L’embrione umano e’ un oggetto troppo carico di valori per poterlo manipolare senza rischi di dissenso

 

Di Carlo Pelanda (19-8-2000)

 

 

Biorivoluzione. Piu’ volte, in questa rubrica, ho invocato l’attenzione sulla necessita’ di  “Istituzioni di biocibernazione” che la incanalino senza farla straripare o inaridire. Sia sui piani nazionali sia su quello globale. Tali istituzioni dovranno regolare la creazione artificale di sistemi viventi in modi tali da: (a) impedire che una bionovita’ ecceda la capacita’ corrente della societa’ di accettarla; (b) evitare la demonizzazione irrazionale della rivoluzione biologica. In un futuro piu’ lontano, poi, dovranno assicurare: (c) l’accesso di massa alle risorse scientifiche capaci di allungare e migliorare la vita delle persone. Se, per esempio, un ricco potesse vivere per centinaia di anni, sempre giovane e senza malattie mentre il meno abbiente restasse imprigionato in una vita corta, piena di rughe ed acciacchi, allora la differenziazione economica ne creerebbe una di tipo biologico, evidentissima. Ed il conflitto sociale sarebbe totale. Fantascienza?

 No, il progresso sta premendo sulla storia. In particolare, negli ultimi dieci anni e’ emersa la facilita’ con cui la vita animale e vegetale  puo’ essere manipolata e creata. Ma tale possibilita’ cade su una societa’ moralmente e culturalmente impreparata ad accettarla. Tale gap tra tecnica e morale accende due rischi. Demonizzazione e blocco del progresso per ignoranza. Catastrofi sociali indotte da sperimentalismi imprudenti. Che sarebbero probabili se nei paesi - America ed Europa - dove esistono la tecnologia e la cultura politica per regolare la biorivoluzione come qui auspicato, emergesse un bioproibizionismo restrittivo tale da costringere la ricerca a migrare in paesi piu’ spregiudicati. Con questo in mente, valutiamo la scelta recente del governo britannico di proporre al Parlamento – per la prima volta nel mondo - una legge che permette di usare un embrione umano come materiale per la ricerca utile a terapie geniche e, forse, alla coltivazione di organi umani di ricambio. Da un lato, c’e’ un segnale positivo. E’evidente il tentativo di permettere lo sviluppo di questa tecnica entro limiti bioetici stringentii: l’embrione potra’ essere toccato solo al suo stadio iniziale, quando e’composto da circa venti cellule non ancora differenziate e, quindi, non costitutive di individuo specifico. Inoltre e’ vietata qualsiasi clonazione umana. D’altra parte, il solo fatto di rendere oggetto manipolabile un embrione umano va comunque a scontrarsi con i codici morali cristiani ed il senso comune del limite. E inevitabilmente ci sara’ dissenso, irrilevante la considerazione di quanto immotivato possa essere. Sarebbe piu’ lungimirante evitare la sperimentazione su embrioni e cercare di ottenere lo stesso risulltato da altre fonti di materiale genetico umano, per esempio cellule prelevate da adulti. O creazione ex-novo delle stesse. In sintesi, la scienza deve imparare a concepire strategie piu’ indirette e morbide che evitino l’impatto immediato con credenze morali radicate.