettivo non influenzato dal soggettivismo dell'utilità contingente, o ideologico o metafisico.

auanto questa posizione trovi varianti, ognuno può visitarlo a piacere nella letteratura sulla scienza (6). Ma tutte queste varianti ruotano intorno ad un cuore che resta fisso, ovvero la credenza che l'unica forma di verità ammissibile come tale abbia natura eteroreferenziale, ovvero il credere che "la verità sia corrispondenza con i fatti" (per esempio, l'individuazione di Popper del concetto di verità come verità empirica).

La credenza appena menzionata presuppone un'affermazione rilevantissima a livello gnoseologico. Al riguardo è illuminante la posizione di Toulmin (1981). ln estrema sintesi egli dice che il problema classico della gnoseologia è quello di rispondere alla domanda: come mai la mente conosce la natura (leggi: la realtà esterna al soggetto) e come mai la natura si fa conoscere dalla mente? La risposta, ultima tra quelle che sono state date nel corso di due millenni, - scrive sempre Toulmin, ma la posizione è meglio descritta in Campbell (1981) - è che la mente è adattata alla natura. ln altre parole viene detto implicitamente che, su base naturale, la mente è configurata in modo tale da poter "corrispondere" direttamente con la natura stessa. Stabilito così un filo diretto tra mente del soggetto e realtà oggettiva, diviene abbastanza semplice il sostenere che la vera conoscenza è quella che più aderisce, nei metodi, al "filo" stesso, ovvero all'esperienza, ovvero la conoscenza eteroreferenziale.

Pur espressa in modo così semplice e forse - agli occhi del collega studioso certamente - improprio, l'idea appare molto potente. Se piove, e dico che non piove, dico una falsità perchè la mia mente è organizzata per cogliere lo stato oggettivo della realtà con cui la mia realtà soggettiva sta interagendo. E su questo non parrebbe pioverci sopra. Allora sembrerebbe ragionevole estendere linearmente la possibilità di verità sensoriale semplice ai problemi cognitivi più complessi. Ed è proprio questo che viene fatto dal razionalismo scientifico nell'elaborare la dottrina metodologica della scienza. In altre parole, viene fissato un metodo che cerca di riprodurre, a livelli più complessi, la medesima interazione mente-realtà del livello "vedo che piove perciò che stia piovendo è affermazione vera", ovvero un metodo eteroreferenziale dove la verità è conoscibile permettendo alla mente di vedere i fatti come sono, senza "disturbi" decisionistici, soggettivistici o metafisici di sorta. Ciò a sua volta fornisce il criterio di verità: essa è sempre decisa all'esterno, ovvero dallo stato 'vero' della realtà oggettiva registrato dalla mente - che può e deve essere - gnoseologicamente neutrale.

Ovviamente qui stiamo semplificando. ll processo di estensione lineare del regime di verità - e conoscenza - semplice a livelli di interazione mente-realtà più complessi non ha portato a punti di vista banali di realismo totalmente ingenuo (il lettore documentato, infatti, può riflettere, per es., sul noto principio di indeterminazione di Heisenberg). Tuttavia il succco della dottrina metodologica elaborata dal razionalismo scientifico, riteniamo, sta in quanto detto. La potenza della prima consiste nell'imporre l'ancoraggio più esplicito di ogni passo dell'agire scientifico alla realtà empirica, ovvero l'ancoraggio ad una epistemologia esclusivamente eteroreferenziale (leggi: un trattamento del problema della verità totalmente controllato dall' "esterno" della mente indagante).

 

3.2. - Individuazione di un limite fondamentale del realismo eteroreferenziale

Ma è vera potenza? La risposta richiederebbe centinaia di pagine. Semplifichiamo citando un noto esempio non risolvibile correttamente all'interno del realismo eteroreferenziale e del razionalismo scientifico-empirista.

Molto spesso alcuni si sono sorpresi della corrispondenza tra matematica e realtà fattuale, sia in sede interpretativa - es. le leggi fisiche "scoperte" in coerenza con - e attraverso - i formalismi matematici - sia in sede applicativa - es. la corrispondenza tra comportamento dei materiali e calcolabilità dei primi attraverso gli statuti computazionali dell'aritmetica. qualcuno è stato portato a credere che la matematica fosse empiricamente vera (Russell riteneva che la verità della matematica fosse una verità logica, ma, non riuscendo a dimostrare il contenuto del concetto di verità logica esibi l'interessante e malizioso sospetto - a suo dire suggerito dall'allievo Wittgenstein - che tale verità fosse di natura tautologica). Altri, come Hilbert, sosteneva la natura nè vera nè falsa - posizione formalista - degli enti matematici. Finalmente la "matematica", attraverso il teorema dell'incompletezza di Godel, ha detto di sè che è indimostrabile la verità dei propri principi fondamentali all'interno di essa stessa (citeremo ancora il teorema di Godel, in una nota, per coglierne un altro significato).

Se si vuole, il problema della corrispondenza degli enti matematici con la relatà empirica può restare aperto. Ci sono tuttavia buoni motivi per sostenere che costrutti matematici veri sono ricavati per inferenza deduttiva da assiomi che sono nè veri nè falsi. Per esempio, che due più due sia uguale a quattro è un'affermazione vera dedotta da un'assioma che è nè vero nè falso.

Lasciando stare il problema all'interno della matematica, dall'esterno risulta che un livello di realtà-verità viene costruito sulla base di uno statuto di segni nè vero nè falso, che ha lo status della 'decisione'. In altre parole una decisione (la generazione di uno statuto di segni), che ha lo status epistemologico peculiare di essere vera in quanto ne è stata realizzata l'esistenza in un ambito indipendente dall'esperienza (in tal senso "nè vera nè falsa"), genera un livello di realtà autoesistente (e autovalidantesi) entro il quale, ed in coerenza con il quale, un altro livello di realtà (per es. l'insieme dei numeri reali) viene forzato a disporsi o a crearsi del tutto ex novo.

Un empirista ortodosso e induttivista direbbe che la cosa è irrilevante perchè il processo di creazione della matematica non ha nulla a che vedere con quello del metodo della scienza empirica. Ma ne è sicuro? E' proprio certo tale empirista che la sua ipotesi di lavoro e l' "occhio" con cui osserva i fatti non siano statuti di segni anch'essi nè veri nè falsi che organizzano i fatti della realtà oggettiva in autoriferimento e non in "eteroriferimento" ad essi? qui si inserirebbe un ipotetico-deduttivista devoto al realismo critic.o (ramo più sofisticato della famiglia) e direbbe che è irrilevante il fatto che la congettura iniziale sia indipendente dall'esperienza, in quanto il metodo scientifico impone in ogni caso il vincolo della corrispondenza tra congettura e realtà empirica in sede di controllo sperimentale o analogo. Cosa risponderemmo noi a ciò? Un po' scortesemente ributtando la domanda: ma come tratta il metodo scientifico dottrinario "l'eventualità" che da uno statuto di segni nè vero nè falso autovalidantesi possa essere generato un livello di realtà-verità (tangibile dallo sperimentatore) altrettanto autovalidantesi, ovvero reale in sè stesso, ovvero un livello di realtà creato attraverso una decisione realizzativa autoepistemologica (cioè che decide in sè la propria verità). Se onesto, a questo punto, il portatore della dottrina standard del metodo scientifico-empirico direbbe che le proprie basi di epistemologia e gnoseologia eteroreferenziali non arrivano a trattare il processo di creazione dei livelli di realtà sulla base di decisioni autovalidantesi, se non espellendo il problema al di fuori del dominio della scienza empirica e della conoscenza da essa prodotta.

Appunto, il come la realtà-verità venga creata sulla base di una decisione indipendente dall'esperienza è un problema che non trova soluzioni nell'ambito dell'epistemologia e realismo eteroreferenziali (7).

Ma perchè non trova soluzioni? La risposta è complicata se costretta in poche righe. Si può semplificare dicendo che il punto centrale del problema è l'enorme equivoco epistemologico prodotto distinguendo contenutisticamente 'conoscenza' e 'decisione'. Tale equivoco, tra le tante, ha due radici specifiche. Tali radici riguardano la natura politica della dottrina eteroreferenziale della scienza ed una interpretazione impropria e riduttiva dell'evoluzionismo.

La dottrina epistemologica e metodologica contemporanea della scienza (empirico-sperimentale) è figlia di uno scontro plurisecolare con le dottrine metafisiche, da un lato, quelle strumentaliste dall'altro (cioè quelle che negano alla conoscenza scientifica lo status di verità, dandogli quello di utilità strumentale) e quelle soggettivistiche, pragmatiste, ecc., da un altro ancora. La durezza del conflitto è stata tale da far sì che la dottrina empirico-veritista abbia assunto toni estremistici tali da renderla pressochè ridicola. Sono state generate posizioni, infatti, di carattere così radicale al riguardo dell'unicità ed esclusività del metodo della conoscenza come conoscenza induttiva empirico-sperimentale (posizione di monismO metodologico - che, pur corretta dal deduttivismo ipotetico e realismo critico-fallibilista di Popper, resta ancor oggi il pilastro del razionalismo scientifico) tali da espellere dalla dottrina dichiarativa della scienza qualsiasi parvenza di decisionismo e di teoria della realtà-verità che non fosse quella della corrispondenza eteroreferenziale. C'è stato un periodo, quello dominato dalla cultura dell'empirismo logico, in cui la dottrina ha tentato di sostituire esplicitamente qualsiasi decisione del ricercatore con un algoritmo formale (tauto)logicamente vero. La "ferocia" demarcazionista della dottrina scientifica nei confronti di tutto ciò che odora(va) di decisionismo risale ai tempi in cui essa era minoritaria nei confronti di visioni del mondo metafisiche o di realismo metafisico (es.: idealismo) o pragmatico.

Ai tempi, in altre parole, in cui "la scienza" era impegnata in scontri pratici con avversari formidabili e fissava le proprie posizioni dottrinarie (gnoseologiche, epistemologiche e metodologiche) in base a criteri politici. Schematizzando, la dottrina della scienza è stata elaborata in modo non decisionistico anche in funzione dello scontro con tutte le altre (paleo)decisionistiche presenti sulla scena della cultura sociale. Pertanto la distinzione dottrinaria netta tra 'conoscenza' e 'decisione' - prodotta dalla dottrina scientifica - ha mero significato politico. Ovvero un significato (nel senso dato da Schmitt al termine 'politica') di distinzione amico/nemico. Cioè una distinzione di valore sociologico, ma non epistemologico. Uno dei risultati di ciò è che esiste una discrasia tra dottrina metodologica della scienza e prassi della scienza. La ricerca 'reale', infatti, è il regno del più puro decisionismo metodologico come procedura di creazione della realtà-verità. Il paradosso è che i ricercatori tendono a usare un linguaggio teorico-metodologico non-decisionistico (cioè quello dei modi della conoscenza eteroreferenziale) per (auto)descrivere i passi decisionistici della loro attività generatrice della realtà-verità. In altre parole la dottrina gnoseologica, epistemologica e metodologica della scienza standard non è in grado di descrivere le procedure reali della scienza stessa.

Cosi radicalmente squilibrata sul versante non-decisionistico, la dottrina della scienza è stata aggredita in buona parte dei suoi fondamenti dichiarativi. Infatti è per lo meno da trenta anni che i portatori della nuova filosofia della scienza Feyerabend, Kuhn, Toulmin, Hanson e Polanyi sono i più noti smontano pezzo per pezzo l'immagine stereotipica di tale dottrina. Il risultato, tuttavia, di questa attività critica ha messo in luce solo il fatto che la scienza è una forma di agire cognitivo basato sul decisionismo metodologico. ll che è stato utile per sbaraccare uno stereotipo radicalmente esagerato in senso non-decisionistico per i motivi politici sopra accennati. Ma ha portato ad un esito intrinsecamente irrilevante (anche se relazionalmente importante), cioè a quello di dire che la scienza e gli scienziati non sono un campo dell'azione antropica cosi sociologicamente diverso da altri. In altre parole, l~arretratezza della dottrina dichiarativa della scienza (non delle scienze, si badi) ha "attratto" critiche focalizzate sullo smontaggio dei suoi pilastri autodemarcazionisti (l'induttivismo, la neutralità gnoseologica, la pretesa di primato e potere cognitivi, la selezione delle teorie in base a criteri esclusivamente empirico-veritisti, ecc.), ma ha solo prodotto l'idea che l'attività di ricerca e cognitiva reale degli scienziati è basata sul pragmatismo. Non ha prodotto - secondo noi la cosa più importante - una regolazione epistemologica del come la realtà-verità, nell'ambito della scienza, venga creata a partire da decisioni autovalidantesi, cioè l'esplicitazione del perchè la conoscenza sia una forma di decisionismo, dando solo l'idea che la ricerca abbia significato nel suo continuo farsi. Questa posizione, che è il punto d'arrivo della critica corrente, si sposa di buon grado con quella di chi ha revisionato le basi dottrinarie del razionalismo scientifico restando, però, fedele ai suoi fondamenti eteroreferenziali (es

Popper, per un verso, Lakatos, per un altro, ecc.). Per farla breve, anche i neo-razionalisti non hanno alcun problema ad ammettere i limiti cognitivi della scienza e, più importante

che la ricerca della verità scientifica sia un processo argomentativo senza fine. Ma ciò si costituisce come alibi per salvare lo zoccolo duro del razionalismo scientifico tradizionale, cioè il primato del concetto di verità come corrispondenza semplice con i fatti e quello del metodo eteroreferenziale come procedura esclusiva per l'ottenimento della conoscenza che più approssima tale tipo di verità. Viene salvata, in altre parole

la distinzione tra 'conoscenza' e 'decisione', anche se della prima è notevolmente delimitato - in relazione al recente passato - il potere di dominio fattuale.

Per inciso, tale salvataggio fa sì che la (sotto)cultura metodologica delle discipline applicative, tributarie della dottrina standard della scienza, (per esempio quelle esplicitamente dedicate al sostegno della presa di decisioni realizzative e programmatiche) resti ancora vincolata al razionalismo scientifico vecchia maniera. Così, nei campi dove è d'obbligo l'interruzione forte del regime di indecidibilità cognitiva, succede che vengano usate procedure metodologiche di mero valore dichiarativo. Cioè una configurazione non capace di dominare esplicitamente e regolare i processi di creazione intenzionale della realtà sulla base di un disegno (8). Con il paradosso che nel settore applicativo-finalizzato i metodi derivati dalla cultura metodologica della scienza risultano equivalenti a quelli afferenti sia al normativismo burocratico che al pragmatismo irriflessivo o volontaristico (quest'ultimo per inciso, come metodo di intelligenza pratica risulta ancora la iglior" procedura di creazione finalizzata dei livelli di realtà anche per la pochezza dei contributi prodotti dal razionalismo scientifico al riguardo).

In sintesi, la distinzione tra 'conoscenza' e 'decisione', pilastro del razionalismo scientifico eteroreferenziale, è una distinzione di valore sociologico e politico. Dare a tale distinzione un valore epistemologico sostanziale è un enorme equivoco che impone la gestione metodologica meramente dichiarativa dei processi di trattamento cognitivo (e pratico) della realtà-verità, dove, nella sostanza, la conoscenza è sinonimo di 'decisione' attuata da soggetti cognitivi (individuali e collettivi) che operano in autoriferimento, e non in eteroriferimento alla realtà, creando quest'ultima e la verità ad essa attribuita.

A parte la rilevanza di quanto detto, tuttavia, riteniamo che la maggior parte dell'equivoro che, reggendo la distinzione tra modi della 'conoscenza' e quelli della 'decisione', nasconde il oroblema della creazione decisionistica dei livelli di realtà e verità, si basi sull'interpretazione riduttiva o deformata della natura evoluzionistica della realtà. Produrre, qui, l'esplicitazione critica di come il realismo eteroreferenziale incorpori nella propria dottrina epistemologica, gnoseologica e metodologica un modello paleo-evoluzionistico ci porterebbe ad usare uno spazio che non abbìamo a disposizione. Passiamo subito, pertanto, al modello generale della realtà che regge alla base la nostra attenzione critica.

 

4 - La posizione di realismo autoreferenziale e l'impianto gnoseologico ed epistemologico da esso dipendente

4.1.- L'immagine della realtà oggettiva secondo la posizione di realismo autoreferenziale (9)

La realtà oggettiva evolve. Ma come evolve? Lo fa su base indeterministica, 'lasciandosi" creare, in un gioco casuale, da qualsiasi fattore in grado di costituirsi come attrattore ricombinante di materia, energia ed informazione. Per esempio, un campo di forze, attraendo e ricombinando diversi livelli di organizzazione della materia, ne crea uno tale da configurarsi come nuovo piano di realtà in relazione a quello pre-esistente. Tale campo di forze può assumere la denominazione di "modulo ordinatorell. Che caratteristiche ha quest'ultimo? Per prima cosa la sua genesi è indeterministica; poi, una volta costituitosi con proprietà di "attrattore ricombinante", tende a "normalizzare" il campo di materia, energia ed informazione esterno ad esso in riferimento ad esso stesso. Per esempio, il Sole ordina "in riferimento a sè" il campo di materia influenzato gravitazionalmente. In altre parole, una volta formatosi su base indeterministica, una volta acquisite le caratteristiche di autoreferenzialità (per esempio l'autocoerenza) un sistema tende ad autoevolvere entro la "logica" chiusa di se stesso (ovvero entro il proprio livello di realtà).

Ad un certo livello di organizzazione della materia la condizione di autoreferenzialità è raggiunta in termini di creazione spontanea di un campo di forze che organizza circolarmente, in un anello chiuso, le dinamiche della materia stessa. Pertanto può essere generalizzato che il primo requisito che individua un sistema autoreferenziale è l'instaurarsi di un regime relazionale tra componenti caratterizzato da legami forti resi tali da un modulo ordinatore-attrattore.

Passiamo ora al livello di organizzazione della materia "vivente".

A taie livello di organizzazione, il "modulo ordinatore", formatosi su base indeterministica, "difende" la propria circolarità (ovvero l'autocoérenza) in modo attivo e non "passivo". Come? Mantenendo un confine tra sè e l'ambiente grazie al quale i flussi di materia energia ed informazione provenienti da quest'ultimo vengono trasformati e rielaborati in funzione della "logica" interna del sistema. In altre parole un sistema autoreferenziale tende sempre a strutturare entro se stesso 'l'indeterminazione' (cioè i flussi casuali di materia energia ed informazione dall'ambiente), ovvero a normalizzare l'ambiente esterno a sè in riferimento a se stesso. Quindi un sistema autoreferenziale (vivente) è una organizzazione chiusa inserita entro una struttura aperta. Quest'ultima è un involucro che regola gli scambi con l'ambiente in riferimento ai requisiti di autocoerenza dell'organizzazione chiusa stessa. In sintesi, vigente il requisito di autoreferenzialità, un sistema evolve in riferimento esclusivo a se stesso fino a che non viene selezionato negativamente da un qualche evento ambientale.

Di che cosa è fatta la realtà? Essa è composta di sistemi autoreferenziali, disposti a diversi piani di organizzazione della materia, energia ed informazione, creati (sistemogenesi) e distrutti (selezione negativa) continuamente in modo indeterministico. Ognuno di essi tende ad autoevolvere nell'ambito del mantenimento della propria organizzazione chiusa ed a "normalizzare" l'ambiente esterno in base ai criteri di quest'ultima.

C'è un ordine complessivo in tale tipo di realtà? No, o meglio, esso è oggettivamente indecidibile. Esistono solo ordini locali, resi tali dalla stabilità relativa generata e mantenuta dal perdurare dell'effetto ordinatore di specifici sistemi autoreferenziali. ln altre parole esiste un immenso insieme di piani di realtà, organizzati da moduli ordinatori autoreferenziali differenziati per stabilità temporale, dagli eoni degli universi ai pochi decenni degli organismi antropici. Il tutto non è analizzabile in modo deterministico; i piani di realtà (e con essa la "verità"), sia oggettiva che soggettiva, vengono creati continuamente in modo indeterministico; ovvero la realtà evolve costantemente e continuamente su base indeterministica e discontinua. ln altre parole, un po' più tecniche, una previsione è vincolata ad una affermazione sul grado di stabilità temporale del livello di realtà a cui afferisce. Se tale affermazione è indecidibile, allora è altrettanto indecidibile la validità (eteroreferenziale) della previsione stessa. In sintesi la realtà è indeterministica in quanto campo di costante creazione "spontanea" dei piani (autoreferenziali) della realtà stessa.

Quello che diciamo significa che l'evoluzione non è un processo che avviene entro un campo di realtà fisso che ne regola i processi, ma che la realtà - sia quella a noi più "vicina", per esempio il livello del quotidiano, che quella più "lontana" - evolve ed evolve creandosi su base indeterministica.

La proprietà principale della realtà oggettiva è quella d'essere continuamente creata e ricombinata da moduli ordinatori autoreferenziali. E~, cioè, immensamente flessibile ad essere creata (e con essa la "verità" oggettiva). Ulteriormente la "realtà" è costituita da livelli di realtà che, poichè ordinati da moduli ordinatori - attrattori - autoreferenziali, stanno ognuno su un proprio piano autoevolutivo specifico. Ovvero la realtà complessiva è un contenitore di un processo di evoluzione indeterministica dove i piani locali di realtà stessa evolvono attraverso barriere di indifferenza, ovvero tendono a non determinarsi rigidamente l'uno con l'altro, pur influenzandosi reciprocamente (cioè, un piano di realtà non determina in Positivo direttamente il contenuto di un altro. Per esempio il piano di realtà geofisico non determina il contenuto di un piano di realtà culturale, ovvero i livelli di realtà non sono strati inscatolati deterministicamente l'uno nell'altro).

L'immensa (non infinita) flessibilità della realtà-verità oggettiva ad essere creata attrave,-so attrattori autoreferenzia_ li è tra i punti più importanti di queste righe e CoStituisce una delle caratteristiche principali della posizione di realismo autoreferenziale nonchè della peculiare teoria dell'evoluzione ad esso afferente.

 

4.2. - Individuazione sommaria del principio di gnoseologia autoreferenziale e del modello di mente ad esso afferente

Sia nel campo della psicologia della conoscenza sia in quello dell'intelligenza artificiale tende a consolidarsi un modello di mente secondo il quale quest'ultima si configura come sistema cognitivo che obbedisce a regole e costruisce rappresentazioni. Un'ipotesi peculiare di tale modello è che la mente adoperi, sia come mezzo di computazione che di rappresentazione, qualcosa di analogo ad un linguaggió formalizzato, ovvero uno statuto di segni ed operazioni altamente strutturato (10).

Su questa base, il modello da noi proposto - qui solo per cenni - è di tipo radicalmente autoreferenziale ovvero un modello della mente che opera in esclusivo autoriferimento.

Come la mente antropica tratta cognitivamente la realtà oggettiva sopra descritta? Alla domanda classica della gnoseologia "come la mente conosce la natura e come la seconda si fa conoscere dalla prima" rispondiamo che la mente non "conosce", ma "normalizza" i livelli di realtà oggettiva da essa toccati in (auto)riferimento al livello di realtà da essa generato o in cui essa stessa è inserita (cioè l'organizzazione sociale delle menti antropiche). In altre parole, la mente antropica è un sistema autoreferenziale (in realtà è un ordine metastabile di tali sistemi, ma qui la differenza non è ancora rilevante e, in ogni caso, un po' troppo lunga ad esplicitarsi) ovvero un livello di realtà autoevolutivo con la proprietà di forzare altri livelli di realtà a ricombinarsi in esso (in forma simbolica, rappresentata, ecc.) o in coerenza ad esso (in forma di realizzazione materiale concreta). Ciò non significa assolutamente che la mente sia totalmente indipendente dai fatti dell'esperienza; significa solo che la mente normalizza quest'ultimi in riferimento alla logica chiusa che ne caratterizza il contenuto in un dato momento. Come ogni sistema autoreferenziale è connesso in regime di scambio con un ambiente esterno a sè, ma tale scambio è (ri)strutturato in funzione dei criteri che caratterizzano l'organizzazione chiusa di tale sistema, così la mente è sensorialmente (direttamente o attraverso stru~enti) in contattO con la realtà oggettiva esterna, ma quest'ultima è ricombinata, o creata - nel nostro linguaggio: "normalizzata~ _ in funzione del piano di realtà specifico che car(atterizza la mente stessa. In sintesi la mente è una macchina autofinale che regola attraverso un interfaccia organizzato dalla propria logica chiusa gli scambi con un ambiente.

In altre parole, la mente antropica non è cognitivamente neutrale, e non può esserlo, nei confronti della realtà °ggettiva esterna a sè. Essa opera attraverso decisioni, sia interpretative sia realizzative, che hanno sempre natura autoepistemologica e che forzano un campo di realtà esterno a ricombinarsi in esse o in accordo con esse. Ovvero che ordinano in autoriferimento un campo di realtà.

Dare in dettaglio il modello di mente (e di evoluzione socioculturale) che regge il discorso fatto sarebbe mollto lungo e complicato in questo contesto. Qui basta segnalare che la mente antropica, in generale, opera attraverso statuti di segni che forzano la realtà oggettiva a disporsi in essi A livello sociologico c'è certamente una differenza (ed è enorme) tra~ ad esempio, un portatore di fede religiosa ed un portatore del razionalismo scientifico. Essi normalizzeranno autoreferenzialmente i fatti della realtà oggettiva secondo statuti di segni diversi. Ma, appunto, il principio non cambia anche se diversi sono gli schemi di (auto)riferimento culturale messi in gioco.

Ciò che è importante in queste righe è che noi pretendiamo, in generale, di sostituire il concetto di "conoscenza" con quello di "normalizzazione cognitiva autoreferenziale" (la 'decisine' di tipo cognitivo). In particolare, a livello di "COnOScenza scientifica", a noi risulta che quest'ultima sia uma decisione (interpretativa o realizzativa) nè vera nè falsa"ma autovalidantesi che forza un campo di realtà a disporsi nello statuto di segni da essa prodotto.

 

4.3. - Razionalità autoreferenziale e status autoepistemologico della decisione

Abbiamo assegnato alla mente antropica la natura di sistema autoreferenziale. Ciò significa che la mente è una organizzazine chiusa inserita in una struttura aperta che regol a gl i scambi con l'ambiente. Tale regolazione avviene attravers") una normalizzazione cognitiva autoreferenziale. In altre parole, i fatti della realtà oggettiva vengono forzati a ridisporsi, ricombinarsi o crearsi, in accordo con il criterio che guida l'organizzazione chiusa della mente. Pertanto la mente, come ogni sistema autoreferenziale è in "relazione" con un ambiente di fatti oggettivi, ma di "indipendenza" in quanto essa tende a normalizzarli in autoriferimento, ovvero in accordo con il modulo criterio della propria organizzazione chiusa.

La mente, pertanto, è sempre razionale in riferimento a se stessa. Qualunque sia il modulo criterio mentale contingentemente dominante, ogni azione o attività cognitiva viene svolta in riferimento a tale modulo, ovvero in autoriferimento (11).

La mente antropica, in sintesi, opera in relazione ad un ambiente attraverso la generazione di un livello di realtà generato su base di razionalità autoreferenziale che forza l'ambiente stesso a ricombinarsi in essa o in forma rappresentata o in termini di realizzazione materiale. Tale livello di realtà è la "decisione" ed essa ha status oggettivamente autoepistemologico; cioè basa su se stessa la propria verità entro l'anello autoreferenziale generato dall'organizzazione chiusa della mente.

In altre parole, ogni atto antropico è attuato attraverso decisioni guidate dal vincolo di riferimento al modulo criterio contingentemente dominante nella mente. In tal senso qualsiasi forma di conoscenza è una decisione autoepistemologica, vera in sè, cioè - eteroreferenzialmente - nè vera nè falsa che può diventare vera solo se realizzata entro un livello di esistenza concreta.

 

4.4. - La realtà e la verità come decisione autoepistemologica realizzata

Consideriamo, per semplificare, un'automobile (o qualsiasi altro prodotto tecnologico). Essa è prima di tutto una "decisione", ovvero uno statuto di segni generato sulla base di una desiderabilità (venga chiamato automa teorico in senso proprio) che costringe la materia a disporsi secondo i suoi dettati e così trasformarsi in automa concreto coerente a quello teorico stesso. Tale decisione non è sottoponibile ad analisi nè di falsità nè di verità. E' solo desiderabile. Se tale decisione, ovvero il suo statuto di segni organizzato come automa teorico, è realizzata entro una configurazione discernibile di materia, energia ed informazione, allora avremo un prodotto concreto che attualizza e fissa un livello consolidato di esistenza della decisione stessa. Il progetto di un'automobile si è consolidato realmente consolidando in senso realizzativo se stesso.

Che tipo di livello di realtà è questo? E' ancora nè vero nè falso? Per un verso sì, in quanto esso è una realizzazione di uno statuto di segni eteroreferenzialmente nè vero nè falso; per un altro verso no in quanto la "materia" si è realmente disposta entro il disegno. Ovvero il disegno ha forzato un livello di realtà a disporsi (allinearsi) entro un altro. Ma che tipo di corrispondenza con i fatti esibisce il livello di realtà realizzato?

Non corrispondenza diretta e lineare, "rappresentativa", ma un tipo di corrispondenza normalizzata in autoriferimento all'automa teorico desiderabile.

Dove gioca la corrispondenza con i fatti, qui? Gioca al livello della realizzazione. La realtà fattuale seleziona negativamente gli automi teorici che non riescono a trasferire la propria autocoerenza a livello di automi concreti, lasciandoli nel limbo di autoteorie desiderabili, ma irrealizzabili o non ancora realizzabili. La decisione realizzata, pertanto, mantiene il suo status autoepistemologico (vera in se stessa), ma nell'ambito di uno statuto di segni nè vero nè falso che crea un livello di realtà che forza i fatti a disporsi concretamente in esso. Tale livello di verità non è caratterizzato da un rapporto semplice con la realtà empirica (mera corrispondenza), ma da un rapporto normalizzato su base autoreferenziale. In tal senso la "verità" è una decisione realizzata in coerenza ad uno statuto di segni autoepistemologico.

In altri termini, la verità è una decisione sui fatti che permette un dominio su di essi attraverso l'esecuzione di un'azione ordinatrice su essi stessi. Per esempio, le teorie e le realizzazioni cibernetiche hanno tale status di verità (12). La matematica ne ha uno assimilabile a quanto detto (13). Così come ogni teoria nella sua configurazione di statuto di segni ordinatore e computazionale, ecc. Tali statuti di segni non vengono selezionati negativamente - e persistono a traiettoria autoevolutiva - non perchè eteroreferenzialmente veri, ma perchè in grado di forzare la realtà a disporsi in essi, mantenendo essi stessi una "relazione di indipendenza" con il problema della verità empirica ("relazione", perchè il livello di realtà desiderato non può desumere dal campo di trasformabilità, o flessibilità, intrinseco del livello di realtà attraverso cui passa la realizzazione; "di indipendenza", perchè lo schema desiderato entra in contatto con la realtà empirica forzando quest'ultima a realizzarsi in autoriferimento ad esso).

 

5 - Avvio della regolazione epistemologica del decisionismo

Regolazione epistemologica significa definire delle regole ancorate ad una teoria del trattamento cognitivo (e pratico) della realtà-verità. Il nostro quadro di riferimento teorico generale dice che la realtà è immensamente flessibile ad essere creata,ed a disporsi su livelli ordinati in autoriferimento, da attrattori autoevolutivi di materia, energia ed informazione i cui sistemogenesi e quadro relazionale complessivo sono indeterministici. La verità cognitiva, al riguardo di tale schema di realtà, cioè di indecidibilità generalizzata, non è corrispondenza semplice con i fatti, ma realizzazione di uno schema che normalizza i fatti in autoriferimento allo statuto di segni contingentemente posseduto dalla mente indagante o da una organizzazione collettiva di esse. La verità oggettiva è 'realizzazione', ovvero una decisione cognitiva che non viene selezionata negativamente, in uno specifico ambito locale temporalmente delimitato, in quanto forza i fatti a disporsi concretamente entro di - o in accordo con - essa facendo così esistere essa stessa. Forza anche altri "occhi" a vedere la stessa cosa, ovvero crea un piano intersoggettivo di verità. ln sintesi, la verità, così come la realizzazione pratica, è un livello di realtà costruita (sia intenzionalmente che no) che domina, allinea in riferimento a se stesso, sia un piano di realtà fattuale sia un piano di comunicazione sociale (si ricordi che in qualsiasi tipo di comunicazione sociale ciò che viene trasmesso è 'potere', ovvero uno statuto di segni che forza quelli di altre menti antropiche a ricombinarsi in accordo con esso; è falso ritenere che la comunicazione sociale, come ogni relazione sociale, sia scambio neutrale).

La realtà oggettiva nei confronti di un attore cognitivo e pratico è "oggettivamente" configurata come regime di indecidibilità. Esso viene interrotto da decisioni. Pur tipologicamente variatissime, tali decisioni hanno in comune il fatto di costituirsi come livelli di realtà autoepistemologici (cioè inizialmente veri solo in sè) che tendono a forzarne altri entro lo statuto di segni che ordina i primi. La traiettoria di realizzazione delle decisioni autoepistemologiche entro piani di realtà-verità concretamente esistenti è esposta a fattori di selezione negat~va il cui avverarsi è oggettivamente indeterministico. Il problema metodologico generale della cognizione e dell~azione finalizzata, secondo tale visione, consiste nel come interrompere un regime di indecidibilità (cognitiva e pratica) a due livelli: quello della struttura della decisione e quella del trasferimento della decisione ad un piano di esistenza concreta, cioè l' "azione". Quali sono i requisiti che dotano la 'decisione' e l'azione della proprietà di provocare un'interruzione forte del regime di indecidibilità complessivo, ovvero della proprietà di rendere concretamente realizzato lo statuto di segni autoepistemologico della decisione?

Tale problema, così impostato alla luce del realismo autoreferenziale, trova soluzione preliminare individuando quale sia il pre-requisito essenziale che dota la decisione (intesa come generazione di uno statuto di segni e operazioni e non come evento di selezione di alternative) di potenziale autoevolutivo. Ciò riguarda la regolazione epistemologica della 'struttura' della decisione stessa (non affronteremo qui il problema dei requisiti di esecuzione dell'azione), cosa che ci accingiamo a fare, pur in modo sommario e preliminare. Prima, tuttavia, è necessario un inciso al riguardo della "filosofia" sottesa al tipo di regolazione attraverso generazione di requisiti che è coerente alla posizione di realismo autoreferenziale.

La visione di realismo autoreferenziale non ammette la validità di alcun requisito regolativo vincolato eteroreferenzialmente. In altre parole nega la validità di qualsiasi criterio che renda dipendente sia la struttura della decisione sia l'azione realizzativa da un quadro di eteroriferimenti. Alla luce delle idee e linguaggi correnti, questa affermazione potrebbe sembrare un manifesto di sconsiderato autismo. Niente di tutto ciò. E' semplicemente il modo di trattare l'incertezza secondo il realismo autoreferenziale. L'incertezza, l'indeterminismo ineliminabile che caratterizza i processi evoluzionistici della realtà (cioè, nel nostro linguaggio, il regime di indecidibilità) è stato esplicitato in tutti i settori del pensiero contemporaneo. Il lettore documentato ricorderà principi di "razionalità limitata" di Simon, di "razionalità evoluzionistica" di Hayeck, di "indeterminazione" di Heisenberg, di "indimostrabilità" di Godel, l'epistemologia fallibilista di Popper, ecc. ll riconoscimento dei limiti oggettivi di dominio eteroreferenziale cognitivo e pratico della realtà ha, tuttavia, generato, per riflesso, una cultura metodologica di tipo rinunciatario. Tale cultura, in pratica, impone l'indecidibilità come criterio base per ogni decisione realizzativa. Cioè, prescrive che per non far selezionare negativamente i propri progetti dalla realtà è necessario concettualizzarli e realizzarli per piccoli passi correlati all'evolversi delle situazioni, ovvero restare sempre in regime di dipendenza eteroreferenziale dalla realtà stessa facendosi guidare da quest'ultima. (ll versante ideologico di tale cultura è quello dell'ecologismo, della teoria dei limiti dello sviluppo, della politica come mediazione, dello 5tato assistenziale e della dottrina delle compensazioni collettive, ecc.). ll grosso equivoco che regge la teoria dei limiti del dominio è quello di pensare che il dominio stesso debba per forza essere di dipendenza eteroreferenziale sia in termini cognitivi che pratici. Essendo esso oggettivamente limi'dto allora deve essere analogamente limitata la costruzione dell'azione realizzativa. Cioè trattare l'indecidibilità attraverso l'indecidibilità (sul versante ideologico ciò implica il principio della conservazione degli stati acquisiti, ovvero la 'difesa', cioè la decadenza controllata). Tale equivoco è enorme. Esso riguarda il modello di teoria dell'evoluzione adottato. Nel nostro, il gioco complessivo della creazione e selezione dei livelli di realtà è sempre irriducibilmente indeterministico, ma un livello di realtà è sempre creato attraverso un processo di determinazione perfetta (spontanea o intenzionale). Un regime di indecidibilità, cioè, è sempre sfondato attraverso la generazione di un livello di realtà configurato come determinismo specifico che impone una relazione di dominio nei confronti di altri campi di realtà. Sulla base di ciò anche noi ricaviamo un principio di razionalità limitata. Ma tale limite consiste nel fatto che l'unica regolazione possibile del processo di creazione di un livello di realtà riguarda la struttura interna della decisione. Cioè interrompiamo l'indecidibilità relativa ai modi eteroreferenziali di regolazione della "decisione" individuandone la decidibilità al solo livello autoreferenziale.

 

5.1. - Il requisito di "coerenza autofinale perfetta" dello statuto di segni che ordina la decisione come precursore essenziale della creazione di un livello di realtà (regolazione epistemologica della struttura della decisione)

Il processo globale che stiamo analizzando, nei suoi termini più generali, è analizzabile a due livelli, quello della sistemogenesi ~a partire da un'organizzazione non-sistemica di elementi e quello della traiettoria autoevolutiva di un sistema in relazione ad un ambiente che è più o meno flessibile ad essere normalizzato dal sistema stesso.

Resteremo, qui, solo sul primo che ha caratteristiche di precursore essenziale del secondo.

Il precursore di qualsiasi processo autoevolutivo è costituito dal formarsi di una logica interna al sistema, ovvero un suo ordine chiuso autofinale. La congettura che ne discende è la seguente: solo decisioni, cioè statuti di segni operativi di vario tipo, la cui struttura sia configurata `in termini di coerenza autoreferenziale perfetta hanno la proprietà di costituirsi come precursori della realizzazione concreta di esse stesse.

Esplicitiamo il punto, facendolo tuttavia precedere da un chiarimento, in inciso, sulla distinzione tra razionalità autoreferenziale della mente ed organizzazione di coerenza autoreferenziale degli statuti di segni prodotti da essa.

Autoreferenzialità della mente vuol dire che essa normalizza cognitivamente un campo di realtà in riferimento a se stessa come contingentemente organizzata - e che qualsiasi statuto di segni prodotto da essa stessa ha natura autoepistemologica, ovvero nè vera nè falsa. Statuti di segni autoepistemologici, tuttavia, non sono necessariamente autocoerenti. La mente individuale od organizzata su base collettiva ed esosomatica non trasferisce automaticamente o naturalmente l'autoreferenzialità (e quindi l'autofinalità) agli statuti di segni da essa generati.

Fatto questo chiarimento, soprattutto per evitare equivoci terminologici, riprendiamo l'esplicitazione del punto sopra menzionato.

Cominciamo con un esempio banale, in cui un precursore di organizzazione coerente autofinale è il processo di confinamento di un campo di realtà. Prendiamo il caso dell'analisi di dati empirici attuata attraverso un linguaggio formale, ad esempio quello della statistica descrittiva. Per applicare tale linguaggio formale sarà sempre necessario chiudere, ad un certo punto, la matrice che organizza i dati stessi. Una matrice indefinitivamente aperta impedisce qualsiasi passo di strutturazione di un ordine che a sua volta crei potenzialmente altri ordini. Il dove e come si chiude tale matrice è sempre, sostanzialmente, una decisione autoepistemologica (cioè eteroreferenzialmente nè vera nè falsa). Ogni affermazione fatta alla luce di tale matrice è una normalizzazione della realtà empirica attuata attraverso la generazione di un livello di realtà autoconsistente (la "matrice") che forza la realtà empirica stessa a disporsi o ricombinarsi entro ad un accordo con esso. In altre parole la sistemogenesi di un livello di realtà (in questo caso una descrizione empirica attuata in linguaggio formalizzato) è sempre precorso da una procedura, con status autoepistemologico, di strutturazione dei confini. Senza di ciò la matrice sarebbe inoperativa a-priori in quanto intrattabile ed incomunicabile, ovvero non interromperebbe neppure a livello preliminare un regime di indecidibilità.

Il significato - banale del resto - di quanto sotteso nell'esempio è che il precursore operativo (realizzativo) di qualsiasi statuto di segni consiste nell'assumere la configurazione di determinismo specifico delimitato, cioè chiuso in quanto confinato.

L'ottenimento di questa pre-condizione, tuttavia, ha ancora significato generico in quanto caratterizza le interruzioni sia deboli che forti di un regime di indecidibilità. Una cosa è una struttura ove gli elementi siano in relazione tra essi solo perchè contenuti entro un confine comune ('sistema' in senso relazionale; è meglio usare il termine 'insieme', in quanto a tale livello è impropria l'attribuzione di proprietà sistemiche). Un'altra cosa è una struttura ove gli elementi confinati sono connessi deterministicamente in base ad una logica autofinale ('sistema' in senso autoreferenziale). Il primo caso implica che entro l'insieme confinato viga un regime relazionale indetermi~nistico o debolmente ordinato (si pensi ad un insieme ecologicc confinato su base geografica) tra gli elementi. Il secondo implica la perfetta determinazione delle relazioni tra elementi in quanto ordinate da una logica autofinale (es. la configurazione di una teoria macchina).

Una decisione configurata come statuto di segni organizzato entro un insieme "ecologico" non ha proprietà autofinali. Ciò significa che essa viene strutturata in termini di processo guidato eteroreferenzialmente dall'evolversi indeterministico delle situazioni. In altre parole, la finalità che essa esprime non è organizzata in modo tale da rendere coerenti ad essa tutti gli elementi contenuti nel campo di realtà generato. Cioè le microfinalità degli elementi non sono regolate entro la struttura autofinale complessiva. Così configurato, lo statuto di segni della decisione risulta un interruttore labile di un regime di indecidibilità (sia pratico che cognitivo). L'azione eseguita in base a tale tipo di decisione ha esiti incomputabili, e non-intenzionali alla `luce delle intenzioni di partenza, non solo per l'ineliminabile indeterminismo dei possibili fattori di selezione negativa, ma prima di tutto per il suo difetto di Struttura intrinseca. Quest'ultima risulta "difettosa" se vincolata ad un quadro predittivo e valutativo esclusivamente eteroreferenziale o configurata su base pragmatica (o normativa, che è una forma di pragmatismo peculiarmente consolidata). Ulteriormente~ il fatto che la struttura della decisione resti aperta permette la sopravvivenza entro di essa di criteri operativi generati per altre finalità. In sintesi, la struttura non perfettamente autofinale ed autocoerente della decisione è precursore di un processo di realizzazione indeterministico simile al modello naturale - in tal senso "decisione ecologica" - dell'evoluzione. La creazione di un livello di realtà, cioè, è regolata da processi alla cieca. E questa è pressochè la norma nel campo delle decisioni realizzative che coinvolgono macchine antropiche complesse. Ma, attenzione, in senso peculiare. Un livello di realtà è sempre creato sulla base di una decisione perfettamente strutturata in senso autofinale. Ciò che è indeterministico è quale tipo di statuto di segni (e quindi quale finalità) emerga e sia realizzata nell'ambito dell'interruzione debole di un regime di indecidibilità prodotta da una decisione non strutturata in senso perfettamente autofinale.

Il requisito di strutturazione coerente perfettamente autofinale della decisione, pertanto, è il precursore essenziale della realizzazi~ne intenzionale di un disegno.

Tale requisito implica che la decisione acquisisca caratteristiche di sistema autoevolutivo, ovvero quelle di una organizzazione chiusa di segni ed operazioni contenuta entro una struttura aperta (di confine) che regoli gli scambi con un ambiente, sia simbolico che concreto, in riferimento ai criteri dell'organizzazione chiusa stessa. Ciò a sua volta implica la costruzione di un modulo ordinatore dotato della proprietà di determinare perfettamente la propria finalità ed i propri processi riproduttivi (cioè l'azione sarebbe una sequenza di isorepliche della decisione ovvero un processo autoevolutivo della decisione stessa). La decisione, in tale senso, sarebbe organizzata come una peculiare teoria-macchina autoconcludentesi, o automa teorico. Quest'ultimo esibisce la caratteristica fondamentale di regolare l'indeterminazione nei suoi processi interni riconducendoli sempre ad uno status di coerenza con l'autofinalità. ln tal senso la decisione si configurerebbe come livello di realtà ordinato da un modulo attrattore autofinale che 'incolla' a sè i propri elementi ed è predisposto a normalizzare - forzare - in riferimento a se stesso altri campi di realtà ricombinandoli.

In metafora, costruire una decisione regolata dal linguaggio teorico qui esibito sarebbe simile alla strutturazione di un codice genetico di un organismo o del modello che rende intelligente una macchina. Cioè costruire uno statuto di segni ed operazioni che regoli un processo autoevolutivo in funzione della finalità programmatica (sarebbe una sorta di panorama tecnoepigenetico della decisione).

Fuor di metafora, la regolazione epistemologica della struttura della decisione alla luce del realismo autoreferenziale, propone di organizzare lo statuto di segni della decisione in termini di automa teorico, ovvero di sistema con proprietà autoevolutive. E ciò per sfruttare la caratteristica principale della configurazione di automa teorico (o teoria-macchina se si vuole) ovvero quella di regolare esplicitamente in autoriferimento e non in eteroriferimento (che rende sempre indecidibile la decisione) il trattamento della realtà e quindi costituirsi come attrattore e ricombinatore sostanziale della stessa, nonchè precursore dell'interruzione forte (cioè realizzativa) di un regime di indecidibilità.

In sintesi, la nostra indicazione prescrive che la 'decisione' debba essere strutturata come una teoria-macchina autoevolutiva. Tale impostazione, ora, aprirebbe un'enorme scenario di specificazioni che vanno: dal problema della distinzione tra macchine autopoietiche (che operano sulla base di un input esclusivamente interno) e allopoietiche (tipo le automobili e gli strumenti in genere che operano su input e finalità esterne), da quello di costruzione di un progetto realizzativo in termini di macchinismo antropico autofinale a quello di cosa vuole dire ciò a livello di organizzazione (della comunicazione) sociale, da quello di esplicitare la differenza tra il concetto di macchina autoevolutiva e il modello di sistema omeostatico come elaborato dalla cibernetica tradizionale a quello di rendere chiaro cosa è una 'macchina' a livello bio-sociale e culturale, ecc. Temi certamente complessi ed incontenibili in questo spazio. "Complessi" soprattutto perchè la cultura diffusa è ancora dominata da schemi concettuali che vedono la decisione come atto di selezione tra alternative tracciate su una mappa mentale o computazionale costruita secondo linguaggi eteroreferenziali e/o come azione pragmatica inesplicita. aui, pertanto, ci basta segnalare il sospetto che un processo decisionistico sia un processo di costruzione di un livello di realtà che ne forza altri a dispo~si, crearsi o ricombinarsi in esso. La 'decisione~ in tale quadro, non assume più il significato comune di linguaggio naturale o di gergo (e contenuto) disciplinare come elaborato dalle dottrine specifiche correnti, a nostro avviso inconsistenti e di mero valore dichiarativo, ma quellO di sistemogenesi ed (auto)evoluzione di un livello di realtà - energia, materia e informazione - organizzato come determinismo specifico autofinale. ln tal senso i requisiti qui impostati.

L'implicazione filosofica qui è ovvia. Si tratta della prescrizione di unificare anche dichiarativamente (cioè a livello di linguaggio teorico e di metodo) i processi pratici e cognitivi di dominio della realtà, essendo essi la stessa cosa nella sostanza ~che è posizione propria del realismo autoreferenziale). Dominio pratico intenzionale dei livelli di realtà significa essere in grado di costruire livelli di realtà con la proprietà potenziale di forzarne altri a disporsi in essi o crearsi in coerenza con essi stessi.

E' importante segnalare, a pena di cadere in un equivoco macroscopico, che quanto andiamo dicendo non significa andare a cercare qualcosa che non c'è al presente. I paradigmi della scienza che orientano la ricerca nelle varie discipline, le (alcune)teorie politiche realizzate in forma di Stato, ecc. sono, per esempio, statuti di segni che possiedono sostanzialmente lo status di livelli di realtà autofinale decisa e configurata con proprietà di automa teorico (e concreto). Sono cioè peculiari forme di teoria-macchina, nonchè macchina, dove per macchina si intende una struttura a coerenza autofinale perfetta, realizzata. Ciò che diciamo significa solo cercare di accorgersi di questo e utilizzarlo per la definizione esplicita e per la strutturazione del decisionismo metodologico, abbandonando i linguaggi di mero valore dichiarativo, come quello del realismo eteroreferenziale, o basati su metodi non intersoggettivamente strutturrati, come il pragmatismo.

L'idea forte, comunque, che regge il tutto è che non esista livello di realtà (non il quadro evoluzionistico complessivo dei livelli di realtà, si badi) che non sia tenuto insieme da un modulo ordinatore e attrattore perfettamente autofinale. L'eventuale critico dovrebbe smontare questa affermazione per far cadere, se non tutto, molto di quanto sosteniamo.

Ricapitolando, la realtà, in generale, viene creata attraverso la costituzione, spontanea o intenzionale, di un livello di realtà che ha caratteristiche di modulo attrattore perfettamente autofinale che ne forza altri a ricombinarsi o a crearsi in riferimento ad esso. Il dominio intenzionale di tale processo impone il requisito precursore e vincolante di strutturare lo statuto di segni con cui è organizzata la decisione in termini di sistema con proprietà perfettamente autoevolutive.

In sintesi, il 'decisionismo' - in quanto processo di creazione dei livelli di realtà su base intenzionale - può diventare 'metodologico' - ovvero metodo intersoggettivo e tecnometodologia - se regolato dalla vocazione epistemologica di una teoria integrata dei sistemi autoreferenziali e dell'evoluzione.

 

6 - Conclusioni

Ogni problema di trattamento simbolico e concreto della realtà diviene il problema di come interrompere un regime di indecidibilità attraverso una decisione.

Esiste un settore dell'attività antropica dove vige esplicitamente la procedura di interruzione debole del regime di indecidibilità. Tale settore comprende ogni tipo di attività che può rimandare all'infinito, per ruolo sociologico, il problema della concludenza realizzativa: la ricerca non delimitabile della conoscenza attuata secondo la versione "pura" del metodo scientifico, l'elaborazione di statuti di segni religiosi e ideologici, in genere; ecc. Questo settore, pur costituito da elementi diversissimi l'uno dall'altro, è caratterizzato in modo omogeneo dalla presenza di linguaggi meramente dichiarativi: la dottrina del metodo scientifico basata sul realismo eteroreferenziale, gli statuti di segni totoesplicativi delle dottrine religiose ed ideologiche in genere, ecc. Tali linguaggi, pur essendo contenutisticamente diversi, ripetiamo, hanno la medesima propriétà di nascondere il come sostanzialmente - cioè oggettivamente - viene trattata la realtà. Per esempio lo scienziato che dichiara come eteroreferenziale un tipo di conoscenza decisa ottenuta trasferendo uno schema autoreferenziale ad un campo di realtà; il religioso che legittima su base 'teoreferenziale' una dottrina sostanzialmente autoreferenziale. questi linguaggi, in altre parole, rivestono di un tessuto dichiarativo non-decisionistico il decisionismo sostanziale at~raverso il quale vengono compiute realmente le operazioni da chi usa questi linguaggi stessi. Questi ultimi sono correntemente dominanti nei processi di comunicazione sociale, sia d'ambito specialistico che diffuso. Ciò produce una sequenza di paradossi. Il principale ? che il processo di creazione dei livelli di realtà viene attuato nell'ambito di una regolazione epistemologica - meglio dire ideologica - guidata e contenuta da linguaggi dichiarativi che negano tale processo o che lo lasciano inesplicito relegandolo nel mondo misterioso della prassi (da cui la distinzione meramente dichiarativa tra teoria e prassi, conoscenza e decisione, ecc.).

In altri termini, la cultura metodologica della realizzazione è dominata dalle dottrine di chi può rimandare all'infinito il problema regolativo della realizzazione. Cuest'altro paradosso fa sì che sia assente dalla cultura metodologica intersoggettiva una procedura di decisionismo metodologico regolato epistemologicamente, ovvero regolato dall'esplicitazione del perchè e del come sia possibile la (tecno)metodologia di creazione dei livelli di realtà.

Nel nostro scritto abbiamo tentato di mostrare che la decisione è un livello di realtà autoepistemologico, configurato come statuto di segni ed operazioni, e che la strutturazione eteroreferenziale o pragmatica di esso ne pregiudica il potenziale di costituirsi come attrattore e ricombinatore intenzionale e diretto di altri livelli di realtà. Abbiamo individuato, sulla base della posizione di realismo evoluzionistico autoreferenziale, un criterio regolativo, con status di precursore essenziale, che dota un livello di realtà della configurazione atta a dominarne o crearne altri in riferimento alla propria finalità. auesto è solo un primo passo nel tentativo di regolare epistemologicamente il processo complessivo del decisionismo metodologico come procedura di creazione intenzionale dei livelli di realtà. Cui ci siamo limitati alla struttura della decisione, pur facendo intendere alcuni criteri impliciti di regolazione autoreferenziale dell'azione realizzativa, criteri la cui esplicitazione costituisce la prosecuzione "naturale" di quanto qui incominciato.

Il nostro contributo al 'pensiero strategico', pertanto, riguarda l'impostazione preliminare del problema della cognizione, della decisione e dell'azione in termini di dominio tecnometocologico del processo di creazione dei livelli di realtà.

 

 

NOTE

1. Per una esplicitazione estremamente chiara della posizione che separa nettamente i modi della conoscenza scientifica pura e quelli della conoscenza strumentale, nonchè della irrilevanza epistemoloqica di questi ultimi, vedi: Popper 1984: 134-138.

E' qui interessante, in inciso, segnalare una variante, coerente a tale posizione, a livello di epistemologia della statistica. Dice

infatti, Scardovi: "esistono statistiche differenti per scopo e mentalità (...). Ed è un errore confonderle così come è senza senso il contrappor Ciascuna ha la propria ragione per esistere: la metodologia della scier,.i e la procedura della convenienza. La seconda non ha interesse epistemologico, ma non è meno importante in senso strumentale ...". Dice ancora questo autore: "... come la statistica investigativa ha trovato il proprio clima culturale nel pensiero scientifico sorto dalla catarsi Darwiniana e Mendeliana e dalla rapida crescita di importanza del principio del caso in fisica, così la "statistica operativa" trova le condizioni storiche per il suo successo nella prevalenza del pragmatismo americano sopra la tradizione europea, l'azione sopra il pensiero ed il "business" sopra la cultura ..." (Scardovi e Monari 1984: 115- nostra traduzione).

2. Per una esplorazione sintetica, ma pressochè esaustiva, dello status disciplinare della strategia, vedi Gray 1982.

3. La procedura dottrinaria fondamentale della scienza empirica consiste nella codificazione del "metodo scientifico" come indicata dallo schema seguente (vedi Pera 1983: 16).

Oi - Hp - Oc - Hc

in cui Oi sta per osservazioni iniziali, Hp per ipotesi plausibile, Oc per osservazione di controllo, Hc per ipotesi controllata, connesse da un legame logico che qui è inutile esplicitare. Questa è la procedura del metodo scientifico, ovvero la sequenza empirico-induttiva che caratterizza la forma standard del conoscere scientifico. E tale procedura è imposta come invariante (posizione di "monismo metodologico") nell'analisi scientifica di tutti i campi di realtà. Ovvero non viene ammessa la legittimità di una pluralità metodologica per ottenere la conoscenza "sistematica ed oggettiva" (pubblicità e giustificazione), che è il compito della scienza. In parole povere, non è ammesso che si faccia scienza empirica al di fuori della procedura induttiva descritta e come descritta.

In tal senso il profilo prescrittivo che definisce il confine tra cosa è scienza e cosa non lo è.

Espressa in modo così generale, la formulazione - e prescrizione dottrinaria - del metodo scientifico può contenere molte varianti, sia quella di realismo e logicismo ingenui, tipica dell'empirismo logico, sia quella del realismo critico falsificazionista di Popper (in tal caso la sequenza deve essere fatta iniziare, non con un'osservazione, ma con una congettura ipotetico-deduttiva espressa in modo confutabile e il termine "ipotesi controllata" deve assumere il significato di congettura non falsificata dall'esperienza ovvero "corroborata" da una provvisoria tenuta quando posta in frizione con i fatti). La nuova filosofia della scienza ha attaccato duramente la formulazione dottrinaria del metodo scientifico sia nei presupposti gnoseologici dell'induttivismo (es. Hanson e Kuhn) sia nella po~sizione di "monismo metodologico" (es. l'anarchismo epistemoogic° di Feyerabend). Così come la sociologia della scienza ha messo in luce la natura politica del trattamento dei problemi scientifici. Tutte queste critiche (per lo più rivolte al radicale purismo scientista delllempirismo logico e delle varie forme di positivismo in generale) hanno modificato le credenze di senso comune sull'agire scientifico e posto in discussione la validità della conoscenza scientifica (vedi ad es., Ziman 1984; Brown 1984).

4. Anche se elaborate in - e finalizzate a - un ambito notevolmente diverso dal nostro, riteniamo di citazione interessante, al punto, queste parole di Severino:

"ll mondo dominato dalla scienza è il mondo intersoggettivo. Ma l'autocoscienza critica dell'operare scientifico non riesce ancora a percepire che l'inscrizione del dato nel contesto del consenso e del dissenso intersoggettivo - l'inscrizione per la quale il dato acquista un valore scientifico - è una interpretazione. L'interpretazione è la volontà che il dato abbia un certo significato ulteriore, cioè addizionale rispetto al significato in cui il dato consiste... .Tutti i dati dell'esperienza sono interpretati. Si decide - cioè si vuole - che il punto luminoso sia l'aspetto di una stella. Così come si decide che certi eventi molto complessi siano comportamento sociale di altri individui umani: non si constata, e non si stabilisce analiticamente, ma si decide che certi dati siano la società e quindi si decide che certi dati siano un comportamento intersoggettivo di consenso o di dissenso relativamente a ciò che viene 'dato a me'... Se, dunque, i dati che confermano o falsificano una previsione hanno valore scientifico solo in quanto esiste un consenso sociale circa la loro esistenza e struttura, e se l'esistenza di una società e di un consenso sociale è qualcosa di voluto dalla volontà interpretante, ne viene che l'esistenza della conferma della previsione e essa stessa qualcosa di voluto dalla volontà interpretante (Severino 1979: 59-61 )".

"Nella storia dell'Occidente, la conoscenza che si è assunta il compito di mostrare la verità è stata la filosofia, cioè la 'scienza' intesa non in senso moderno, ma come epistéme ossia - secondo quanto la stessa parola greca suggerisce - come conoscenza il cui contenuto riesce a stare, imponendosi, fermo, su tutto ciò che vorrebbe smuoverlo e metterlo in questione; e che appunto per questo suo stare e verità. Ma ormai la filosofia e morta; il sogno della verità definitiva e incontrovertibile è finito per le forze che promuovono la costruzione della civiltà della tecnica. Se il sogno della verità e finito, allora la parola 'verita' non può significare altro che capacità di dominio, potenza, e la parola 'errore' impotenza. La verità di una teoria è decisa dallo scontro pratico con l'avversario ... (Severino 1979: 13-14).

5. Per una descrizione succinta, ma efficace, della tradizione filosofica del realismo, vedi Elkana 1984.

6. In particolare suggeriamo gli schemi sia gnoseologici e epistemologici sia di modello della scienza come proposti, per esempio, da Campbell (1981), Popper (1972, 1984) e Toulmin (1975, 1981) che, pur molto differenziati, condividono sia l'uso di un modello evoluzionistico per l'analisi dei processi della scienza e della cognizione sia la posizione di realismo ipotetico. Vedi anche Brewer e Collins 1981.

7. Un altro esempio attinente al problema, ma che è molto complicato a discutersi propriamente in questo spazio, riguarda la ricerca di fisica avanzata nel campo delle particelle. Quest'ultime, per essere indagate, non vengono "trovate", ma create entro macchinismi progettati per attuare la trasformazione dell'energia in materia. La domanda è questa:

colleghi fisici stanno scoprendo un livello di realtà che esiste in natura o ne stanno creando uno che potrebbe esistere nella natura stessa (cioè quest'ultima è "flessibile" alla sua esistenza), ma di cui è indecidibile l'esistenza prima dell'esperimento specifico in cui è stato generato? In altre, semplici, parole, i fisici stanno forzando la materia a disporsi entro uno schema "desiderabile", creandola ex novo, oppure stanno scoprendo una struttura "realmente" esistente, dove per "realmente esistente" viene banalmente inteso che quella specifica partice;la stia seducentemente lavorando da miliardi di anni nel ventre della "materia"?

In fisica il problema, ci sembra, è ancora aperto. Alcuni danno soluzioni - o negazioni implicite della rilevanza del problema stesso che qui sarebbe veramente complicato riportare, ma queste soluzioni hanno la natura della "decisione", nel senso che un campo di indecidibilita viene delimitato da una decisione. Ma che natura - epistemologica - ha questa decisione? Quella della creazione pura e semplice di un livello di realtà che si alimenta della propria autoesistenza realizzata.

8. L'approccio di razional~tà eteroreferenziale, nelle discipline finalizzate, vincola la (presa di) decisione ad una conoscenza oggettiva della situazione reale, alla formulazione di una matrice delle alternative operative basata sulla prima, ad una valutazione costi/benefici di ogni alternativa individuata, alla selezione - in tal senso razionale dell'alternativa che dà i maggiori benefici al minor costo o che risulta più redditizia sulla base di altri criteri dipendenti dal particolare settore operativo implicato. In altre parole, tale approccio vincola la decisione operativa all'acquisizione del dominio cognitivo eteroreferenziale della situazione. l ricercatori applicati (d'ambiente accademico) che seguono questo punto di vista hanno a lungo criticato e criticano politici, militari e tecnici - e gli operativi in genere perchè non prendono decisioni usando correttamente tale metodo, ovvero una versione del metodo scientifico dottrinario. La loro fiducia consiste nel ritenere che errori operativi, di tipo programmatico e/o realizzativo possano essere evitati utilizzando metodi più aderenti alla realtà, ovvero metodi di conoscenza e previsione eteroreferenziale aderenti alla dottrina scientifica.

Tali ricercatori e studiosi, poi, si sono accorti benissimo che è impossibile ottenere una conoscenza esaustiva di un campo di realtà su cui si voglia intervenire ed hanno elaborato - alcuni estremamente sofisticati - peculiari metodi e tecniche per la presa di decisione razionale in regime di incertezza cognitiva.

In sintesi per tali ricercatori il problema metodologico principale della decisione finalizzata operativamente, in generale, e della trategia, in particolare, è quello di come trasformare la conoscenza - teroreferenziale in decisione razionale e come sostituire ragionevolmen:e la prima quando non disponibile o inaffidabile per ottenere lo stesso Ina decisione razionale. ln altre parole, chi segue la credenza del realismo eteroreferenziale assume che ci sia una possibilità di binimizzare gli errori operativi restando ancorati a schemi concettuali elaborati in aderenza ai vincoli di conoscenza scientifica come dottrinalmente codificata.

Per essi, ancora in altre parole, l'indecidibilità operativa nei confronti di una data situazione deve essere interrotta da una decisione legittimata su base eteroreferenziale.

Ora, pur essendo corrette le critiche di irrealismo ai modi con cui sono prese molto spesso le decisioni istituzionali, sia di programmazione che operative - nella realtà, infatti, succedonon cose folli - d'altra parte è pura illusione pensare che gli schemi metodologici dipendenti dal realismo eteroreferenziale siano correttori efficaci dei difetti del realismo pragmatista cioè il decisionismo riduttivistico (es. burocratico) e irriflessivo (es. volontarista, spontaneista).

E' una illusione falsa, secondo noi, il ritenere che una situazione di indecidibilità possa essere interrotta efficacemente sulla base di una decisione regolata da razionalità eteroreferenziale.

Uno, perchè è oggettivamnete indecidibile quando una matrice conoscitiva saturi la descrizione di un campo di realtà; e questo perchè qualsiasi rappresentazione dichiarativamente eteroreferenziale della realtà è una decisione autoepistemologica solo valida in sè. Due, perchè nessuna previsione (la sua strutturazione probabilistica non modifica il discorso) è attendibile se non all'interno di un campo di realtà deterministicamente confinato (es. l'interno di un automa cibernetico) o di un livello di realtà iperstabile, cosa che i livelli di realtà oggetto, per esempio, di decisione politica e militare certamente non sono (nel dominio dei processi sociosistemici la creazione indeterministica di nuovi livelli di realtà ha ritmi parossistici e discontinuistici ) .

In sintesi l'approccio di razionalismo eteroreferenziale, al di la di quello che dichiara, propone, nella sostanza, di interrompere un regime di indecidibilità attraverso uno statuto di segni ed operazioni la cui validità eteroreferenziale è indecidibile. Cioè l'indecidibilità con l'indecidibilità. Ovvero non è in grado di regolare epistemologicamente la presa di decisioni nè trattare il loro problema metodologico principale, che non è quello di restare ancorate ad una realtà empirica, ma quello di realizzarsi come livello di realtà che ne crea, o ricombina, altri nel senso voluto.

9. La nostra elaborazione del realismo, gnoseologia ed epistemologia autoreferenziali si basa sulla, e si configura come variazione progressiva della, tradizione teorica, recentissima, della sistemica autoreferenzlale. Quest'ultima, scrivendo per sommi capi, ha due versanti: il primo è legato alla tradizione di ricerca sui sistemi auto-organizzantisi in biologia che, alla fine degli anni sessanta e primi settanta, è sfociata nella teoria dei sistemi autopoietici elaborata da Maturana e Varela (1974, 1985) costituendosi come modifica paradigmatica nel pensiero sistemico ed evoluzionistico in generale; il secondo appartiene alla tradizione di ricerca sulle teorie-macchina e sui sistemi autoreferenziali, da Ashby (1956) fino ad Hofstadter (1984), come sviluppatasi in cibernetica e campi disciplinari affini. Tale campo teorico sta configurandosi come paradigma sostitutivo delle più tradizionali e consolidate visioni nell'ambito della teoria dei sistemi, nelle scienze biologiche e sociali (vedi Luhmann 1981, 1982, 1984) e nei settori disciplinari della gnoseologia ed epistemologia (vedi in particolare Maturana e Varela 1985; vedi anche Zolo 1983). Hanno anche grande influenza sulla nostra impostazione generale, data in questo testo solo per cenni, lavori di Gallino sull'intelligenza artificiale (1984) e sull'integrazione tra pensiero sistemico ed evoluzionistico (1980).

10. Vedi Gallino 1984; vedi anche Putnam 1982 per gli effetti che tale impostazione produce sul problema del riferimento, in particolare sulla inconsistenza della posizione eteroreferenziale.

11. ll principio di razionalità autoreferenziale da noi formulato non intacca l'idea generale che la condotta umana sia orientata da un fine. Intacca profondamente, invece, il concetto di razionalità eterorefenziale a livello operativo e dei processi mentali. Ciò che viene aggredito è l'idea che possa esistere nella realtà sostanziale - in quella dichiarativa sì - una razionalità eteroreferenziale, ovvero la possibilità di ancorare oggettivamente - cioè in modo speculare alla realtà l'elaborazione e la selezione dei mezzi (la decisione, in senso tradizionale) per ottenere un fine.

Ci viene in mente un risultato, secondo noi gustoso, della ricerca nel campo della psicologia delle decisioni. Più o meno veniva detto ché, su base sperimentale, la sequenza mentale con cui i soggetti prendono una decisione è sempre la stessa ed è "ordinata", cioè: individuazione del problema, individuazione delle alternative di soluzione, valutazione delle alternative e selezione della migliore (decisione), esecuzione dell'alternativa prescelta (azione). Poi veniva aggiunto che i dati mostravano come, nel più dei casi, i soggetti prendessero decisioni sballate in relazione ai requisiti operativi generati dalla situazione oggettiva. Veniva anche detto, come sintesi, che mentre il processo di elaborazione della decisione era sempre "razionale" (cioè ordinato sequenzialmente), il tipo di decisione - pressochè di norma - era "irrazionale". E questo era visto come un paradosso. La maggior parte della letteratura in questo settore e di tono pressoche analogo.

Alla luce del principio di razionalità autoreferenziale questo non è per nulla un paradosso. La mente è in relazione con i fatti situazionali, ma di indipendenza. Cioè normalizza gli stessi entro il proprio livello di realtà. La decisione che ne esce ha "status autoepistemologico". E' in altre parole anch'essa in "relazione di indipendenza" con la situazione oggettiva in quanto decisione oggettivamente autovalidantesi. Pertanto lo statuto di segni e operazioni che organizza la decisione non è strutturalmente corrispondente, nè in sede di elaborazione nè di esecuzione, in modo speculare alla "situazione oggettiva". L'azione riesce ad ottenere il fine forzando la situazione a disporsi entro la finalita stessa.

12. Il pensiero sistemico classico (es.: la prima cibernetica) e ontemPoraneo non è stato molto frequentemente oggetto di analisi epistemologica- Ad un primo livello ciò è dovuto ad una semplice ndifferenza da parte della filosofia della scienza e dell'epistemologia radizionali- Ad un secondo livello ciò è dovuto alla tendenza lutoepistemologica - epistemologia autoreferenziale - che è una proprietà specifica (anche se non esplicitata a dovere) della sistemica nonchè una vera e propria sfida alle epistemologie eteroreferenziali comprese tra gli opposti dell'induttivismo empirista (per esempio il lavoro dell'ultimo Carnap) e del deduttivismo falsificazionista (es.: i noti lavori di Popper; per lo status della sistemica come "sfidante epistemologico", vedi: Bunge 1977).

Vediamo il tipo di autoepistemologia proprio della sistemica classica - es. la teoria statistica dell'informazione, la teoria degli automi, ecc. Prendiamo il notissimo principio della varietà indispensabile formulato da Ashby (1956), che è coerente con il decimo teorema della teoria dei canali di comunicazione di Shannon (1949), a sua volta coerente con l'impianto generale della cibernetica. Di tale principio scegliamo l'espressione che segue: I'entropia di emissione (in un omeostato cibernetico) è almeno tanto grande quanto l'eccesso di entropia nella varietà di disturbo esterna sopra l'entropia nella varietà di controllo interna all'automa teorico. Presentiamone immediatamente una versione iper-semplificata, ma sostanzialmente coerente (tale rappresentazione semplificata del principio della varietà indispensabile è reperibile in Casti 1979 e Pelanda 1984a).

Immaginiamo il problema di dover controllare un sistema che sia sottoposto a perturbazioni. Assumiamo che il regolatore del sistema abbia tre tipi di procedure di controllo a sua disposizione, A, B, C, mentre esistono tre tipi di disturbo possibile, 1, 2, 3. Assumiamo poi, che il comportamento del sistema cada entro una delle categorie a, b, c, in base al tipo di combinazione fra disturbo e controllo.

Per questo semplice problema sia l'insieme di controllo (A, B, C) che quello di disturbo (1, 2, 3) possiedono varietà 3. Osservando la matrice è facile vedere che e sempre possibile dirigere il sistema verso il comportamento desiderato, senza riguardo al tipo di disturbo. Una generalizzazione della teoria cibernetica stabilisce che la varietà complessiva nel comportamento del sistema è uguale al rapporto tra la varietà di disturbo e la varietà delle strategie di controllo (nel nostro esempio questo rapporto è 1). Il significato principale di tale espressione è che, se si vuole che un sistema produca un dato comportamento di fronte a perturbazioni, allora solo l'accrescimento della varietà dei modi di controllo può ridurre la varietà del sistema sotto perturbazione. ln altre parole - quelle di Ashby - solo la varietà può distruggere la varietà.

Tale principio - e le restrizioni che pone -, fa notare Ashby (1956), non è sottoponibile nè a validazione nè a falsificazione empirica. E', cioè, indifferente ad un ambito d'esperienza. Se, per esempio, nel corso di un esperimento i dati dicono che il rapporto tra varietà di disturbo esterna e varietà di controllo interna all'automa (teorico) non si adegua al principio, allora non si modifica quest'ultimo ma, al contrario, vengono ridisegnati i confini interno/esterno dell'automa fino ad ottenere un accordo - un allineamento normalizzato - fra dati sperimentali e principio stesso. In generale, in tutto il campo della famiglia dei principi cibernetici se un sistema non si adegua a questi principi, allora è il sistema stesso che viene buttato e non la teoria. In altri termini la teoria risulta vera e valida in se stessa, cioè autoepistemologica, nonchè indipendente da qualsiasi procedura di validazione o confutazione empirica espressa in coerenza con le epistemologie eteroreferenziali. Una teoria cibernetica, delle macchine, degli automi, ecc. si fonda su un impianto autoepistemologico, ovvero un quadro di verità che si basa su se stesso in quanto "desiderabile".

La proprietà delle teorie cibernetiche è quella di derogare dalla proprietà della materia o dal campo di realta da questa definita. Se un sistema concreto si adatta alle teorie esso e definito come automa realizzato.~ Se no, esso non subisce alcuna qualificazione, cioè non esiste. In altri termini le teorie cibernetiche sono indifferenti nei confronti di automi concreti non compatibili agli automi teorici. Le teorie degli automi sono automi teorici autoreferenzialmente validi e veri.

E' facile notare la rottura epistemologica della prima sistemica cibernetica nei confronti delle epistemologie e metodologie classiche di tipo eteroreferenziale.

13. Tralasciando la posizione di formalismo matematico, e più in generale quella del convenzionalismo, individuiamo lo status epistemologico della matematica attraverso un'interpretazione particolare del teorema di indimostrabilità di Godel. Esso, schematizzando, mostra come esista un numero infinito di proposizioni aritmetiche vere che non possono essere formalmente dedotte da alcun insieme di assiomi mediante un insieme chiuso di regole di inferenza (Nagel e Newman, 1974: 105). Nessun sistema deduttivo, in altre parole, satura o esaurisce il dominio della verità arimetica. I fondamenti della matematica sono metamatematici (nel senso hilbertiano del termine).

Soffermiamoci su questo punto. Il teorema dell'incompletezza mostra che qualsiasi sistema ricco abbastanza per parlare delle proprietà standard dell'arltmetica ordinaria contiene teoremi che sono veri, ma non trabili entro il sistema. Molti hanno interpretato questo risultato

logicO solo come indicazione che la matematica non può riferire a se stessa la propria verità e che essa è, pertanto, incompleta. A noi interessa il punto da una angolatura diversa. Se la verita matematica può eSsere vera e indimostrabile, cioè vera nonostante la sua indimostrabilita. allora basa la propria verità su se stessa stando in relazione di indipendenza con la prova di indimostrabilità. Ai nostri occhi laici (cioè non matematici) sembra, in altre parole, che la "matematica" sia autoreferenziale proprio perché può esistere ed autoevolvere come statuto di segni coerente in relazione di indipendenza con la prova della sua indimostrabilità. La matematica che riflette su se stessa normalizza in riferimento a sè un ambiente di eteroreferenze metamatematiche grazie al quale essa può indefinitivamente costruirsi su se stessa, autoreferenzialmente.

 

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