Se avete paura
dell’ecocatastrofe cominciate a progettare alberi termoresistenti e città sotto
vetro
La vulnerabilità al cambiamento ambientale non la si riduce fermando il mondo, ma creando habitat artificiali
(titolo originale)
Di Carlo Pelanda (17-6-2000)
Dall’ecologia naturale a
quella artificiale. Gli scenari sul cambiamento climatico globale sono ancora
metodologicamente incerti e sospettabili di influenza da parte di interessi
politici. L’ultimo rapporto governativo, ecocatastrofico, presentato questa
settimana negli Stati Uniti (USCGRP) ne è un esempio. In generale, le ricerche
che prevedono l’innalzamento del livello dei mari a causa del riscaldamento
planetario si differenziano troppo sulla stima delle quantità e dei tempi. E,
per giunta, trovano altri ricercatori che ipotizzano, invece, un abbassamento
in quanto il maggior calore sgonfierà le bolle di gas sotto gli oceani. Tra chi
è d’accordo sul fatto che ci stiamo scaldando c’è disaccordo sul quanto sia
dovuto al ciclo naturale del pianeta e quanto all’effetto serra prodotto dalle
emissioni industriali. Che è un dato critico perchè ci farebbe capire il reale
livello di urgenza per ridurle, considerando che il farlo domani comporta
enormi problemi di politica internazionale, mentre un po’ più di tempo
renderebbe meno drammatica la sostituzione dei carburanti fossili con altre
forme di energia pulita. In sintesi, gli ecoscenari attuali sono imprecisi e la
loro confusione amplifica quella di un’ecopolitica senza idee forti.
Cerchiamo di uscire dall’impasse. Va innovato e specificato
l’approccio al problema della sicurezza ambientale, definendola più chiaramente
al servizio degli “umani” che non dell’ambiente generico ed in generale.
Certamente il clima sta cambiando per
il semplice fatto che muta continuamente. Ed è ovvio che ciò metta a rischio
gli insediamenti, la salute e l’economia storicamente adattati ad una diversa
situazione ambientale. Ma la vulnerabilità è generata dal fatto che le
strutture umane oggi esistenti sono state costruite in un breve arco di tempo
senza, soprattutto, la conoscenza della continua variabilità dell’ambiente.
Pochi notano, infatti, che persiste nel senso comune l’idea sbagliata di un
pianeta stabile perché non muta abbastanza durante l’arco della vita di un individuo.
Quindi il problema è dato da un eccesso di rigidità evolutiva dei nostri
sistemi più che dalla variabilità ambientale di per sé. Ora tale consapevolezza
sta emergendo, ma manca ancora la conseguenza. E’ impossibile, infatti, cercare
di mantenere in equilibrio un pianeta nella configurazione attuale come
prescrive l’ideologia ambientalista ecoconservatrice. E’ utile, invece, cercare
di renderlo vivibile a tutti e dovunque, qualunque siano i mutamenti. Cioè
sostituire con la cultura dell’ecocibernazione (generazione controllata di
habitat) quella ora predominante dell’ecodipendenza. Per esempio, i dati indicano un forte rischio di
desertificazione nell’Italia meridionale, ma non ne abbiamo la certezza. Bene,
invece di aspettare altri lumi, provvediamo comunque a creare un circuito
chiuso e rinnovabile delle acque, a realizzare abitazioni autoclimatizzate dove
si possa vivere bene sia a zero (se capita) sia a cinquanta gradi esterni. E
con l’ingegneria genetica creiamo speci agricole, alberi che resistano sia al caldo sia al freddo, alla
siccità e all’inondazione. E se un giorno dovessimo mettere sotto cupola di
vetro le nostre città a causa di un inverno perenne dovuto all’impatto di un
meteorite? Appunto, meglio già da ora entrare nell’idea di diventare eco-indipendenti
piuttosto che restare ecovulnerabili.