di Carlo Pelanda (4-3-2000)
Etichettomachia (label wars). Agli inizi degli anni '90 i
produttori di cibi geneticamente modificati fecero un'analisi giusta, ma
intrapresero la strategia sbagliata. Capirono che le nuove biotecnologie
sarebbero state oggetto di demonizzazione preventiva e prevenuta da parte dei
movimenti ambientalisti nonostante la loro innocuità ed i molti benefici. Gli
ecoconservatori, infatti, erano pronti a mobilitarsi proprio perché temevano
che l'immagine positiva delle biotecnologie agricole avrebbe aperto la strada
del consenso alla più generale idea che l'uomo può manipolare a suo piacimento
qualsiasi forma di vita. Gli ecoinnovatori, invece di combattere una battaglia
razionale basata sul vantaggio delle prove scientifiche a loro favore,
preferirono fare lobbying sui governi per nascondere l'oggetto impedendone
l'etichettatura. Ma questo approccio furtivo fu controproducente perché regalò
ai bioproibizionisti il vantaggio morale di poter denunciare le nuove
tecnologie come segrete e "proprio per questo" suscettibili di
sospetto. Un esempio di incompetenza simbolica é dato dalla Monsanto, azienda
leader nell'ingegneria genetica per l'agricoltura. Proprio nel pieno della
polemica sull'etichettatura, agli inizi del 1999, lanciò un seme, incoscientemente chiamato
"Terminator", ingegnerizzato per dare un solo raccolto e basta. Lo
scopo era quello di costringere gli agricoltori a comprare ogni anno nuovi semi
invece di usare quelli ricavati dalle piante (grano, soia). Ricordo che i
leader ecoconservatori - tra cui alcuni miei ex-studenti dell'Università della
Georgia, dove é nata negli anni '30 l'ecologia moderna - brindarono al sucidio comunicativo - rapacità,
sterilità, manipolazione negativa per profitto - dell'avversario: con pochi cents spesi per messaggi su Internet -
mi dissero esultanti - ci é facile demonizzare investimenti di decine di
miliardi di dollari. Terminator fu ritirato, l'80% della popolazione dei paesi
sviluppati dichiarò nei sondaggi che non si fidava dei cibi transgenici.
Dall'inizio del 2000 sempre più governi stanno approvando la loro etichettatura
con implicito intento discriminatorio. Alla fine di gennaio lo ha fatto il
Giappone. Ai primi di febbraio l'Unione Europea. L'America, dove metà
dell'agricoltura é già bioingegnerizzata, ancora resiste. Ma non per molto.
Qualche giorno fa un cargo americano che portava semi rigenetizzati in Inghilterra é stato bloccato da
Greenpeace ed ha dovuto tornare indietro, gli ecopirati - dato indicativo del
clima politico - rilasciati e nemmeno denunciati. Anche Tony Blair ha dovuto
invertire la rotta. Un anno fa difese i cibi transgenici facendosi riprendere
mentre li mangiava. Questa settimana, a causa del dissenso popolare, ha dovuto
dichiarare che non si possono escludere pericoli. Bisogna ammettere che ormai
il cibo transgenico é demonizzato. I bioproduttori stanno cercando di reagire
alla sconfitta - che porta con se l'ipotesi della cancellazione di tutto questo
settore industriale - praticando finalmente una strategia della trasparenza. Ma
non sarà facile.
Per esempio, in Inghilterra non si sono trovati 75 agricoltori
disposti a concedere per quattro anni i loro campi allo scopo di provare che le
colture bioingegnerizzate sono innocue in termini di impatto ambientale.
Evidentemente la strategia razionalista, da sola, non ha forza sufficiente per
rimontare la demonizzazione. E lo si é visto molto bene in un recente convegno
a Edinburgo (GM Food Safety: Facts, Uncertainty and Assessment) frequentato da
governi, movimenti ecologisti e produttori. Non c'é la mimima prova che i cibi
transgenici siano pericolosi - da anni si usano e non c'é un solo caso di
patologia - tutti devono ammetterne i benefici potenziali, ma nonostante questo
i movimenti ambientalisti vogliono etichettarli con indicazioni ancor più
negative con l'intento di distruggere il settore. Infatti ora il rischio é che
i governi concedano la possibilità di usare etichette del tipo: "libero da
prodotti transgenici". Che sarebbe la fine commerciale di questa industria
innovativa. E l'Unione Europea ha dichiarato che sta meditando di farlo. Quale
strategia potrebbe evitare tale catastrofe regressiva? Invece di arroccarsi in
difesa, gli ecoinnovatori dovrebbero contrattaccare generando l'etichetta
esplicita "questo é cibo transgenico" basata sulle prove scientifiche
dei benefici portati dalle biotecnologie: più efficienza nutrizionale e minor
impatto ambientale. Per esempio, i semi di soia e di grano modificati non
richiedono pesticidi contaminanti, mentre quelli "naturali" sì. Le
biotecnologie potranno migliorare enormemente la qualità degli alimenti: patatine fritte che assorbiranno poco olio e per questo saranno
meno dannose oltre che più croccanti;
pomodori più gustosi e freschi;
fragole che manterranno il loro sapore dolce naturale; cibi caricati di
betacarotene per rinforzare le capacità visive di notte. Appunto, solo una
visione esplicita e sostenuta dai fatti di ecologia ottimista, e non la
furtività tattica, può sconfiggere l'ecoscurantismo. Sia di lezione.