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                      | Il fascino discreto della
                        democrazia
 Secondo l’economista Carlo Pelanda è un bene che si
                        può ancora esportare. In un libro la ricetta di otto
                        studiosi
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                      | FRANCESCA MORANDI La democrazia si può esportare? Sì ed è un bene perché
                        rappresenta l’unica via verso un ordine mondiale
                        pacifico e prospero. Questo in sintesi il risultato
                        dello studio condotto da Carlo Pelanda, professore
                        aggiunto di politica ed economia internazionale presso
                        l’Università della Georgia e curatore del libro
                        “Democrazia attiva” (ed. Franco Angeli), una
                        raccolta di saggi che dimostra l’utilità del modello
                        democratico, «lo strumento migliore, forse l’unico,
                        per dare un’architettura politica stabile, sia sul
                        piano economico sia su quello della sicurezza, al
                        sistema globale».
 Professor Pelanda, come nasce “Democrazia Attiva”?
 «Il libro nasce da lavori di scenaristica, sia
                        economica che politica, compiuti nel corso di sei anni
                        di studi condotti da un team congiunto di ricercatori
                        dell’università alla quale appartengo e un gruppo di
                        studiosi coordinati dal professor Paolo Savona
                        dell’università Luiss-Guido Carli di Roma.
                        L’obiettivo del nostro lavoro è stato quello di
                        individuare un modello di relazioni internazionali e di
                        configurazione interna agli Stati capace di assicurare,
                        nell’arco del prossimo secolo, una crescita economica
                        stabile nel pianeta e quindi un capitalismo diffuso
                        globale. Le conclusioni alle quali siamo giunti sono
                        complesse ma, in sintesi, abbiamo compreso che non è
                        possibile raggiungere tale scopo senza che le 200
                        nazioni del pianeta diventino democrazie funzionanti o
                        con la tendenza ad esserlo. Abbiamo rilevato, infatti,
                        che le democrazie tendono a non essere aggressive e
                        rappresentano quindi un fattore di stabilizzazione
                        geopolitica molto utile».
 A quale modello di democrazia avete fatto riferimento,
                        quello occidentale?
 «Non esiste una democrazia occidentale od orientale,
                        una democrazia del Nord oppure una del Sud.
                        Fondamentalmente esiste una sola democrazia, ovvero un
                        sistema politico nel quale la gente può votare in
                        maniera segreta e senza che il suo voto sia violato da
                        altri poteri, e dove la conseguenza di tale voto è una
                        maggioranza che governa. Quello appena descritto è il
                        nucleo essenziale della democrazia al quale segue la
                        creazione di un parlamento e di un governo che danno
                        vita a un’apparato istituzionale più ampio basato su
                        principi liberali. È sufficiente, tuttavia, che il voto
                        segreto e garantito sfoci in una maggioranza al governo
                        per avere una democrazia nascente».
 Democratizzazione è sinonimo di americanizzazione?
 «Questa è un’equazione sbagliata e rappresenta un
                        errore che si sta insinuando nella cultura di molti
                        Paesi, compresa quella europea. Secondo quanto abbiamo
                        dedotto dai nostri studi, la democrazia è una sola ed
                        è uno strumento utile per dare un’architettura
                        politica al mercato. L’America non c’entra nulla. Il
                        punto è questo: se si vuole raggiungere un mercato
                        globale che realizzi le sue migliori promesse di
                        stabilità, il che significa assenza di guerre gravi e
                        un capitalismo diffuso, ci sono numerosi fattori che
                        contano ma ciò che pesa maggiormente è che ogni
                        nazione deve essere una democrazia che dimostri di saper
                        funzionare. Si può trattare anche di democrazie
                        essenziali che devono, tuttavia, attuare gli elementi
                        basilari sopracitati. La democratizzazione non è
                        “qualcosa” di americano, è uno strumento utile a
                        tutti. Ci siamo allora chiesti: com’è possibile
                        diffondere la democrazia? Dalla ricerca siamo allora
                        passati ad una fase più militante e da questa è nato
                        il progetto “Democrazia globale”».
 Di cosa si tratta?
 «È un movimento politico concreto, che si sta
                        sviluppando in alcuni Paesi europei, il cui obiettivo è
                        quello di costituzionalizzare nell’ambito
                        dell’Unione europea la “pressione democratizzante
                        verso l’esterno”. Lo scopo geopolitico è quello di
                        non lasciare agli americani il monopolio della virtù
                        democratizzante, anche perché gli Stati Uniti hanno la
                        tendenza ad usarla in maniera molto strumentale, con
                        conseguenze negative sullo sviluppo di un modello in
                        grado di portare beneficio a tutte le nazioni del globo».
 Che cosa intende per “pressione democratizzante”?
 «Il termine si riferisce ai mezzi da utilizzare per
                        attuare la democrazia. Questi comprendono la pressione
                        diplomatica e culturale fino alla guerra stessa, che
                        rappresenta però l’ultima istanza. La strategia si
                        basa su incentivi e gradualità, che trovano tuttavia
                        supporto nella disponibilità all’uso della forza.
                        L’idea è quella di replicare a livello mondiale il
                        successo democratizzante dell’Unione europea che apre
                        le porte a quei Paesi che dimostrano di essere
                        democrazie funzionanti. Bisognerebbe, tuttavia,
                        aumentare le sollecitazioni per procedere verso la
                        democratizzazione, ad esempio, ponendo condizioni di
                        democrazia per l’accesso a risorse e sistemi
                        internazionali di sicuro vantaggio come il Wto o l’Onu.
                        In tal modo le democrazie certificate come funzionanti
                        otterranno vantaggi più marcati di quelli disponibili
                        agli Stati che non lo sono».
 Come ritiene che sia possibile attuare un progetto così
                        ambizioso?
 «Riteniamo che sia possibile ottenere uno sviluppo di
                        questo tipo se l’America e l’Europa occidentale
                        decidessero di unirsi per attuare la “pressione
                        democratizzante” a livello planetario. Un sistema
                        euro-americano potrebbe innanzitutto costituire alle
                        Nazioni Unite un superclub di democrazie
                        democratizzanti, senza neppure dover cambiare la Carta
                        dell’Onu. Le pressioni democratizzanti dovrebbe essere
                        attuate anche all’interno di altre istituzioni
                        internazionali. La convergenza euro-americana agirebbe
                        come polo d’attrazione per Russia, India e Giappone.
                        Tale ipotesi, che oggi appare lontana dalla realtà,
                        risulta invece fattibile dai nostri studi. In questo
                        quadro l’impiego della forza sarebbe l’ultimo
                        ricorso ma si verrebbe a creare una fonte di diritto che
                        legittima l’uso della forza in virtù della
                        democrazia, con cui i dittatori di qualsiasi Paese
                        dovrebbero fare i conti».
 Secondo i piani dell’amministrazione americana
                        l’Iraq avrebbe dovuto diventare un modello di
                        democrazia per tutto il Medio Oriente. Ciò non è
                        accaduto. Anzi, l’Iraq è spaccato dai conflitti
                        intestini. Non è la prova che la democrazia non si può
                        esportare ovunque?
 «Bisogna discernere da quella che è la reale
                        situazione dell’Iraq e l’immagine fornita dalla
                        stampa. Spesso i media non hanno strumenti sufficienti
                        per comprendere pienamente ciò che veramente accade in
                        realtà complesse come quella irachena. Secondo i dati
                        di ricerca e i sondaggi a disposizione degli studiosi,
                        la democrazia sta prendendo piede in Iraq. Nonostante
                        l’orrenda violenza, che tuttora prosegue, il sistema
                        democratico è stato accettato in maniera soddisfacente
                        dalla popolazione. Un esempio è l’altissima affluenza
                        al voto per la formazione del nuovo governo di Baghdad.
                        Questo è accaduto in un Paese senza alcuna esperienza
                        democratica, una nazione disegnata sulla carta da
                        diplomatici inglesi, un luogo dove si riteneva che
                        l’accettazione della democrazia fosse la cosa più
                        improbabile. Pur tra mille ostacoli, abbiamo osservato
                        che la democrazia invece funziona. In Iraq è stato
                        avviato un processo politico fondato su di un voto
                        democratico. Rileviamo che gli sciiti, che sono la
                        maggioranza nel Paese, hanno interesse a far funzionare
                        la democrazia, mentre i sunniti, che sono una minoranza,
                        non ne hanno interesse e per questo la combattono. I
                        sunniti continueranno a piazzare bombe, almeno fino a
                        quando non troveranno un accordo con gli sciiti. La
                        dinamica politica che è stata innescata è ostacolata
                        dal Al Qaeda che teme la realizzazione della democrazia
                        in Iraq, con un eventuale effetto “domino” in tutto
                        il Medio Oriente, poiché questo andrebbe contro il suo
                        piano di instaurare un grande Califfato islamico basato
                        sulla sharia. I guerriglieri di Al Qaeda stanno usando
                        tutti i mezzi a loro disposizione per contrastare il
                        radicamento della democrazia, ma prima o poi le risorse
                        con le quali attuano la violenza finiranno. Forse allora
                        si verificherà una svolta verso la democratizzazione
                        del Paese».
 
 
  [Data pubblicazione:
                        21/05/2006]   |  |  |  |