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                |  imperiali per colmare il vuoto globale_file/logo_piccolomio.gif) | Sezione: 
                  Rubriche Rubrica: Ballando 
                  con le idee
 Numero: 11 - 15 Marzo 
              2001
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          | Nostalgie (quasi) imperiali per colmare il vuoto 
            globale |  |  
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          | Le identità nazionali ostacolano l’espansione del 
            mercato: lo affermava, sbagliando, Friedrich A. von Hayek, emblema 
            della “Scuola Austriaca di Economia” di cui non pochi sono i pregi 
            teoretici e storici  |  |  
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          | Le identità nazionali 
            ostacolano l’espansione del mercato: lo affermava, sbagliando, 
            Friedrich A. von Hayek, emblema della “Scuola Austriaca di Economia” 
            di cui non pochi sono i pregi teoretici e storici. Carlo Pelanda e 
            Paolo Savona, studiosi di economia di fama mondiale, lo illustrano 
            in Sovranità & ricchezza (Sperling & Kupfer, Milano 2000). 
            La globalizzazione è l’effetto creato negli anni Novanta (ma il 
            trend ha quasi un secolo e mezzo) dalle forti accelerazioni impresse 
            dal “turbocapitalismo” al mondo uscito dalla Guerra Fredda, ma la 
            «cattiva notizia» è che si tratta di uno spazio politicamente, e per 
            certi versi pure economicamente, vuoto, conteso fra nazionalismi 
            socialistici di tipo protezionistico e riduttivismo economicistico 
            selvaggio. L’Unione Europa solo economica e non politica di oggi 
            offre un modello insufficiente: superiore a un’alleanza fra Stati 
            sovrani, ma inferiore a una loro unione, avoca a sé la sovranità 
            senza però mai restituirla (filtrata, auspicano gli autori) ai Paesi 
            membri. S’impone allora «un’architettura politica del mercato 
            planetario che veda ancora protagonisti gli Stati nazionali 
            nell’ambito di consessi internazionali che si prefiggano di operare 
            come agenti del loro stesso cambiamento in un’ottica globale». Le 
            intuizioni molto realistiche (e quindi adeguate ed efficaci) degli 
            autori non fugano tutti i dubbi che questo tipo di approccio di 
            fatto solleva. Eppure, rifiutando apertis verbis l’ipotesi di un 
            governo mondiale unico e mostrando un europeismo sui generis non 
            lontanissimo dalla concezione di “sovranità aperta” che caratterizza 
            la politica economica della Gran Bretagna (in specie verso gli 
            antichi Dominion e i Paesi del Commonwealth) secondo l’idea dello 
            «Stato della crescita», ma insistendo sulla necessità di una 
            struttura sovranazionale «alla cui base vi siano gli Stati, che 
            mantengano le loro identità, se lo vogliono, anche riunendosi in un 
            unico cervello di sistema», Pelanda e Savona si mostrano lontani 
            dalle sensibilità del “pensiero mondialista” e molto prossimi 
            all’eredità di quella intrigante scuola di pensiero che negli Stati 
            Uniti si definisce Libertarianism. E così lo scenario che auspicano 
            ricorda l’esigenza, dopo il tramonto (con le due guerre mondiali) 
            dello Ius Publicum Europaeum, di un nuovo Nomos capace di 
            riorganizzare (secondo l’ipotesi di Carl Schmitt) i “grandi spazi”. 
            Che assomiglia all’idea d’impero (unione di universale e di 
            particolare), alternativa a imperialismo e “modello ONU”.
            
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          | di Respinti Marco  |  |  
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