Dalla difesa all’attacco
Di Carlo Pelanda (4-12-2003)
Il problema più difficile
nella guerra contro il terrorismo è quello di rendere coeso l’Occidente
affinché mobiliti tutte le risorse politiche e militari utili per vincerla.
Infatti non abbiamo di fronte un nemico che possa resistere alla nostra forza
se unita, anzi. Ma per costruirla i governi devono fare cose mai sperimentate
finora sul piano della cooperazione internazionale ed i cittadini delle
democrazie dare consenso a nuove visioni che sostituiscano quelle inadeguate.
Se ci riusciremo, vinceremo la guerra presto e senza pagare i prezzi ipotizzati
dagli scenari di “caso peggiore”. Con queste parole ho l’ambizione, da noi, di
far finire un modo “difensivo” di pensare alla guerra e di passare ad uno
“offensivo”.
Lettori, parliamoci chiaro come comunità di padri e madri: se non
combattiamo ora nel modo giusto lasceremo ai nostri figli un futuro a rischio
di tragedia perché c’è un gruppo di squinternati, con una strategia di lungo
periodo, che ha deciso di prendersi la Mecca per formare un megacaliffato
fondamentalista e far fuori l’Occidente a suon di bombe nucleari e veleni. La
guerra continuerà per decenni se staremo ad aspettare i loro colpi. Sarà più
breve e meno costosa se li porteremo noi con maggiore forza.
Come? La coalizione
occidentale ha impostato una strategia fatta di quattro obiettivi: (a)
conquistare con politiche inclusive e positive le menti ed i cuori di un
miliardo e mezzo di islamici prima che lo faccia il nemico; (b) interdire agli
jihadisti (guerrasantisti) i territori nei quali potrebbero sviluppare
indisturbati armi di distruzione di massa ed addestrare truppe (motivo
principale della bonifica dell’Afghanistan e dell’Irak); (c) tenere sotto
pressione con tutti i mezzi offensivi possibili l’organizzazione, globale, del
nemico allo scopo di impedirgli operazioni e finanziamenti; (d) consolidare i
fronti interni sia con misure tecniche di sicurezza sia con la capacità
culturale di isolare i gruppi guerriglieri e di privarli di nuove reclute.
Questo concetto strategico è vincente, ma finora non ha ancora prodotto gli
effetti voluti per mancanza di scala. Ed è in tale differenza tra quanto è
mobilitato e quanto dovrebbe esserlo che prende forma concreta la minaccia del
nemico. Il punto: pur pericolosi, non sono gli jihadisti ad essere
particolarmente forti, ma siamo noi occidentali che non abbiamo ancora
proiettato contro di essi tutta la potenza necessaria per contrastarli e distruggerli.
Per esempio, in relazione al
primo obiettivo siamo in ritardo nel rinforzare i regimi moderati arabi del
Mediterraneo perché L’Unione europea è divisa nel volerlo fare. Cosa significa
“rinforzare”? Far vincere attraverso la ricchezza ed il mercato il concetto di
“civiltà secolare” per evitare che cada nell’estremismo religioso, l’obiettivo
del nemico. Si litiga sull’inclusione della Turchia mentre dovrebbe essere
fatta subito. La presidenza italiana della Ue ha guidato un lavoro splendido –
i risultati della conferenza Euromed – per intrecciare una futura comunità
mediterranea, ma la Germania ostacola questo impegno a sud e la Francia lo
tratta in modi troppo ambigui. In generale, senza un’Europa determinata e coesa
all’Occidente manca una gamba per muovere le risorse, militari e finanziarie,
necessarie a raggiungere i primi tre obiettivi. Per inciso, i soldi spesi per
rafforzare l’area sud del Mediterraneo porterebbero anche il beneficio di
ridurre l’immigrazione verso l’Europa, dando quindi un triplo profitto sul
piano della sicurezza, del contenimento demografico e dell’espansione del
mercato. A tale problema ci sono due soluzioni: o Francia e Germania si
decidono a combattere e a sviluppare una “geopolitica economica” seria oppure
dovrà formarsi una “cooperazione rafforzata” tra altri europei per aggiungere
la seconda gamba a quella – stanca – degli americani. Se la prima opzione, che
auspico ed invoco, non potesse realizzarsi dobbiamo essere pronti in Italia a
cambiare visione accettando la priorità dell’occidentalismo attivo
sull’europeismo passivo.
Restano altri due cambi o raffinamenti di visione per noi. Il primo riguarda il dare più consenso alle azioni offensive. Non mi preoccupa, perché minoranza, una sinistra che non capisce il pericolo degli atteggiamenti rinunciatari di fronte al nemico. Mi preoccupa, invece, la mancanza di determinazione in tanti bravi padri e madri che non colgono la relazione tra il vincere questa guerra presto e bene ed il loro dovere nei confronti dei figli. Spero di aver dato a questi un motivo per pensare in modo realistico: attaccare prima di veder morire i propri cari sotto macerie o per virus. La seconda evoluzione di visione riguarda l’evitare discriminazioni e pregiudizi contro gli islamici residenti da noi. Questo è tra i requisiti principali della nostra sicurezza: non sospettarli in base a stereotipi superficiali, ma renderli nostri alleati contro il nemico fanatico comune. Saranno loro a segnalare alla nostra polizia chi li vuole reclutare nel terrorismo. Saremo noi, facendo sentire loro amicizia ed un modo gentile per educarli alla nostra civiltà, ad evitare che qualcuno di questi, deluso perché discriminato, porti la bomba in casa nostra. E’ una guerra nuova: mai è successo che l’intelligenza e visione del cittadino divenisse un’arma di importanza superiore a quella del soldato.