In questo numero
· Csm, se ci sei, batti un colpo
· La settimana 11
· Donne lavoratrici: vera emancipazione?
· L’intolleranza dei tolleranti
· Lettere 11
· Storia di uno (scomodo) testimone
· Consigli e buon senso. I parte
· Il male e la medicina
· Parola d’ordine? No profit
· Nostalgie (quasi) imperiali per colmare il vuoto globale
· La grande sconfitta della sinistra cattolica
· Montanelli ha sempre ragione
· Piazza Fontana: antidoto ai soliti cliché
· Quel principiante di Von Clausewitz
· Postcattolici e postcomunisti uniti nella stessa melassa
· Mobbing al capo
· E se Berlusconi chiedesse i diritti d’autore?
· La stanza del figlio
· 2001: Odissea nello spazio
· Ma se si alleano ispanici e afro…
· Il (nuovo) paese dei balocchi
· Le Iene giocano in contropiede
· Un rosso a piè di lista
· Thesis: speriamo che sia… Thema
· Calcio come tv-verità. Tante palle
· Everybody needs somebody (Tutti hanno bisogno di qualcuno)
· Box
· Stavolta hanno preso una “topica”
· Libera iniziativa fa bene allo Stato
· C’è modo e modo di controllare
· Onore a Telekabul
· Sette domande alla Procura
· Il partito degli intellettuali (e dei procuratori)
Sezione: Rubriche
Rubrica: Ballando con le idee
Numero: 11 - 15 Marzo 2001
Nostalgie (quasi) imperiali per colmare il vuoto globale
Le identità nazionali ostacolano l’espansione del mercato: lo affermava, sbagliando, Friedrich A. von Hayek, emblema della “Scuola Austriaca di Economia” di cui non pochi sono i pregi teoretici e storici
Le identità nazionali ostacolano l’espansione del mercato: lo affermava, sbagliando, Friedrich A. von Hayek, emblema della “Scuola Austriaca di Economia” di cui non pochi sono i pregi teoretici e storici. Carlo Pelanda e Paolo Savona, studiosi di economia di fama mondiale, lo illustrano in Sovranità & ricchezza (Sperling & Kupfer, Milano 2000). La globalizzazione è l’effetto creato negli anni Novanta (ma il trend ha quasi un secolo e mezzo) dalle forti accelerazioni impresse dal “turbocapitalismo” al mondo uscito dalla Guerra Fredda, ma la «cattiva notizia» è che si tratta di uno spazio politicamente, e per certi versi pure economicamente, vuoto, conteso fra nazionalismi socialistici di tipo protezionistico e riduttivismo economicistico selvaggio. L’Unione Europa solo economica e non politica di oggi offre un modello insufficiente: superiore a un’alleanza fra Stati sovrani, ma inferiore a una loro unione, avoca a sé la sovranità senza però mai restituirla (filtrata, auspicano gli autori) ai Paesi membri. S’impone allora «un’architettura politica del mercato planetario che veda ancora protagonisti gli Stati nazionali nell’ambito di consessi internazionali che si prefiggano di operare come agenti del loro stesso cambiamento in un’ottica globale». Le intuizioni molto realistiche (e quindi adeguate ed efficaci) degli autori non fugano tutti i dubbi che questo tipo di approccio di fatto solleva. Eppure, rifiutando apertis verbis l’ipotesi di un governo mondiale unico e mostrando un europeismo sui generis non lontanissimo dalla concezione di “sovranità aperta” che caratterizza la politica economica della Gran Bretagna (in specie verso gli antichi Dominion e i Paesi del Commonwealth) secondo l’idea dello «Stato della crescita», ma insistendo sulla necessità di una struttura sovranazionale «alla cui base vi siano gli Stati, che mantengano le loro identità, se lo vogliono, anche riunendosi in un unico cervello di sistema», Pelanda e Savona si mostrano lontani dalle sensibilità del “pensiero mondialista” e molto prossimi all’eredità di quella intrigante scuola di pensiero che negli Stati Uniti si definisce Libertarianism. E così lo scenario che auspicano ricorda l’esigenza, dopo il tramonto (con le due guerre mondiali) dello Ius Publicum Europaeum, di un nuovo Nomos capace di riorganizzare (secondo l’ipotesi di Carl Schmitt) i “grandi spazi”. Che assomiglia all’idea d’impero (unione di universale e di particolare), alternativa a imperialismo e “modello ONU”.

di Respinti Marco

(c) 2000 - Editoriale Tempi duri s.r.l.
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