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VITA 2000

Scenario delle sfide ed opportunitā per l'individuo nei primi decenni del nuovo millennio

Di Carlo Pelanda

Testo originale non necessariamente coincidente in tutte le parti

con quello pubblicato

 Settembre 1999

 

Sommario

1. Introduzione

2. I due grandi mutamenti

2.1. Il nuovo mercato

2.2. La biorivoluzione e l'allungamento della vita

3. Le nuove strategie di vita

3.1. Infanzia e adoloscenza

3.2 Maturita'

3.4. Vecchiaia

 

 

1. Introduzione

La prudenza consiglierebbe di non cadere nella trappola del calendario e di pensare, per eccitazione simbolica, che il semplice scattare nominale del nuovo millennio comporti un cambiamento improvviso, magari fantascientifico, delle nostre vite e di quelle dei nostri figli e dei loro. Tuttavia molti cambiamenti considerati "fantascientifici" fino a pochi anni fa stanno gia' avvenendo. Quindi ci troviamo nella situazione in cui alla data simbolica del grande cambiamento ne corrisponde in effetti uno reale.

Ai grandi mutamenti, in realta', siamo abituati. Fin dal tardo medioevo (invenzione della stampa, della polvere da sparo e scoperte geografiche) le societa' occidentali sono periodicamente sconvolte dall'irruzione di nuove tecnologie o modifiche della visione del mondo che cambiano in modo fondamentale la vita dei singoli individui. Dalla meta' del 1800 i cambiamenti hanno preso una dinamica sempre piu' accelerata. La gente non si era ancora abituata all'elettrificazione, telefonia e mobilita' di massa che gia' doveva fare i conti con l'energia nucleare. Ma appena ingoiata anche questa novita' subito la scoperta del codice genetico, e l'avvio della rivoluzione biologica, nonche' l'emergere della microelettronica e della cibernetica, stanno ulterioremente cambiando la vita individuale e la scala di un mondo che, fino a dieci anni fa, appariva immensamente piu' piccolo e meno modificabile.

I fattori che danno alla civilita' occidentale la caratteristica di essere ossessivamente e continuamente squilibrata verso mutamenti futuri che distruggono i presenti da poco consolidati sono un oggetto di studio estremamente complesso e tuttora non del tutto compreso. Ma, semplificando, il dato sintetico che qui ci interessa riguarda la constatazione che, nonostante tutti questi questi stress prodotti da cambiamenti continui e radicali, nelle societa' occidentali prevalgono le forze dinamiche su quelle immobiliste. Ci sono due spiegazioni parzialmente combinate. La prima rileva il fatto che i mutamenti finora intervenuti evidentemente sono di vantaggio per la maggioranza delle popolazioni coinvolte. E cio' riveste di consenso il modello di cambiamento continuo. La seconda, piu' importante, mostra che le elite politiche, economiche e culturali, qualora tale consenso non ci sia, riescono comunque a tenere il sistema da loro influenzato aperto al progresso trainato dalla tecnica. Come mai? L'ambiente politico occidentale, storicamente, si e' configurato come una varieta' di soggetti (statuali ed individuali) in continua competizione (bellica ed economica) tra loro. La disponibilita' di nuove tecnologie e' stata - ed e' - il fattore principale che determina, mediamente, il successo di un attore nel teatro della competitivita'. Quindi l'assetto dinamico del sistema occidentale puo' essere spiegato in buona parte da questo motivo di "ecologia della concorrenza". Resta, tuttavia, oscuro il come, in ogni mutamento, milioni di persone che hanno dovuto di colpo cambiare la loro vita siano sopravissute senza opporsi - oltre i limiti di rottura - ad una civilita' basata sulla continua distruzione creativa.

In un week end inglese ho trovato per caso la lettera di una donna dei primi del 1800 che descriveva alla madre, rimasta in campagna, la disperazione della nuova vita in citta' accanto alla fabbrica dove lavorava ogni giorno per dodici ore e piu'. Milioni di persone, in quegli anni, lasciarono l'economia rurale, migrarono nelle citta' e divennero le braccia salariate della rivoluzione industriale trainata dall'invenzione del vapore e dei sistemi meccanici. Quella donna chiedeva alla madre di riprenderla nella fattoria e che avrebbe preferito la fame e le violenze dei servi del padrone terriero piuttosto che restare in fabbrica. La madre gli rispose - il tutto scritto per intermediazione di due parroci anglicani - di rimanere dove era perche' da mangiare proprio non se ne trovava. Questo serve a dire che i grandi mutamenti dell'Occidente, piu' che consensuali, sono stati forzosi. La gente se li e' vista piovere addosso e si e' adattata. Questo disagio sociale, poi, non si e' trasformato in controrivoluzione antimodernista. Per esempio, la sindacalizzazione delle masse lavoratrici ed altre piu' recenti forme di socializzazione e calmierazione dell'economia non si sono mai rivolte contro il progresso di per se, pur rallentandolo talvolta in termini di crescita economica, ma si sono date l'obiettivo di farle partecipare piu' dignitosamente a questo. E cio' porta a tre considerazioni. La prima e' che il sistema politico occidentale e' stato comunque capace di creare degli ammortizzatori dell'impatto negativo del nuovo che hanno contribuito a mantenere elevato il consenso nei confronti del progresso. La seconda e' che comunque i mutamenti non hanno finora ecceduto la capacita' della gente di sostenerli, cioe di adattarsi ad essi. La terza e' che una buona fetta della popolazione - quella che oggi si chiama classe media - ha avuto sempre dei vantaggi dal progresso. Siano essi il frigorifero o la medicina salvavita in un sistema economico che fornisce ai piu' il capitale per comprarseli. In sintesi, i ritmi parossistici di cambiamento delle societa' occidentali sono resi possibili da un modello politico e culturale che riesce a diffondere socialmente i vantaggi economici e tecnologici e, quindi, il consenso di fondo al progresso.

Questa pennellata e' utile come sfondo per inquadrare il problema che ci troviamo di fronte agli inizi del nuovo millennio. Il progresso tecnico cumulato nel recente passato e' come una grande catapulta che rende ancor piu' veloci e radicali i cambiamenti futuri. Ma, questa volta, non necessariamente le maggioranze sociali saranno in grado di assorbirli sul piano culturale e dello stile di vita come sono riuscite a fare nei due secoli passati. Il grande successo del progresso sta forzando verso il limite le strutture storicamente costruite per farlo partecipare a piu' persone possibili. Il punto e' che negli anni 90 abbiamo visto un accelerazione sia dei cambiamenti tecnologici che economici. Se la proiettiamo nei prossimi venti anni troviamo una robusta probabilita' che il prossimo cambiamento possa eccedere le capacita' culturali e politiche - che tipicamente seguono il fenomeno del mutamento piu' che anticiparlo - utili ad assorbirlo e ad ottenere una partecipazione di massa a questo.

L'economia sta diventando molto piu' selettiva sul piano della competenza e mobilita' intellettuale. Difficilmente l'individuo potra' trovare garanzie di ricchezza diverse dalla sua capacita' di crearla. Da una parte, i tradizionali ammortizzatori sociali funzioneranno di meno e molti di quelli evoluti nel recente passato dovranno essere smantellati perche' fattore eccessivo di freno alla crescita economica. Dall'altra, il prevedibile picco di domanda di nuove capacita' eccede la loro formazione in base a come oggi e' organizzata nei paesi pur piu' sviluppati. Quindi se non si trova qualcosa di nuovo per mettere in grado gli individui di trovarsi a loro agio in un'economia che non sta facendo un salto di un secolo, ma di millenni, entro pochi anni, allora ci potranno essere seri guai sia per l'individuo stesso che per il sistema complessivo.

E c'e' una complicazione. La rivoluzione biologica non produrra' solo nuove meravigliose medicine, ma ha in se i potenziali per modificare totalmente la vita umana come oggi la conosciamo e, soprattutto, che e' l'unica cosa che e' rimasta fattore costante in tutti i cambiamenti finora intervenuti.

Il problema, pertanto, non e' solo nel cambiamento dell'economia, ma nel fatto probabile che ci saranno tanti cambiamenti e tutti piu' o meno nello stesso momento, riverberanti tra loro. E molti di questi saranno una "prima volta storica". Da una parte sara' eccitante. Ma dall'altra vengono i brividi perche', appunto, non possiamo ricorrere alla nostra esperienza passata per affrontare le nuove sfide. E se non si puo' usare quello che sta scritto nei libri, tipicamente riferiti a mondi gia' esperiti, per gestire la nuova realta', allora cosa succede? Che tocca far partire da zero il processo di apprendimento per prove ed errori allo scopo di trovare le soluzioni giuste ai nuovi problemi. Ma ci abbiamo messo almeno quattro secoli, se non millenni, per tirar fuori la pur imperfetta democrazia ed imparare - come comunita' culturale e politica - a convivere senza eccessi di violenza. Poi sono dovuti passare decenni per imparare a creare il denaro su base fiduciaria (in modo da renderlo disponibile a piu' persone) senza fargli perdere valore d'acquisto. In sintesi, tutto quello che sappiamo lo abbiamo appreso dopo lunghe e sofferte esperienze piene di disastri. Appunto, l'idea di trovarsi di fronte ad un mondo completamente nuovo e di dover rischiare catastrofi prima di capirlo e saperlo gestire, non e' una prospettiva allegra. Dobbiamo per questo prendere un atteggiamento ansioso e pessimistico?

No, per nulla. Nel parlare di cambiamenti di solito, per enfatizzarli, si tende a mostrarne il lato piu' pericoloso. Da una parte e' vero che ci troviamo senza esperienza storica di fronte a "questo" nuovo che sta per arrivare. Dall'altra non siamo del tutto rimbambiti. Infatti da anni migliaia di ricercatori stanno cercando di anticipare le soluzioni al problema della "grande discontinuita'" in arrivo, cercando di capire quale sia la buona idea che serve per trasformarla in opportunita' per i piu'. E per quanto riguarda le sfide economiche e' gia' stata trovata, in generale: dotare di piu' capacita' e mobilita' l'individuo affinche' possa adattarsi velocemente ai cambiamenti del turbomercato.

In merito all'impatto delle nuove biotecnologie sulla vita umana c'e' meno ricerca sia per la solo recente comprensione di cosa cio' potra' provocare sia per la riluttanza morale perfino a pensare scenari dove la vita potra' essere creata, modificata ed estesa all'infinito o quasi. Sul piano dei cambiamenti ambientali in corso - riscaldamento del pianeta, innalzamento del livello dei mari e estremizzazione dei fenomeni climatici - non c'e' ancora un mezza idea di come gestirne l'effetto, ma solo invocazioni a moderarlo. Ma anche in questi due casi di cambiamento fondamentale sul piano ecosistemico potrebbe valere la regola di rafforzare la societa' puntando sull'incrementare moltissimo le capacita' intellettuali e finanziarie dell'individuo in quanto una comunita' piu' istruita, ricca e, quindi, mobile sapra' certamente affrontare meglio l'ignoto di una che lo e' di meno.

Tale considerazione di impostazione strategica generale apre il compito di valutare come gli individui possano rafforzarsi il piu' in fretta possibile per adattarsi meglio ai cambiamenti che si annunciano. Nel testo che segue vedremo prima il quadro dei principali mutamenti in corso per poi connetterlo con l'individuazione delle nuove strategie di vita che questi richiedono.

 

2. I due grandi mutamenti

Vista l'introduzione, si potrebbe liquidare facilmente questo paragrafo scrivendo che, beh, sta cambiando tutto. Ma se fosse cosi' la percezione della differnza tra il possibile futuro ed il presente sarebbe minore ed il ricercatore che scrive potrebbe dedicare la sua vena ad altro. Invece il problema e' che alcune cose importanti stanno cambiando, ma altre, ugualmente importanti, no. Il cambiamento si configura in termini problematici quando nell'edifico della societa' alcuni pilastri mutano, per esempio allargandosi mentre altri restano fissi. Se cambiassero tutti all'unisono ed armonicamente, allora l'edificio manterebbe la sua coesione strutturale pur muovendosi, anche tanto. Ma non succede cosi' nella realta' e questo e' il motivo per cui i cambiamenti creano stress strutturali.

Tale immagine suggerisce che la sola lista dei possibili cambiamenti non e' di per se rilevante se non si aggiunge la situazione del pilastro vicino, cioe' se non la si pone "in relazione " alla capacita' di gestire i cambiamenti stessi. Per esempio, il fatto che nell'economia globale bisogna saper tutti e meglio l'inglese e', di per se, fatto banale. Diventa selettivo, cioe' premia alcuni e punisce altri, se nelle scuole di un'area del pianeta non lo insegnano. Allora in questo caso il cambiamento dei riferimenti linguistici diventa un cambiamento fondamentale. Con questo in mente cerchiamo di selezionare, tra i mille che ci sono, quei mutamenti in atto che trovano piu' pericolosamente impreparata la societa' ad affrontarli. Ce ne sono due che stanno creando una discontinuita' formidabile con il mondo finora noto.

Ce ne sarebbe, in verita', anche un terzo: il mutamento vistoso dell'ambiente planetario dopo secoli che le societa' e insediamenti si sono adattate ad uno che e' rimasto abbastanza stabile. Ma questo, il riscaldamento del globo, sia per cause di ciclo naturale sia - di piu' - per effetto delle emissioni industriali, ci lascia un po' piu' di tempo per trovare soluzioni perche', pur gia' cominciando il livello dei mari ad alzarsi per lo scioglimento dei ghiacci e a manifestarsi nuovi ed inaspettati fenomeni climatici di carattere estremo, e' comunque un fenomeno a sviluppo di secoli e non ad impatto ravvicinato. Gli altri due mutamenti in corso, il nuovo mercato e l'allungamento della vita, invece, avranno invece conseguenze diffuse gia' nell'immediato futuro. Concentriamoci su questi.

 

2.1. Il nuovo mercato

Il fenomeno della globalizzazione č noto. Ma spesso i lettori lo vedono piu' o solo nei suoi aspetti di estensione geografica che non nei suoi motori piu' profondi. Uno di questi e' la liberta' di circolazione dei capitali. Che e' fenomeno recente. Neanche venti anni fa il capitale circolava piu' entro le nazioni che fuori. Oggi e' l'inverso. Uno Stato lascia che il suo capitale esca ed entri liberamente. Questa puo' dirsi una cessione di sovranita' dello Stato nei confronti del mercato. E' un cambiamento importante? Certo, forse il piu' importante gia' adesso e per le conseguenze che porterā nel futuro. Se il capitale č libero di andare dove vuole (e puo' farlo in pochi secondi percorrendo le infrastrutture elettroniche globali) allora usera' un solo criterio di scelta: la remunerazione. Cio' vuol dire che abbandona i luoghi dove questa e' minore per affluire dove il profitto e' maggiore. Tale novita' - in atto dai primi anni 80 e diventata fenomeno di grande mgnitudo ai primi dei 90 - si e' fatta problematica problematica in relazione a quelli Stati che non sono riusciti ad attuare una riforma competitiva per attrarre i capitali nonostante li abbiano lasciati liberi. Per esempio, il capitale certamente non va dove le tasse sono alte. E quei modelli politici che le implicano si trovano di colpo decapitalizzati e alle prese con il problema di avere poca crescita economica e, quindi, poverta' e disoccupazione. Di fatto il capitale ha conquistato una sua nuova sovranita' che lo dota di un potere maggiore di quello politico degli Stati. Se questi prendono decisioni contro il principo di competitivita', o restano indietro, allora il capitale li punisce, semplicemente, non andando ad innaffiare la loro economia. Bello o brutto che paia, questa č la nuova realtā dell'economia globale.

Non e' un problema per le economie aperte e flessibili e per gli individui che vi operano in quanto sono gia' predisposti per trarre piu' vantaggi - di massa - dalla globalizzazione che svantaggi. Ma lo e' per quelle meno aperte e piu' rigide. Se gia' sviluppate segnano record di disoccupazione. Se solo emergenti fanno fatica a svilupparsi per mancanza di capitali di investimento. E questo e' un effetto selettivo che gia' ha avuto effetti da una decina di anni. Molti paesi, infatti, hanno reagito riformando i loro modelli economici. Altri fanno piu' fatica. E cio' succede perche' la riforma significa rinunciare a buona parte delle protezioni, finanziate con tasse e presidiate con regole limitative del libero mercato. Vuol dire, in sintesi, che lo Stato deve rinunciare a tutelare con forme collettive la ricchezza dei cittadini e scaricare su di essi un maggior carico di responsabilita' per la loro sopravvivenza.

La discussione sulle sorti dello Stato sociale e' un tema caldissimo ed attuale in Italia cosi' come nei luoghi dove ancora esiste. Tuttavia lo scenario in atto permette di fare una previsione che non e' ne' di destra ne' di sinistra, e che non vuole offendere nessuna di queste due preferenze ideologiche. Fino a che resta la liberta' di circolazione globale dei capitali non e' possibile che possano restare in vita Stati che si comportino in modi diversi da quello finalizzato a remunerare i capitali stessi. Cosa vuol dire per il cittadino? Che certamente sara' meno protetto economicamente da tutele finanziate con la tassazione e che dovra' darsi da fare molto di piu' nel mercato competitivo per guadagnarsi la pagnotta.

Con una complicazione. Sempre di piu' l'economia finanziaria e reale del pianeta e' trainata dalla tecnologia. Quindi il lavoratore del primo decennio del 2000 dovra' saper maneggiare non solo una tecnica specifica, ma i concetti generali che permettono di star dietro all'evoluzione delle tecniche stesse. Se lo fara' sara' ricco, se non ci riuscira' lo sara' di meno o perfino potrebbe cadere in poverta'. Con una difficolta' in piu'. Che ogni nuova scoperta tecnologica ne tira un'altra, come i baci. Cio' vuol dire che una competenza specifica potrebbe durare non piu' di tre anni prima di risultare inutile di fronte ad un nuovo sistema successore. Quindi l'individuo, piu' che predisporsi a cambiare lavoro continuamente - che e' cosa probabile, ma non la piu' importante - dovra' essere dotato di una cultura di fondo che lo renda capace di apprendere continuamente. Nulla di impossibile. Ma i sistemi educativi e le abitudini lavorative del recente passato non prevedevano questa possibilita'. E molti individui, particolarmente nei paesi gia' sviluppati e che hanno goduto nei decenni passati di un'economia piu' tranquilla, rischiano di trovarsi di colpo impreparati culturalmente e professionalmente, senza piu' la possibilita' da parte dello Stato di venire in loro soccorso attraverso forme politiche di calmierazione della selettivita' economica. Cosi' e' gia'. Ma restando in molte aree del mondo sviluppato un forte residuo di protezionismo sociale, tra cui l'Italia, la nuova verita' non e' stata compresa a fondo a livello di massa. E cio' rende particolarmente vulnerabili alla nuova selettivita' economica quegli individui che vivono nelle aree dove gli Stati sono lenti a riformarsi e che, per questo, non investono sul futuro.

Qualcuno potrebbe sostenere che sarebbe il caso di rallentare un po' questa nuova economia cosi' tempestosa e selettiva. Infatti molti lo fanno, insistendo sul punto critico. Limitare la libera circolazione globale dei capitali e, cosi', ridare una parte della sovranita' allo Stato nazionale affinche' questo possa rispettare meglio il contratto di socializzazione dell'economia. Ovvero garantire a tutti, attraverso una legge di redistribuzione della ricchezza, un reddito. Non e' questo il luogo per discutere se cio' sia giusto o sbagliato, ma e' solo quello per chiedersi se tale ritorno indietro avverra' o meno. La risposta e' no. Gli Stati hanno ceduto la sovranita' al libero mercato proprio perche' cio' comporta una maggiore speranza di ricchezza complessiva. Se tornano indietro, magari sotto la pressione di qualche crisi, potrannno certamente tutelare i cittadini svantaggiati di piu' sul piano nominale e del breve periodo, ma dovranno stamparsi i soldi perche' il mercato, o per depressione o per fuga da quel luogo, non glieli dara'. Accadde esattamente questo, dopo la crisi finanziaria del 1929, quando gli Stati cercarono di difendersi dalla recessione limitando la circolazione internazionale del capitale e delle merci e generando politiche di protezionismo nazionale. Questa ricetta trasformo' una relativamente banale crisi finanziaria - deflazione indotta da errori restrittivi di poltiica monetaria - in depressione catastrofica globale che duro' per almeno dieci anni. Questo drammatico sbaglio e' rimasto nella memoria politica occidentale, anche perche' da esso sono emersi piaghe politiche quali il nazismo. Quindi e' molto improbabile che i politici scelgano di cadere dalla padella nella brace. Facendola breve, lo scenario sembra stabilizzato verso l'estremo della pressione competitiva nei confronti degli individui in quanto e' improbabile che vi saranno limiti forti alla globalizzazione.

C'e' da dire che il disegno di Unione Europea contiene nella sua genetica l'obiettivo di trovare un compromesso tra i requisiti di tutela sociale e quelli competitivi del libero mercato globale. Ma, pur astenendosi da giudizi di valore, i fatti dimostrano che tale compromesso si sta sempre piu' posizionando in direzione della configurazione del libero mercato competitivo. Quindi agli europei sta per toccare quello che gli americani gia' capita da sempre, cioe' il vivere in un modello politico economico che scarica sugli individui il massimo di responsabilita' per gestire la proria vita e fornisce loro solo un minimo di tutela. Anche nel Giappone che, pur in modo diverso da quello europeo econtinentale, ha basato il proprio modello sull'impiego a vita garantito dei lavoratori, sta cambiando in direzione di una configurazione della societa' meno densa di tutele e piu' aperta al libero mercato concorrenziale. Questi fatti lasciano intendere che le economie nazionali dei diversi Stati industrializzati stiano convergendo verso un modello unico di economia competitiva. Ed e' un movimento che non puo' essere ostacolato da azioni politiche contrarie in quanto, anche se di successo contingente, verrebbe poi punito dal mercato che gli toglierebbe i capitali per crescere. A quel punto anche il politico piu' convinto della bonta' del modello assistenziale si troverebbe a scegliere tra un protezionismo che lo porterebbe nello "scenario del 1929", cioe' una catastrofe certa per tutti, oppure in quello dove si accetta l'economia competitiva e la sua conseguenza di tornare ai cittadini la responsabilita' per i prori destini perche' non c'e' un modello di tutela redistributiva che possa essere economicamente sostenibile. Tra i due mali sceglierebbe il secondo perche' minore. Ed infatti dappertutto, nel pianeta, sta succedendo questo. Ora, indipendentemente dalle preferenze politiche di ciascuno, va detto che lo scenario futuro vedra', con probabilita' altissima, l'aumento del carico di fatica economica, cioe' competitiva. per gli individui.

Ma il cambiamento epocale non e' tanto questo quanto la sua conseguenza piu' generale. L'individuo dovra' in ogni caso essere piu' mobile sia in termini territoriali che conoscitivi in quanto il miglior modo - forse l'unico - per adattarsi ad un mercato iperdinamico e continuamente cangiante e' quello di essere altrettanto iperdinamici ed aperti al cambiamento. E tale prospettiva cambia una situazione che era rimasta sostanzialmente immutata negli ultimi diecimila anni, cioe' dalla cosiddetta rivoluzione agricola. Un individuo poteva trovare le risorse per vivere su un dato territorio, un'idea di mondo, di identita' e di competenze che restavano abbastanza stabili nel corso della vita. Nel prossimo futuro, invece, cio' non sara' piu' possibile perche' toglierebbe valore competitivo all'individuo in un mercato che richiede molta piu' mobilita'. Qui la discontinuita' da gestire trovando nuovi modi per dotare gli individui della potenza richiesta.

In certa parte il problema verra' risolto sul piano comunitario, cioe' da un'evoluzione delle forme di tutela offerte dagli Stati, in quanto non e' certo interesse pubblico, ne' tantomeno del mercato, trovarsi con mezza societa' o piu' che viene espulsa dalla ricchezza dai nuovi requisiti economici. Ma la gran parte della soluzione, come gia' detto sopra, dovranno trovarseli gli individui da soli perche' lo Stato ha limiti intrinseci insuperabili, anche qualora avesse la migliore buona volonta', nel compiere tale missione. E questa nuova solitudine dell'individuo, dopo decenni di illusione che si possa ricorrere ad un tutore comunitario per accedere al capitale, e' un'altro grande cambiamento, soprattutto nell'area europea, ed italiana in particolare.

 

2.2. La biorivoluzione

Siamo a ridosso della mappatura del codice genetico, prevista per il 2002, se non prima. Una volta svelato e capito come i singoli geni influenzino la situazione fisica e mentale, allora sara' possibile usare questa conoscenza per modificare gli individui.

Parte di questa tendenza esibisce una continuita' con la medicina come finora evoluta. Per esempio, invece di sottoporsi ad una chemioterapia, si potra' forse ottenere una modifica del proprio impianto genetico che permetta al corpo di combattere il tumore. Su questo asse la conseguenza delle nuove conoscenze dovrebbe portare ad allungamenti della vita e a miglioramenti della sua qualita'. Quindi non e' fantascientifico attendersi durate di vita che vadano oltre il secolo, mediamente, gia' a partire dal secondo decennio del 2000. E' un grande cambiamento a cui non siamo pronti perche' la nostra civilta' - e sistemi pensionistici - sono tarati su lunghezze di vita molto inferiori. Evidentemente bisognera' aggiungere una una nuova teoria della terza eta' a quelle dell'adolescenza e vita matura che gia' abbiamo. Per un verso questo mutamento e' talmente gradevole che i suoi alti consenso e valore sociale certamente traineranno buone soluzioni ai problemi che porra'. Tale parte della biorivoluzione non preoccupa oltre modo pur implicando un grande mutamento di visione del mondo. Un altro aspetto, che potrebbe inficiare la proiezione ottimistica appena data, si presenta come problema piu' difficile.

Siamo sicuri che sara' possibile dare accesso a tutti alle tecnologie che allungano e, sopratutto, migliorano la vita? Il problema non e' tanto il costo di per se. Se il mercato resta aperto, libero e concorrenziale (cioe' senza monopoli) e' prevedibile che adatti le tariffe di accesso alle biorisorse sulle capacita' di spesa della classe media. Quindi il problema va riportato al paragrafo precedente dove il punto e' che l'individuo deve conquistare molte e diverse dotazioni per poter avere un reddito decente.

Ma tale considerazione, anche se puo' essere consistente al riguardo di quei supporti medici di valore basico per la salute, non puo' essere applicata ad un'altra parte del mercato della biorivoluzione. Per esempio quella estetica. Con metodi genici una persona, per dire, di 90 anni potrebbe avere la configurazione di una molto piu' giovane. Che questo costi poco e' dubitabile. Quindi qui ci puo' essere un inizio di differenziazione molto evidente tra i belli e ricchi ed i brutti perche' meno ricchi. La cosa poi si complica ulteriormente se si mette in campo la possibilita' di allungare la vita non solo di un po', ma di tanto e tantissimo. Non c'e' indizio scientifico che cio' sia ancora possibile. Inoltre probabilmente la modificazione degli orologi interni che scandiscono le nostre eta' e termini implica una reingegnerizzazione genetica a livello della nascita e non dopo. Quindi prima che arrivi il primo bicentenario abbiamo ancora tempo per pensarci. Tuttavia la ricerca corre su questi aspetti. Sono talmente delicati sul piano etico che la prudenza nel comunicare gli sviluppi in merito tende a nascondere una realta' probabilmente molto avanzata. E la sensazione e' quella di non poter negare la possibilita' che entro il 2020 possa essere offerta un'ingegneria di sostegno alla vita con prestazioni ora impensabili. Anche di queste e' dubitabile che possano essere a basso costo. E qui la differenziazione antropologica potrebbe farsi talmente forte da creare diverse specie umane: i meno, senza soldi per pagarsi piu' vita e bellezza, e i piu'. E' ovvio che se cio' avvenisse la societa' verrebbe scardinata. Ma anche se capitasse molto meno, ed e' probabile che qualcosa in questi dintorni succeda, comunque c'e' il problema dell'accesso di massa ed egualitario alle nuove biorisorse.

Qualcuno potrebbe dire che gli Stati piu' avanzati regoleranno con molta attenzione le manipolazioni genetiche possibili. E cio' diviene credibile se si osservano le mobilitazioni bioetiche prudenziali gia' in atto sia sul piano degli esseri umani che di quelli animali e vegetali. Tuttavia il mondo restera' ancora per molto tempo fatto di Stati politicamente - anche se sempre meno economicamente - sovrani. Se nei paesi occidentali, per esempio, ci fosse una forte regolamentazione limitativa degli sviluppi bioingegneristici, non necessariamente questi sarebbero applicati da tutti. In particolare, i forti limiti in alcune parti del mondo creerebbero per alcuni Stati l'opportunita' di guadagnare dal fatto di essere meno regolati e di lasciare sul proprio territorio piena liberta' di biopratica. Per esempio, se America ed Europa bloccassero la possibilita' di manipolazioni per dare gioventu' prolungata alle persone non e' detto che Pechino o altri facciano lo stesso. I ricercatori compressi in Occidente potrebbero migrare altrove e li' offrire alle aziende la tecnologia necessaria per le manipolazioni piu' avventurose e radicali. In questo caso l'europeo o l'americano prenderanno l'aereo per ottenere quello che non riescono a comprare legalmente in casa. E, in tale scenario, sara' molto probabile che i prezzi di accesso alle biorisorse diventeranno molto selettivi, cioe' altissimi. Solo una parte, i molto ricchi, vi avranno accesso e la classe media no. E' realistico pensare che cio' possa avvenire? Pur non potendo definire ancora una probabilita', si'. L'offerta di tecnologie che allungano vita, danno gioventu' ed aumentano salute e bellezza trova una domanda assoluta. Difficile che uno che puo' rinunci ad avere queste risorse. Gia' oggi, per avere un rene da trapiantare, nel mercato clandestino si offrono quasi 200 milioni a qualche poveraccio dei paesi sottosviluppati. Chi ha denaro e desidera migliorare la propria salute o estetica non si ferma davanti a nulla e crea un'ondata di domanda irrefrenabile. Il giudizio morale negativo non deve far perdere di vista il realismo analitico, anche se tali immagini disturbano persone colte e sensibili. Qualcuno potrebbe dire che in tale caso di formazione di un mercato non regolato della vita si potrebbero forzare tutti i paesi del mondo ad accettare limitazioni, sotto pena di conflitti, embarghi o ritosioni economiche. In realta' questo e' piu' facile a dirsi che a farsi se grandi Stati emergenti, alla caccia disperata di piu' capitali e gia' dotati di armamenti atomici o simili, vogliono resistere. Quindi non possiamo escludere il rischio che avvenga quella scardinante biodifferenziazione sopra detta.

C'e' un modo per ridurre questo rischio? Certo. Basta lasciare libero e concorrenziale il mercato delle bionovita' affinche' ne sia garantito l'accesso a tutti, ovvero a costi ragionevoli. Ma tale soluzione implica che le societa' democratiche e piu' eticamente avanzate liberalizzino lo sviluppo biotecnologico prorio per tenerne sotto controllo gli impatti piu' negativi. E per ottenere questo scenario ci vuole molta maturita' ed istruzione diffusa a livello di massa, cioe' dove si forma il consenso. Oggi gli individui non sono preparati, per istruzione media, a concettualizzare tali scenari, ma hanno il potere elettorale di determinarli. Quindi la soluzione positiva ad un rischio che sta affacciandosi, per la prima volta nella storia dell'umanita', richiede che ogni individuo, e non solo elite intellettuali, diventi capace di maneggiare concetti complessi e di trattare i problemi in modo realistico e non prevenuto da credenze o rigidita' ideologiche. E' un passo molto difficile. L'istruzione oggi offerta, pur immensamente piu' avanzata per numeri e qualita' a quella del passato anche recente, non e' cosi' potente da offrire ad una maggioranza sociale le risorse necessarie per una grande mobilita' intellettuale. E il calcolo del rischio va fatto osservando piu' questo aspetto dello scenario che non i tempi di sviluppo della biorivoluzione. Che comunque sono velocissimi.

Ma possiamo tirare un sospiro di sollievo perche' in ogni caso i problemi qui detti non sono immediatissimi, ma solo di dopodomani - 2010, 2020 - e ci sara' certamente tempo per trovare soluzioni raffinate. Tuttavia il problema di fondo e' gia' in atto. L'individuo si trova di fronte ad opzioni di mutamento della struttura biologica della propria vita. Se apre un libro, non trova raccomandazioni ed esperienze che lo aiutino ad orientarsi. E se accende la televisione trova opinioni contrapposte formulate in modo tale da non aiutarlo ad impostare una strategia di proprio interesse in relazione alla biorivoluzione. Da una parte possiamo aspettarci che il mercato offrira' informazioni sempre piu' chiare. Ma e' ovvio che l'individuo dovra' fare uno sforzo culturale molto maggiore a quello a cui e' abituato per collocare la proria vita entro il nuovo bioscenario.

E tale maggior carico culturale comincia gia' ora in relazione all'allungamento della vita, che e' la parte della biorivoluzione che avverra' per prima. La medicina potra' far vivere una persona attorno al secolo. Ma questa cosa fara' dal sessantesimo anno in poi? Sembra una domanda idiota, ma non lo e' per nulla. Un professore potra' continuare ad insegnare oltre quell'eta'. Un ricco potra' divertirsi comunque riempendosi la vita di stimoli. Ma la classe media non e' fatta ne' di professori ne' di ricchi. Gia' oggi i pensionati soffrono sia di poco reddito sia dall'esclusione dal lavoro. Anche perche' le regole sociali ed istituzionali sono tarate su una vita media attorno ai settanta anni. In realta' questa (in Occidente) sta gia' arrivando oltre gli ottanta. Ed a settanta molti si sentono ancora giovanotti. E' ovvio che gia' da ora bisognerebbe estendere i limiti dell'eta' in cui si considera attiva (e quindi con valore economico). E tale problema si fara' piu' pressante piu' la nuova medicina sostenuta da possibilita' di terapie geniche aumentera' ulteriormente i potenziali di vita sia sul piano della lunghezza sia su quello della capacita' fisiche ed intellettuali. Di colpo (cioe' in meno di venti anni) la nostra vita potrebbe trovare un allungamento di trenta anni e piu'.

Da una parte certamente le regole e sistemi istituzionali evolveranno per affrontare questo mutamento. Dall'altra tocchera' all'individuo la maggior parte del lavoro per adeguarsi ai nuovi confini della vita e trasformarli da problema in opportunita'. E la parte piu' difficile sara' costituita dagli aspetti economici, per i motivi detti sopra, e da quelli relativi alla continua rigenerazione culturale ed intellettuale per adeguarsi ai nuovi orizzonti di vita. Va ripetuto che la parte problematica non e' nella biopotenzialita', che e' di per se positiva, ma nel fatto che il mondo di oggi e' assolutamente impreparato a tale cambiamento, che comunque sta avvendo con tempi veloci, e che cio', quindi, lascia l'individuo molto solo nel gestire la nuova realta' che si prospetta.

 

3. Le nuove strategie di vita

Da quanto sopra ipotizzato ed argomentato, ricaviamo tre dati di sintesi al riguardo della nuova situazione che l'individuo dovra' affrontare:

Padri e madri dovranno subito valutare questi nuovi compiti per l'individuo nel momento in cui valutano i sentieri educativi per i loro figli. Chi e' giovane deve rivedere la propria competenza fin qui maturata ed adeguarla ai nuovi scenari. Chi e' in eta' matura deve prepararsi ad uno sforzo ancora maggiore per rimuovere vecchi modi di pensare ed abitudini. Inoltre deve calcolare le proprie prospettive di reddito tarandole su un attesa di vita (auguri) almeno fino ai 90 anni, forse piu', mettendo in conto che la sua salute e vitalita' potrebbero essere molto migliori di quanto le immagini correnti di vecchiaia lascino intendere. Chi e' oltre la sessantina non deve assolutamente sentirsi in una situazione ormai immodificabile e rivedere il proprio futuro allungandolo e predisponendosi ad un attivismo che gli stereotipi sociali del vecchio mondo non gli hanno finora concesso di valutare.

Cosa possiamo tirar fuori dal cappello della scienza - molto imprecisa, peraltro - degli scenari che aiuti tutti questi a cogliere le nuove opportunita'? Vediamo, articolando l'analisi per tre aree di eta': giovane, adulta e terza.

 

3.1. Infanzia ed adolescenza

Qui il discorso va organizzato in relazione a due tipi di utenti: i genitori e i ragazzi dopo la puberta' che sono gia' in grado di impostare una loro strategia di vita.

3.1.1. Per chi prepara gli individui del futuro

Un genitore che legge questo testo potrebbe subito insorgere sostenendo che da molti decenni l'educazione dei figli avviene piu' fuori dalla famiglia che dentro. Vero. Ma bisogna considerare che lo scenario dei mutamenti detti sopra - incerto nei dettagli, ma certamente probabile nel suo significato complessivo - impone una costruzione di altrettanto nuove capacita' nei figli. E il problema e' che l'offerta educativa, soprattuto dove e' ancora sovradattata alla scuola pubblica - non necessariamente cattiva, ma certamente lenta nel cambiare per la sua struttura burocratica - e' difficile si muova verso il futuro con la velocita' necessaria. Quindi, pur considerando tutte le difficolta', cade sulle spalle della famiglia il compito di caricare le teste dei figli con il software giusto per il loro avvenire. Come? Aggiungendo alle offerte educative standard l'accesso dei giovanissimi a nuove risorse informative. Che comunque, fortunatamente esistono nel mercato. Va detto che la scuola formale non e' del tutto immobile. Inoltre si notano casi dove le istituzioni educative private e pubbliche si stanno preparando ad offrire servizi di arricchimento. Tuttavia e' meglio che un genitore prepari una strategia integrativa di incremento delle competenze dei figli al di fuori dell'offerta fornita dai sistemi formali. Stiamo nel caso solo italiano.

Certamente il nuovo mercato richiedera' due competenze basiche. La conoscenza perfetta della lingua inglese e la capacita' di muoversi altrettanto perfettamente lungo le vie informatiche e di manegggiare sistemi gestiti via computer. In Italia l'offerta di questo livello di educazione, a livello elementare e di media inferiore, si sta certamente sviluppando, ma non ai ritmi e qualita' che sarebbero necessarie. I genitori dovranno aumentare il loro bilancio destinato a reperire risorse educative aggiuntive, qualora non trovassero a scuola un'offerta soddisfacente.

Gli specialisti di educazione e di pedagogia invitano a non pressare troppo i giovanissimi con compiti educativi troppo strutturati, soprattuto in forma ossessiva. Ed e' una buona raccomandazione. I meccanismi cognitivi della mente sono ancora poco compresi. Ma se ne sa abbastanza per capire che le emozioni giocano un ruolo fondamentale nell'apprendimento. Quindi il giovanissimo deve trovarsi in un ambiente gradevole senza ostacoli o pressioni esagerate che potrebbero minarne la ricettivita'. Lasciamo agli specialisti il compito di dettagliare questi aspetti e cerchiamo solo di definire alcuni parametri di fondo.

Se calcoliamo che un ragazzo a 18 anni deve andare all'universita' o frequentare una scuola di specializzazione professionale, e' comunque saggio dargli entro i 14 anni una capacita' di maneggiare perfettamente inglese, computer e dintorni. Anche per metterlo in grado di autoistruirsi utilizzando in proprio questi due strumenti essenziali. Appunto, via Internet e sistemi collegati si puo' accedere a molta informazione utile a basso costo. Per lo piu' in inglese. Considerando la ricettivita' della mente giovane e le scadenze educative future, sembra consistente dare l'eta' detta sopra come obiettivo. In particolare, il genitore italiano deve stare attento a non compromettere la competitivita' futura dei propri figli sul piano linguistico. In altre nazioni non-anglofone le scuole, infatti, sono piu' capaci di quelle - mediamente - italiane nel rendere linguisticamente ed informaticamente letterati i giovanissimi. E nel futuro il proprio figlio, per accedere ai redditi migliori, dovra' competere con questi. Sarebbe stupido ridurgli o ridurle tale chance.

Ovviamente ci sono tante altre azioni educative ulteriori che favoriscono le basi precoci per la competitivita' individuale futura. Ma queste riguardano i singoli talenti e situazioni ciascuna speciale e non trattabile in modo generalizzabile. Forse ce ne una che potrebbe avere valore generale. Ma non e' sostenuta dalla scienza specialistica, pur essendo di buon senso, e quindi va presa solo come ipotesi da eleborare ulteriormente. Riguarda la individuazione anticipata di un talento.

E' probabile che tutti noi siamo predisposti per fare bene alcune cose e meno bene altre. Molti individui in eta' matura scoprono di avere un talento diverso o lontano dala professione che fanno. Questo e' un fatto, facilmente rilevabile, che dovrebbe incuriosire di piu' i ricercatori specialisti e portarli a dare raccomandazioni sul come far coincidere mestiere e talento in modo da massimizzare la probabilita' di successo nel primo. E' altrettanto rilevabile, d'altra parte, che un talento puo' essere generale. Cioe' permettere tante prestazioni, e non solo una in particolare. E cio', in effetti, complica l'oggetto di studio. Poi c'e' il rischio che dei genitori convinti di dover tirar fuori il talento dei figli li costringano ad inventarsene uno, che magari non c'e', lasciando non coltivato, o represso, quello vero che magari matura piu' lentamente. Tuttavia, considerati tuti questi fattori prudenziali, appare di buon senso dire che i genitori dovrebbero dedicarsi alla scoperta precoce dei talenti dei loro bimbi per coltivarli e farli sviluppare in competitivita' specifica. Bisogna certamente essere molto prudenti nei modi, ma forse un po' meno nel darsi questo compito.

Un altro punto generale - che forse e' tra i piu' importanti - riguarda il controllo degli aspetti morali dell'educazione. Nelle scuole italiane prevale un insegnamento che porta i ragazzi a privilegiare la solidarieta' nei confronti della competitivita'. Dove questo avviene, il genitore dovrebbe intervenire per predisporre il figlio ad un'immagine piu' realistica del mondo, soprattutto abituandolo a gareggiare. Ovviamente cio' non deve significare la repressione della cultura solidaristica. Questa e' utile a fini competitivi, per esempio, per predisporre l'individuo ad operare in sistemi cooperativi con altri, cioe' a potenziare attraverso collaborazione la, propria probabilita' di successo in qualche iniziativa. Probabilmente l'approccio giusto e' quello di abituare il giovanissimo sia a cooperare in squadre - cioe' ad atteggiamenti autotrscendenti - sia a gareggiare con un forte desiderio di vittoria in quanto singolo. E questo per metterlo in grado nel futuro di poter usare tutte e due le opzioni in base al particolare compito competitivo, cosa che richiede di non essere sovradattati ne' all'una o l'altra.

In sintesi, solo l'enunciazione di una piccola parte, quella piu' standardizzabile, dei compiti educativi che toccano alle famiglie per sostituire il gap educativo della scuola formale a ridosso di grandi mutamenti che chiamano la costruzione di una maggiore competititivita' individuale, implica un aumento della spesa e dei carichi intellettuali nel mestiere genitoriale. Questa probabilmente e' una cattiva notizia per coloro che si erano illusi di poter delegare l'educazione dei figli a servizi esterni. E tale illusione e' comprensibile in quanto il genitore di oggi e' a sua volta impegnato in lavori competitivi che lasciano ben poco tempo e spazio mentale alla cura della prole. Tuttavia e' cosi'.

La situazione potra' riequilibrarsi in base alla nuova domanda di competenze che comportera' certamente un'evoluzione del sistema scolastico. Tuttavia non e' prudente prevedere che cio' risolvera' il problema. E la famiglia, piu' probabilmente, restera' un luogo critico ed insostituibile per la formazione. Soprattuto quella competitiva che servira' sempre di piu' nel futuro.

In base a questo scenario, tralasciando il come ciascun genitore trovera' il suo modo di adeguarsi ai nuovi impegni, certamente dovra' aumentare la spesa che ogni famiglia dedica all'educazione dei figli in giovane eta' per reperire risorse aggiuntive. E dovra' aumentare anche la quota di risparmio dedicata a finanziare gli studi superiori e succesivi dei figli e le attivita' collaterlai di arricchimento. Questo e' il dato piu' duro da prendere in considerazione. Anche perche' l'attuale reddito medio degli italiani non necessariamente fornisce tutte queste risorse. In parte il problema puo' essere risolto riorientando parte della spesa per altri consumi, cioe' a restringerla a favore delle spese educative. Un'altra parte e' risolvibile attraverso modifiche delle leggi fiscali e dei servizi di istruzione che comportino un rilassamento della tensione sui bilanci famigliari. Ma anche nel miglior scenario a tale riguardo, restera' comunque una quota di risorse da aggiungere o da riorientare.

Tale questione non va conclusa dicendo banalmente che le famiglie devono guadagnare di piu'. Troppo ovvia, ma anche non facile, indipendentemente dalle volonta' e capacita' dei singoli. Una prte della soluzione, che riguarda il risparmio per spese educative future con cumulo anticipato del capitale necessario, puo' essere fornita da prodotti finanziari ed assicurativi che aumentino l'efficienza del risparmio. Questo e' un punto generale per un paese dove il risparmio residente tende ad essere remunerato meno che in altri nazioni. Per esempio, il risparmio forzato per scopi pensionistici via sistema pubblico remunera molto poco e nulla il capitale. Cosi' il denaro lasciato dal dipendente per il fondo di trattamento di fine rapporto (Tfr) ha un resa nel tempo molto inferiore di quella di un normale fondo di investimento che ottenga prestazioni medie. Ovviamente sono questioni politiche scottanti e non e' questo il luogo per prendere posizione. Tuttavia, e' evidente che se il reddito medio puo' crescere solo lentamente e la spesa per motivi basici ed irrinunciabili come quella dell'educazione dei figli aumenta, allora non resta altro, a parte la rinuncia ad alcuni consumi, che rendere piu' efficiente, ovvero piu' remunerativo e specializzato in base ai compiti, il risparmio. La buona notizia e' che l'Italia e' molto inefficiente su questo piano e che quindi, poiche' dovra' per forza evolvere, c'e' molto potenziale inutilizzato che puo' essere rielaborato per aumentare il capitale disponibile alle famiglie. Infatti il mercato privato si sta muovendo in questa direzione.

Tali considerazioni lasciano intendere che se le famiglie si muoveranno verso i maggiori campiti educativi detti, allora troveranno una crescente capacita' del sistema privato di sostenerne i maggiori carichi economici. E su questo piano lo scenario puo' essere spostato verso il lato ottimistico.

3.1.2. Per gli studenti

Non so se queste righe verrano lette da giovani dai 14 ai 24 anni. Comunque l'eventuale genitore o amico potrebbe proprogliele e quindi vale la pena di definire anche per questo cruciale livello di eta' uno spazio nel discorso sulla costruzione della competitivita' individuale.

Certo, a questa eta' - dicono gli specialisti - nel corpo c'e' una tempesta ormonale. Il ragazzo cerca ragazza e la seconda il primo. La priorita' dettata dalla natura e' tale da mettere in secondo piano altre questioni. La natura, poi - per suoi motivi evoluzionistici - rende il giovane ribelle alle strutture e linguaggi costituiti. E anche agli inviti di ragionare a fondo se provengono da fonti riconosciute come troppo tradizionali. Ma anche spinge il giovane ad esplorare nuove terre e a capire. E' quindi una buona eta' per formarsi una competenza metodologica generale - una sorta di motore cognitivo - che permetta di essere piu' potenti nell'analisi delle realta' settoriali e potenzialita' specifiche. Riuscirla a possedere e' un formidabile fattore di incremento della competitivita' futura.

Il problema di fondo e' che l'informazione e' una cosa mentre la capacita' di estrane un significato e' un'altra. Per esempio, uno puo' comprare a basso costo un libro di matematica, ma se non ne conosce le regole generali quei segni cosi' facilmente ottenuti non vogliono dire nulla. Allo stesso modo uno oggi puo' cliccare e navigare su Internet ottenendo milioni di informazioni rilevanti. Ma se non ha una conoscenza e metodologia generale di trasformazione dell'informazione in significato, tale potenzialita' di accesso al mondo non gli da nulla in piu'. Che cosa permette ad un individuo di organizzare e dare significato, per i propri scopi e quelli analitici, alle informazioni? Il pensiero astratto. Cioe' la capacita' di collocare in forma sintetica, eventualmente finalizzata, i dati. La scuola fornisce questa risorsa? In parte si'. Ma l'enfasi dell'educazione formale deve per forza concentrarsi su discipline settoriali e, appunto, su un apprendimento per disciplina. Che significa certamente acquisire un metodo di astrazione, ma che resta limitato in forma di schema settoriale e non necessariamente sviluppa la capacita' del pensiero generalista. Quest'ultimo, semplificando, e' un metodo che permette di mettere in connessione simboli, dati, esperienze, informazioni della piu' savariata natura. Ed ha il pregio di far vedere cose e prospettive che il pensiero settoriale e' meno capace di individuare. Nella storia della scienza e della gnoseologia tale metodo di pensiero generalista che permette di trattare molta varieta' di elementi diversi si chiama "pensiero sistemico". Che non vuol dire tanto "sistematica", cioe' la capacita' di ordinare simboli attraverso catene logiche semplificate, o "teoria dei sistemi" che e' un reparto particolare della piu' generale "Teoria dei modelli". Significa, invece, "approccio olistico", cioe' la capacita' di rappresentare un pezzo di realta' in relazione agli altri, ricavando il significato dell'analisi prorio da tale mettere in relazione tante cose diverse. Il punto e' che tale tipo di motore cognitivo non viene fornito di routine dai servizi educativi.

Perche' sarebbe utile? Il pensiero sistemico, cosi' inteso, permette di passare da una realta' all'altra senza dover cambiare lo strumento di analisi (linguaggio, categorie, abitudini analitiche, ecc). Quindi permette una grande flessibilita' utile a gestire la comprensione veloce di situazioni diverse. Che a sua volta e' precursore della flessibilita' mentale che permette ad un individuo di poter passare da un lavoro o da un territorio all'altro senza ostacoli di rigidita' culturale che ne rendono ostico l'adattamento alla novita'. Giovani che apprendono nel momento in cui la loro mente e' ricettiva, perche' giovane, ma e' gia' capace di acquisire modelli complessi, perche' sufficientemente strutturata, certamente troverebbero un vantaggio per il loro futuro competitivo ad essere educati anche con questo inserimento aggiuntivo. E se non proprio questo, almeno ottenere un ambiente educativo dove la mente possa esercitarsi il piu' possibile su compiti astratti in modo tale da addestrarla a sintetizzare velocemente sia realta' complesse che nuove. Va subito detto che la conoscenza piu' immediatamente utile ai fini della competitivita', in quanto oggetto di domanda diretta da parte del mercato, resta quella specialistica. Tuttavia la mobilita' intellettuale, di cui ceramente ci sara' molto piu' bisogno nel futuro, dipende molto dalle capacita' di "pensiero generalista" posseduto dalla mente individuale.

Anche se la scuola non puo' fornirla su base standardizzata, questo non vuol dire che lo studente avvertito non possa autoistruirsi in tale direzione sia stimolando il proprio docente sia andando in cerca delle risorse extrascolastiche utili. Per esempio il libro giusto. E cio' mette in campo la tecnica di offerte bibliografiche. Attualmente sono complete ed illustrative per far capire dove trovare il testo che serve. Ma per stimolare i giovani ad usare di piu' le risorse "libro" siamo ancora molto lontani. Qualcuno dovra' pensarci in fretta, probabilmente offrendo sentieri di autoistruzione aggiuntiva.

I "modelli sintetici aperti" servono a rendere piu' flessibile la mente. Ma non e' meno importante il possesso di quelli "sintetici chiusi". Per esempio, la matematica e' uno di questi (anche se cosi' immensamente flessibile da farla sembrare un modello aperto) e serve a trasformare in ordine computabile una realta' complessa. Nel mondo del futuro la possibilita' di fare calcoli precisi, per qualsiasi cosa, sara' necessaria e parte del profilo competitivo di un individuo, sia questo ingegnere o attore cinrematografico o artigiano. Tale nota, in altri luoghi lapalissiana, ha un certo maggior senso in Italia. L'insegnamento della matematica, pur buono mediamente, non e' sufficientemente coltivato al punto da farla diventare normale strumento di lavoro quotidiano. E cio' potrebbe comportare svantaggi competitivi. La soluzione e' quella di standardizzare, anche attraverso test nazionali che danno l'accesso al livello successivo di istruzione, un pacchetto piu' robusto di conoscenze matematiche a livello di massa. Sarebbe anche utile, oltre alle prestazioni ordinative, per stimolare quelle astratte. Ovviamente questo discorso si applica a livello di massa e medio. Dove in effetti ci sono carenze sul piano specifico italiano. Tuttavia riguarda direttamente anche l'interesse individuale in quanto gli stimoli migliorativi non provengono solo da se stessi, dalla famiglia o dal fatto di incontrare occasionalmente un agente di mobilizzazione intellettuale, ma anche dal fatto che il contesto in cui si vive e' generalmente orientato verso orizzonti di maggiori stimolazioni. Se l'ambiente culturale italiano si desse una spinta verso gli obiettivi detti cio' aumenterebbe la probabilita' per i giovani di adeguare le loro menti agli scenari competitivi del futuro, soprattutto maggiore capacita' di astrazione, per la flessibilita', e una buona capacita' di ordinamento computazionale per saper comunicare con in linguaggio formale dell'economia a tutti i suoi livelli, dal bilancio personale a quello dell'azienda. Con queste due aggiunte, la capacita' precoce di maneggiare sistemi elettronici e di operare in inglese diventerebbero veicoli potenti per mettere a proprio agio l'individuo cosi' formato in qualunque luogo del mondo e settore della sua varieta' economica e culturale.

Manca un aspetto. Una mente flessibile e ordinatrice non necessariamente e' capace di prendere decisioni giuste al momento opportuno. Per aiutare la formazione di questa competenza - tra le piu' complesse - certamente sarebbe utile fornire agli studenti piu' opportunita' di fare esperienza in ambienti reali, diversi da quelli casa-scuola-vicinato che costituiscono, usualmente l'ambiente unico entro cui cresce un giovane, almeno fino ai 18-20 anni. L'esperienza reale rende piu' sicura in se stessa la persona e la costringe anche a forzare le prorie capacita' adattive, molto di piu' di quanto avvenga a scuola e in un ambiente sociale ripetitivo. Gia' a sedici anni buona parte dell'educazione scolastica puo' essere fatta andando all'estero per qualche mese e, per alcuni settori, attraverso internati periodici in luoghi di lavoro reale. In generale, le famiglie dovrebbero stimolare i giovani ad uscire il piu' possibile dall'ambiente usuale. E le scuole secondarie e le universita' dovrebbero diventare strumenti molto piu' moderni per svolgere questo servizio. Tali concetti sono gia' stati acquisiti e stanno entrando nel senso comune. Solo che c'e' un ritardo nelle applicazioni operative. Si tratta di velocizzarle.

Ma il punto principale sta in un'altra possibile innovazione da valutare seriamente. La mobilita' di un giovane, a partire dai sedici anni, e la sua presa anticipativa di esperienza reale possono essere aumentate se si facilitano due possibilita'. La prima riguarda l'accesso ad un lavoro provvisorio, per esempio estivo, con remunerazione comunque adeguata. La seconda prevede che da quell'eta' possa essere oggetto di un prestito d'onore, da ripagarsi nel resto della vita, per finanziare immediatamente - con qualche controllo di consistenza - sue prorie esperienze sia di lavoro che di istruzione. La seconda possibilita' riguarda uno sviluppo sofisticato del sistema finanziario privato e la fornitura di una retrogaranzia e di incentivi da parte del sistema statale o di fondazioni private dedicate. Ci si potrebbe arrivare abbastanza presto perche' in altri luoghi gia c'e' e comunque il concetto di fondo ha gia' del consenso. La prima opzione, invece, in Italia e' piu' problematica perche' implica tipi di lavoro non regolato che non rientrano nelle leggi attuali. Si tratterebbe, semplicemente, di deregolamentare il settore occupazionale per l'eta' dai 16 ai 24 anni. Sicuramente questa misura sarebbe una delle leve piu' forti per accelerare e rendere piu' completa l'educazione dei giovani in direzione di una maggiore competitivita' e flessibilita' culturale.

 

3.2. Maturitā

Concentriamoci sul problema di una persona che debba aumentare la propria mobilita' lavorativa, quindi intellettuale e probabilmente territoriale. La rivoluzione del nuovo mercato prende l'attuale fascia di eta' tra i 30 e 60 anni a cavallo tra il vecchio mondo, e le sue maggiori garanzie di stabilita' lavorativa, e quello nuovo dove tale garanzia e' minore e che richiede all'individuo di rinnovare continuamente il prorio valore di mercato. Tale immagine non va visto solo in negativo. Molte persone trovano nella maggiore dinamicita' del mercato globale anche l'opportunita' per cambiamenti migliorativi. Quindi ci sono due gruppi, quelli che si preparano a trarre vantaggio dal turbocapitalismo globale e quelli che sono a rischio di essere espulsi dalla ricchezza per lo stesso cambiamento. Ma ad ambedue sono utili le stesse cose: servizi di formazione continua e la possibilita' di cumulare piu' capitale di riserva sia per gli imprevisti sia per facilitare un buon livello di vita nella successiva terza eta'.

3.2.1. Formazione continua

E' evidente che un'economia in crescita continua rende meno problematico il cambiamento di lavoro. Se ne lascia uno e se ne trova un altro, con una certa tranquillita' perche' la domanda di lavoro e' elevata. Quindi il problema trova la sua soluzione principale nella dimensione macroeconomica, cioe' quello della configurazione di un sistema economico in relazione ai requisiti della crescita. E' ovvio e qui non insistiamo sul punto. Tuttavia anche in un'economia in fase crescente e' critica, sul piano microeconomico, la capacita' degli individui di adattarsi velocemente ai nuovi lavori, specialmente nell'economia del futuro trainata dalla tecnologia. L'importanza e' dovuta al fatto che se anche il sistema e' configurato sul piano generale per crescere molto, ma troppi lavoratori non hanno le competenze per accedere ai nuovi lavori, allora l'economia intera si deprime perche' alla crescita corrisponde disoccupazione. Quando anche il sistema europeo sara' riformato e diventera' piu' flessibile si risolveranno certo i problemi di disoccupazione determinati da mancanza di investimenti, modernita' e regole troppo rigide del mercato del lavoro. Ma proprio perche' il sistema sara' piu' leggero e dinamico, quindi creera' nuove attivita' distruggendone - tuttavia - altre, il problema del rischio di disoccupazione e sotto-occupazione rientrera' per un'altra via, quella della selezione negativa dei lavoratori meno competenti o poco in grado di essere mobili intellettualmetne e territorialmente. Quindi gli individui, anche perche' meno tutelati da garanzie pubbliche, come argomentato in precedenza, dovranno fare i conti con la necessita' di aumentare la loro capacita' personale. E tale scenario inizia da oggi perche' il mutamento e' in corso.

Un punto fondamentale della nuova autotutela dell'individuo riguarda la sua riqualificazione continua. Per esempio, chiude la fabbrica dove questo montava biciclette, ma se ne apre un altra che usa macchine a controllo digitale per produrre, diciamo, telefonini. Se il lavoratore che non ha piu' un valore di mercato perche' competente solo nell'imbullonare biciclette, ed il settore tende a migrare in altri paesi, riesce in pochi mesi a manovrare un robot industriale, allora per lui non solo questo cambiamento non comporta grandi problemi, ma si traduce in un vantaggio o di reddito o di miglioramento comunque dell'ambiente di lavoro perche' certamente piu' moderno. Se invece non trova questa formazione, allora deve puntare ad un lavoro di minore qualificazione, per esempio fare il telefonista a tempo parziale. Minore reddito, piu' volatilita'. I due destini dipendono, oltre che da aspetti macro, anche dallo specifico incontrarsi della domanda di formazione in un settore che chiede lavoro e sua offerta tempestiva.

Lo scenario e' abbastanza ottimistico sul fatto che nel futuro tali domande ed offerte si incontreranno. Le aziende stesse hanno interesse a formare nuove competenze, specialmente se di settore nuovo e ad alta tecnologia. Quindi non c'e' da preoccuparsi sul piano della formazione specifica. Sara' una conseguenza naturale del mercato se e quando questo sara' messo in grado di tirare.

Il problema, invece, resta irrisolto sul piano della formazione generale. Un soggetto con pochissima istruzione fa piu' fatica, mediamente, ad imparare competenze specifiche. E in questo caso l'azienda seleziona, per la formazione specializzata ai lavori piu' raffinati e meglio remunerati, coloro che gia' esibiscono capacita' generali migliori. In altri casi, per esempio quello di un dipendente che diventa lavoratore in proprio, serve una formazione di tipo generale che metta in grado il soggetto di sapere come si monta e gestisce un'attivita' imprenditoriale. E avanti cosi', con migliaia di esempi possibili, tutti che mostrano quanto accanto alla formazione specializzata, serva un precursore di formazione generale che metta ingrado le persone di accedere alla prima. Tale funzione era tipicamente svolta dalla scuola. Ma in un'economia che cambia continuamente questa comunque non e' piu' sufficiente, anche se fosse migliore di quello che e'. E cio' determina la necessita' di creare un sistema post-scolastico di formazione continua per l'evoluzione delle competenze generali.

Quest'idea che periodicamente una persona matura debba tornare in classe potrebbe far sorridere qualcuno. In realta' la formazione continua non implica necessariamente corsi formali, tipo scuola media. Puo' essere fatta in mille in modi. Per autoistruzione, per esempio, si possono imparare a dominare dei software complicati. Poniamo, per esempio, che un'attuale segretaria d'azienda dotata di computer abbia imparato a maneggiarne uno e che trovi un annuncio di ricerca di lavoro da parte di un'altra impresa che vuole produrre siti web. Anche se non conosce lo specifico software, ha, tuttavia, un competenza di fondo che le permette di impararlo presto. E puo' migliorare tipo di lavoro o cercarne uno nuovo se la sua azienda chiude. Poniamo anche che dopo un po' di tempo vengano fuori (probabile) nuovi prodotti che rendono semplicissimo farsi e gestirsi un sito web personale. Dopo neanche due anni di nuovo lavoro la nostra amica ex-segretaria deve ancora cambiare lavoro. Ma lo deve fare perche' intanto e' evoluta un'altra generazione di servizi elettronici con piu' utenti. Quindi ci saranno nuove opportunita', per esempio di commercio elettronico, che richiederanno nuovi lavoratori competenti. E la nostra amica, esperta nei siti web, farebbe abbastanza presto ad imparare servizi di intermediazione elettronica. Poniamo che anche questi vengano dopo due anni saltati dal fatto che un utente potra' evitare il mediatore ed andare alla fonte. La ex-segretaria, ex-webbista, diventera' anche ex-mediatrice. Ma potra' facilmente collocarsi nelle aziende fornitrici del prodotto richiesto dagli utenti perche' questo avranno bisogno di piu' personale elettronicamente competente per gestire questa via commerciale. E avanti cosi'. In sintesi, quell'atto autoformativo iniziale unito ad un atteggiamento ad apprendere continuamente nuove competenze, ha messo la segretaria in grado di stare dietro ai salti del mercato traendone vantaggio. Ed e' una storia vera cominciata dieci anni fa, in America.

Ma e' altrettanto vera la storia del tecnico riparatore di macchine da scrivere che, quando queste sono sparite dal mercato, non ha trovato un lavoro migliore e, oggi, si barcamena malamente in occupazioni saltuarie. La differenza tra le due storie? A parte le ovvie diversita' di contesto e di vita, tuttavia va notato che nel secondo caso non e' scattata, come nel primo, la voglia di imparare qualcosa di piu' e di diverso da quello che si stava facendo. Non e' tutto, ma forse e' il fatto critico.

Con questo si vuol dire che la competitivita' della persona matura dipende anche molto dalla sua capacita' di autoistruirsi, pur in forma generale, in base al futuro man mano che questo si realizza. Lo scenario, pertanto, puo' essere solo determinato dalle volonta' individuali? No, certamente. Ci deve essere un mercato che offre possibilita' di autoistruzione a chi le chieda in modo da facilitarne l'accesso. E anche a rendere routine, e non solo caso eccezionale, l'evento autoformativo.

Si sta formando un tale mercato? In Italia c'e' qualcosa, ma non ancora al passo con l'eventuale domanda di nuova autoformazione in base alla dinamcia economica prevedibile nel prossimo futuro.

Le universita', pur essendoci sperimentazioni innovative in tale materia, restano ancora per lo piu' chiuse e non forniscono servizi e piattaforme per la formazione continua. Un buon sentiero evolutivo per queste sarebbe quello di dotarle di una terza missione oltre a quella tradizionale di ricerca ed insegnamento, cioe' quella di fornire servizi scientifici alla popolazione ed alle unita' economiche. In generale, il mercato pubblico per la formazione continua non appare molto strutturato, ancora. E quello privato non ha trovato in Italia una crescita cosi' prorompente dell'economia trainata dalla tecnologia e, quindi, neppure la domanda di autoformazione e formazione continua che tipicamente e' conseguenza di quella. Certamente arrivera', ma non c'e' ancora.

Comunque il precursore per l'avvio di un sistema formativo adeguato al nuovo mercato in arrivo riguarda la diffusione della consapevolezza in ogni individuo che gia' da oggi - e sempre piu' nel futuro - sara' necessario essere capaci di autoformazione, cioe' di un'alta mobilita' intellettuale, per stare dietro ai mutamenti e, possibilmente, saltarci sopra.

La mobilita' intellettuale comporta anche un piu' ampio potenziale di mobilita' fisica, cioe' la possibilita' di spostarsi per seguire le migrazioni delle opportunita' di lavoro o per conquistrane uno migliore. Quindi nell'autoformazione e formazione continua deve necessariamente esservi la costruzione di competenze linguistiche. E cio' e' tanto piu' sensato per gli europei che vivono in un ambiente integrato sul piano economico, ma non delle lingue.

La mobilita' intellettuale servira' anche sempre di piu' per dare all'individuo piu' flessibilita' "categoriale". Per esempio, non e' detto che uno debba restare per tutta la vita dipendente. Dipende anche da lui o da lei? Certamente. Un operaio di una piccola azienda, ad un certo punto, potrebbe accettare l'invito di diventare da dipendente a partner dell'imprenditore accettando piu' rischi, ma anche mettendosi nella possibilita' di condividere piu' profitti. Il mercato offrira' sempre piu' opzioni che tenderanno a ridurre il lavoro dipendente e ad aumentare i rapporti di partenariato. I secondi sono una forma piu' efficiente di occupazione in quanto rendono piu' competitiva l'azienda sul piano della flessibilita'. Anche la disponibilita' del lavoratore di essere remunerato in parte con i profitti variabili annuali sarebbe un incremento di forza per la concorrenzialita' dell'azienda. Il lavoratore avrebbe piu' rischi, ma anche piu' chance di non perdere il lavoro perche' l'azienda puo' navigare piu' agilmente nei marosi del nuovo turbomercato globale. In sintesi, una maggiore, in relazione al presente, capacita' degli individui di condividere i rischi (e i profitti) di impresa fa bene all'economia. Ed ai lavoratori stessi perche' il mantenere competitive le aziende in cui lavorano e' l'unica garanzia che in realta' anno di poter stabilizzare in qualche modo le loro fonti di reddito e di aumentarle. Ma - tralasciando gli aspetti politici e sistemici che possono favorire o ritardare tale evoluzione - quanto detto implica un salto notevole oltre il mondo del recente passato. Il dipendente deve pensare come un imprenditore e diventarlo di se stesso. Non facile se si hanno categorie rigide nella mente. Molto piu' facile e fattibile se questa e' stata dotata delle basi per una maggiore mobilita' intellettuale. E cio' spiega l'enfasi data a tale tema.

3.2.2. Le nuove strategie di risparmio in eta' matura

Oltre all'impegno di sopravvivere ad un mercato piu' turbolento, l'individuo in eta' matura avra' sempre di piu' bisogno di aumentare la propria dotazione di capitale. Per due scopi: (a) riserva per imprevisti e per investire sulla propria formazione o per trasformarsi in imprenditore di se stesso; (b) darsi una base di sicurezza privata per garantirsi comunque un reddito soddisfacente in una terza eta' che sta allungandosi.

Questa formulazione degli obiettivi individuali ha significato in relazione al fatto che oggi la maggior parte delle persone non ha la dotazione di capitale sufficiente ne' per autoinvestimenti ne' per garanzie future. Perche'? L'idea del passato e' che lo Stato, in diversi modi diretti ed indiretti, avrebbe provveduto a queste cose. Ed infatti lo fa. Ma per dare a tutti le risorse tende a fornirne a ciascuno una quantita' minore di quella che serve nel presente e, soprattutto nel futuro. In sintesi, le garanzie dello Stato sociale tendono a produrre una sottocapitalizzaione individuale pur assicurando la minima sopravvivenza. E cio' rende vulnerabile piu' della meta' della societa' italiana ai cambiamenti che si prospettano.

Come risolvere questo problema? Anche in questo caso lo scenario puo' orientarsi verso l'ottimismo. Il mercato finanziario ha tutto l'interesse a far girare meglio i risparmi ed a remunerarli di piu' Inoltre ha l'interesse a generare prodotti misti che combinino forme assicurative con la gestione del patrimonio. Se la concorrenza resta aperta, un individuo puo' aspettarsi notevoli offerte che gli o le risolvano una parte del problema. Un'altra riguarda, ovviamente, il fatto che ogni individuo deve guadagnare di piu'. Ma tale area dipende da decisioni macroeconomiche che portino il sistema italiano verso un assetto di maggiore crescita economica e modernizzazione, complessiva. Qui l'individuo puo' essere influente solo nella sua veste di elettore e la cosa non e' oggetto di questo testo. C'e', tuttavia, una terza componente per la soluzione del problema.

Un individuo puo' ricavare molta piu' remunerazione dai suoi risparmi investiti se e' in grado di ottenere dal gestore finanziario un prodotto il piu' possibile adattato alle proprie situazioni specifiche, cioe' "individualizzato". Per esempio, uno offre ad una struttura finanziaria di darle in gestione tutto il suo pacchetto complessivo di risparmio gestito ed assicurazioni. Ma in cambio pretende che la parte di costo assicurativo venga minimizzata e la resa complesiva del capitale massimizzata. Oppure chiede all'istituto finanziario un accesso piu' efficiente al credito di quello ottenibile attraverso una banca normale, per esempio nel caso di un artigiano che abbia bisogno di capitale di rischio per espandere la propria attivita'.

Da una parte, l'offerta di prodotti finanziari si sta facendo sempre piu' efficiente e flessibile. Dall'altra esistono limiti tecnici alla varieta' di individualizzazioni possibili. Un'azienda finanziaria deve per forza standardizzare la propria offerta perche' il variarla troppo la porterebbe a costi eccessivi di produzione e ad affrontare rischi che non e' in grado di computare per media in quanto riguardano casi specifici. Pur tenendo conto di questo punto sostanziale, va detto che in realta' la flessibilita' possibile (nell'era dei computer) agli istituti finanziari e' comunque potenzialmente molto maggiore di quella finora esibita anche nelle aree piu' avanzate. Quindi tra il limite oltre il quale un istituto di gestione finanziaria non puo' oggettivamente andare e i limiti entro i quali si ferma oggi la varieta' delle offerte, c'e' ancora un notevole spazio di flessibilita' non utilizzato. Parte dei fattori che possono portare ad una maggiore efficienza di individualizzazione dipende dall'evoluzione delle leggi regolative del mercato finanziario. E qui tralasciamo il punto. Ma una buona parte di questa evoluzione dipende soprattuttto dalla capacita' degli individui di saper chiedere al mercato finanziario nuovi prodotti piu' personalizzati.

Se, infatti, la domanda si fa piu' raffinata in un mercato concorrenziale e' probabile che l'offerta si adegui. Questa fara' il suo lavoro competitivo, ovviamente, quando individuera' i nuovi spazi di mercato personalizzato. Ma, appunto, una bella fetta dei fattori che possono accelerare questa dinamica dipende dall'emergere di una domanda piu' competente. Come?

Prima di tutto un risparmiatore deve cercare di capire meglio come funzioni il mercato finanziario ed assicurativo (i due stanno diventando una sola cosa , per altro) per poter comunicare meglio le sue domande al sistema di offerta. Poi deve prendere un atteggiamento di ricerca della massima remunerazione possibile del proprio capitale. Questa appare una raccomandazione superflua. In realta' non e' cosi'. E', infatti, enorme la quantita' di risparmio che non viene impegnata in modi efficienti, cioe' che non da la miglior remunerazione possibile entro quadri di rischio moderato, ai risparmiatori, specialmente in Italia. Ci sono casi in cui un risparmiatore lascia troppi denari su conti correnti rinunciando ai profitti che questi darebbero se messi ad investimento. Altri in cui uno disperde troppo i propri investimenti e spese assicurative senza organizzarli a pacchetto e, quindi, ottenere una maggiore remunerazione derivante da tale integrazione. Perche'? Il risparmiatore medio non ha ancora una cultura finanziaria. E, nelle aree di eta' piu avanzata, oggigiorno si nota addirittura la persistenza di azioni di risparmio primitive che ingrassano le banche meno efficienti e non danno profitto al piccolo risparmiatore. In sintesi, appare chiaro che c'e', particolarmente nel nostro paese, una miniera di denaro non ancora sfruttatata anche perche' il risparmiatore non sa come farlo. Certamente il mercato finanziario fara' nuove offerte anche educando il risparmiatore ad essere piu' efficiente per se stesso. Ma tale movimento deve incontrare per forza una maggiore consapevolezza ed autoistruzione da parte dei risparmiatori.

Bastera' questo passo evolutivo per risolvere il problema di sottocapitalizzazione detto sopra? Difficile dirlo, ma certamente pavimentera' la strada dove passeranno mezzi futuri per farlo. Il punto e' che ogni risparmiatore deve diventare un investitore dedicato ad ottenere la massimA remunerazione possibile del proPrio capitale e/o di poterlo utilizzare quando serve per compiere passi di crescita o di tutela d'emergenza nella propria vita. Divertente notare che, qualunque sia - e comunque volatile - il mestiere svolto, ogni individuo nel futuro mercato globale avra' certamente a tempo pieno e senza possibilita' di essere licenziato, quello di investitore. E cio' perche' la globalizzazione dei capitali implica l'emergere di una finanza di massa. Da una parte il nuovo mondo del capitale aumenta la pressione competitiva, ma dall'altra incrementa il potenziale di guadagno finanziario per tutti. Si tratta di usare questo lato "buono della forza" per sopravvivere ai colpi che vengono da quello oscuro.

 

3.4. Vecchiaia

E' particolarmente difficile trovare il confine tra eta' matura e vecchiaia. C'e' troppa variabilita' individuale. Uno a 90 anni anni puo' fare il presidente di uno Stato, ma non e' ritenuto in grado di svolgere un lavoro di ufficio. Comunque, mediamente, una persona a 65 anni e' considerata anziana e meritevole di ritmi di vita meno competitivi. Ma gia' le ricerche, e le proposte politiche di definizione dei limiti massimi dell'eta' pensionabile, si portano verso i 69 anni. E questo senza che sia ancora in corso una medicina di potenziamento e manutenzione dell'organismo come quella che si prospetta nel prossimo futuro, trainata dalla biorivoluzione.

C'e' un criterio semplice, di senso comune, che permetta all'individuo di poter fare una strategia di vita entro uno scenario che sta cambiando cosi' sostanzialmente e personalmente? Certo. Basta ricordarsi che i mutamenti avverranno molto prima che gli Stati, bravi o meno che siano, riescano comunque ad adeguarsi ad essi. Cio' vuol dire che in tutti quei casi nazionali - e l'Italia e' uno di questi - dove i sostentamenti per l'eta' anziana sono pesantemente dipendenti dal sistema pubblico, l'individuo in terza eta' si trovera' piu' vulnerabile all'estensione dei limiti della vita e meno sostenuto per coglierne le opportunita'. E cosa deve fare? Predisporsi a restare attivo il piu' possibile non considerando la terza eta' come quella del riposo.

Per alcuni sara' piu' facile sul piano culturale. Sono quelli che considerano il pensionamento come una morte civile. Si sentono esperti e ancora in forze e una legge combinata con uno stereotipo sociale fortemente limitativo (e che sta diventando sempre piu' repressivo) li costringe a non far niente. Poi, in realta', continuano a fare. Ma quasi come clandestini in quanto la societa' non li riconosce piu' come soggetti pienamente attivi. Tale problema non esiste per i lavori di tipo dirigenziale e simili. Ma sono una minoranza mentre la maggioranza il problema ce l'ha e sempre di piu' nel futuro. Altri, impegnati in occupazioni che non soddisfano completamente, vedono il pensionamento come una meta positiva. E si preparano a vivere una vita migliore finanziata dai sacrifici fatti in precedenza. Ma la maggior parte di questi hanno trattamenti pensionistici, pur ben garantiti, non tali da metterli in grado di possedere il capitale sufficiente per fare una vita attiva. E, se invece di deperire velocemente nei loro anni 70 si sentissero rinvigoriti, molti di loro e piu' sani si troverebbero come in una trappola. Comunque la si veda, l'epoca attuale e' sottoposta ad una tensione che tende a rielaborare tutti i concetti di fasi della vita come finora consolidati.

Ovviamente la soluzione e' che l'anziano in buona salute sia messo in grado di stare sul mercato. Buona parte di questo mutamento dipendera' da evoluzioni legislative. Ma, appunto, arriveranno solo dopo che il problema si e' manifestato. Quindi l'individuo anziano e' costretto a pensare da solo a come restare attivo in una terza eta' che precorre solo una quarta. Cioe' attivo dai 65 almeno agli 85 - 90 con un passaggio alla quarta eta', dai 90 fino oltre ai cento. Tale raggio temporale sembra oggi fantascientifico, ma e' in realta' gia in sviluppo che sara' accelerato dalla nuova medicina che non solo allunga la vita, ma mantiene robusti cervello ed organismo. Ovviamente non e' scenario di domani, ma solo dopodomani, cioe' dal 2010-15 in poi. Ma gia' chi ha oggi sessanta anni deve fare i conti con questo. I piu' giovani certamente. I piu' anziani, francamente, non si sa ancora anche se c'e' il sospetto che questo tema non li escluda.

Un punto essenziale, come detto in altro paragrafo, e' comunque quello di trovarsi in terza eta' con una dotazione di capitale finanziario sufficiente ad integrare il reddito fisso pensionistico. Questa e' certamente una priorita'. E costringe chi sta programmando il futuro di terza eta' a modificare, al rialzo, le stime di fabbisogno fatte in precedenza per assicurarsi una redditivita' tarata sui 90 anni ed oltre mentre i calcoli precedenti sia propri che del sistema difficilmente andavano oltre i 70-75.

L'aspetto di scenario piu' delicato riguarda gli accessi ai nuovi sostegni medici per l'allungamento e maggiore qualita' della vita. L'anziano agli inizi della terza eta' si potrebbe trovare nel paradosso di poterne godere sul piano tecnico, ma di non avere i denari per procurarseli. Certamente i sistemi sanitari pubblici provvederanno a risolvere questo problema. Ma sara' difficile che tutto possa essere fornito a basso costo. Gia' oggi, per esempio, medicinali particolari, i salvavita, comportano costi notevoli nonostante il sistema sanitario pubblico. Se particolari terapie preventive di contrasto della senilizzazione venissero riconosciute come "particolari" o opzionali, allora potrebbero uscire dal paniere dei medicinali a prezzo calmierato o pagato dal sistema statale. E si avrebbe la sgradevole situazione che gli individui meno dotati di capitale si troverebbero vietato di fatto l'accesso alle nuove opportunita'. Sarebbe certamente troppo cattivo pensare che uno Stato impegnato a pagare le pensioni fino alla morte dell'avente diritto non ha alcun interesse che questo viva troppo a lungo. Particolarmente in una fase storica dove - nei prossimi trent'anni - ci sara' un eccesso di popolazione anziana su quella giovane, cioe' la crisi demografica della societa' italiana e suoi riverberi sui bilanci statali. D'altra parte non e' neanche possibile che l'assitenza pubblica in difficolta' di bilancio sia prontissima a fornire agli utenti tutta la potenzialita' della nuova medicina. La prudenza consiglia sempre di pensare, se non male, almeno in termini cautelativi nei confronti degli scenari peggiori. E l'individuo anziano, o che sta per diventarlo, deve porsi da solo nella prospettiva di autotutelarsi meglio.

Certamente verra' chiamata piu' in gioco la famiglia. I figli dovranno tornare ai padri parte dell'investimento ricevuto in giovanissima eta' per compensare l'eventuale deficit utile ad una loro vita anziana dignitosa. Ma questa opzione si scontra con il fatto che l'individuo maturo di classe media ha a sua volta problemi di cumulo di capitale, tali da non lasciarne molto per finanziare esigenze diverse dalle sue priorita' famigliari. Per tale motivo e' difficile che l'anziano si rivolga ai figli e improbabile che questi, in media, possano sopperire all'eventuale fabbisogno. In merito a tale delicatissimo scenario l'unica cosa che si puo' dire in termini ottimistici, a parte la speranza che le regole pubbliche evolvano il piu' velocemente possibile per soddisfare i diritti emergenti della terza eta', e' che certamente il mercato finanziario ed assicurativo si accorgera' del problema e cerchera' di trasformarlo in nuova opportunita' per prodotti che raccolgano risparmio anche risolvendolo. E cio' probabilmente sara' di beneficio per una parte, la piu' alta, della classe media che comunque una certa dotazione di capitale, suscettibile di trattamenti piu' efficienti, ce l'ha. Per quella piu' bassa, ovviamente, i problemi appaiono di piu' difficile soluzione aprendo un crescente fabbisogno di solidarieta'.

Un altro punto essenziale riguarda la possibilita' di accedere ad nuovo reddito attraverso remunerazione da lavoro. Tralasciando l'evoluzione regolamentare, parte della probabilita' di successo a questo riguardo dipende dalla volonta' e cultura del singolo di riqualificarsi o di riutilizzare in diversa forma le competenze acquisite durante la vita lavorativa. Per esempio, molti impiegati di banca pensionati stanno attualmente operando come distributori di prodotti finanziari. Un idraulico, sempre piu' prezioso, di 70 anni e' in grado di lavorare tanto bene quanto uno di 30. E gia' esiste una spinta di mercato che reimmette la terza eta' nel mercato dopo il pensionamento.

Questo trend continuera' e costituira', probabilmente, la soluzione principale ai problemi detti di capitalizzazione degli individui in terza eta'. In parte si puo' essere ottimisti perche' il turbomercato competitivo ha anche un'altra faccia. Quella di creare tante nuove nicchie per una maggiore varieta'di competenze. Per esempio, l'uso sempre piu' massiccio di lavori che implicano il solo cliccare un computer - e il sapere perche', ovviamente - favorisce la terza eta' in quanto prevale il lavoro mentale su quello fisico. Nella ricerca di efficienza sempre maggiore le imprese si accorgono che il poter utilizzare lavoratori che non hanno bisogno di un salario completo, ma solo integrativo perche' gia' pensionati, diventera' sempre piu' un fattore competitivo. E cio' viene a favore della terza eta'. Certo, molti lavori di intermediazione informativa, controllo, ecc., saranno presto sostituiti da computer sempre piu' intelligenti e veloci. E cio' potrebbe ridurre le opportunita' nei settori appena detti per gli anziani. In realta' ad ogni passo di automazione estensiva corrisponde la nascita di un maggior numero di servizi e opportunita' lavorative. Non e' questo il problema. Lo e', invece, la volonta' e possibilita' di una persona - per dire - di 75 anni di riqualificarsi, se in buona saluta, come se fosse un giovanotto. Ma e' solo la velocita' con cui la cultura generale della societa' premera' per interpretare il nuovo mercato e per trattare gli anziani come persone ancora attive, riconoscendo la nuova realta', che potra' risolverlo.