Per la Cina, meno carota e più bastone

La politica estera cinese sta spiazzando anche il colosso statunitense.

 

Ultimamente il paese dei Mandarini suona come un ritornello orecchiabile ma poco comprensibile. Richieste di scuse, furti di sistemi tecnologici americani,riarmi di flotte e minacce a Taiwan sono sulla bocca di tutti i quotidiani. Nessuno tuttavia ha provato a stendere quel filo rosso che lega tutte queste vicende. Il nostro è un tentativo; e per nobilitarlo abbiamo chiesto il parere ad uno che se ne intende. Proponiamo un’intervista a Carlo Pelanda, editorialista de Il Foglio e de Il Giornale, professore di Scienze politiche all’Università della Georgia (USA) e coordinatore per la  stesura del Libro Bianco del Canton Ticino(1997-98). 

Dopo il caso dell’aereo-spia americano intercettato dai cinesi, gli USA hanno parzialmente bloccato la vendita di armi a Taiwan. Cosa sta accadendo in Oriente?.

Già prima dell’incidente dell’aereo, gli americani stanno adottando una politica di grande cautela. Taiwan aveva richiesto un pacchetto di armamenti per contrastare le forze armate cinesi. Gli USA tuttavia non hanno concesso l’Aegis – il più avanzato equipaggiamento radar americano – perché tale vendita sarebbe stata interpretata dai cinesi come un vero e proprio affronto. Un sistema di quel genere, infatti, è in grado di mettere fuorigioco tutte le capacità della Marina d’altura cinese, e quindi comporterebbe dei costi enormi di riorganizzazione della difesa. Sono stati invece vendute apparecchiature anti-sommergibili che, fondamentalmente, servono ad aumentare la capacità statunitense di sorveglianza sulle forze sottomarine cinesi. Inoltre gli americani stanno vendendo dei sottomarini non nucleari, ma molto minacciosi per Pechino. Si tratta, infatti, di sottomarini silenziosissimi che possono arrivare molto vicini ai porti senza essere individuati e distruggere anche grandi flotte. Ma di nuovo c’è soltanto la conferma dell’appoggio statunitense al potenziamento della forza sottomarina di Taiwan. Dal momento che né l’Aegis né altre apparecchiature sofisticate sono state vendute, l’unica lettura politica adeguata è gli Stati Uniti stanno andando molto, molto cauti con Pechino.

 

Quali sono le implicazioni politico-economiche di tale cautela?

Bisogna prima ricordare un fatto: già negli Anni ‘90, l’ufficio scenari del Pentagono, il “Net Assestment”, aveva previsto che la Cina nel 2020, avrebbe raggiunto competenze economiche e capacità tecnologiche tali da poter competere militarmente con gli Stati Uniti. Questo ha creato un problema nello scenario del Dopo-Guerra Fredda per Washington che ha dovuto optare per una strategia di contenimento simile a quella adottata a suo tempo con l’Unione Sovietica.

 

E dunque cosa è stato fatto?

Nei confronti di una potenza emergente ma anomala (perché fortemente nazionalista), l’amministrazione Clinton è stata molto indecisa ed ha optato per una politica di contenimento. Usando un immagine: “molta carota e poco bastone”...


...cosa intende per contenimento?

Il contenimento militare è uno dei tanti mezzi che in politica estera si usa per far alzare i costi altrui. Per competere militarmente, bisogna riarmarsi e dunque spendere... la politica di riarmo serve così a sfondare il sistema economico avversario.

L’amministrazione Clinton prima aveva usato più “carota” (ovvero l’aver concesso ai cinesi lo status di nazione privilegiata e l’eventuale accesso facilitato al WTO) che “bastone” (cioè il confronto sul riarmo militare). Poi tra il ‘95 e il ’96, la politica di contenimento USA è stata quella di “costringere” il Giappone a firmare un accordo bilaterale in cui quest’ultimi si impegnavano a impiegare più risorse militari per un freno all’espansione cinese.

I cinesi hanno capito che l’entrata nel WTO richiedeva di fingere almeno un minimo cambiamento: maggior democrazia, più rispetto dei diritti umani, ecc. Dico “fingere” perché i cinesi hanno percepito una certa debolezza dell’impero americano nel regolare la loro vocazione al dominio dell’area asiatica, perciò hanno cominciato a muoversi in modo più espansivo e ad essere leggermente più aggressivi. Tra l’altro, la Cina ha un progetto serio di riarmo. Ufficialmente Pechino mantiene la teoria della minima deterrenza, formulata da Deng Xiao Ping, ovvero “l’armamento missilistico nucleare minimo, al minor costo possibile”, che serve per dissuadere i nemici da eventuali attacchi. Un armamento minimo perché le élite cinesi hanno studiato a fondo il collasso dell’Unione Sovietica e hanno visto che le enormi spese militari senza la liberalizzazione dell’economia aveva provocato il crac del regime.

 

Quindi non accadrà con la Cina ciò che è successo con l’URSS?

Ambendo di mettersi alla pari con gli Stati Uniti, dal 1997 i cinesi hanno accelerato enormemente il riarmo nucleare, con strumentazioni molto sofisticate, dando inoltre vita ad una cosa poco comune in Occidente: un programma spaziale. Per questo Bush, da quando è salito al potere, sta cercando di riprendere la politica del “bastone” nei confronti della Cina per non dover un giorno ritirarsi dal Pacifico.

 

Cosa si nasconde dietro le tensioni di queste settimane?

Vi è uno sforzo da parte sia della Cina che degli USA di trovare un modus vivendi. La Cina ha un obiettivo di lunghissimo periodo: non ha alcun interesse a cacciare gli americani nel giro dei prossimi dieci anni. Gli americani d’altronde non sono abituati a un avversario che ragiona con un concetto del tempo così lontano da quello occidentale. Dal punto di vista cinese è importante farsi riconoscere sempre più come grande potenza.

 

E Taiwan?

Taiwan ormai è persa, vittima di un rallentamento economico dovuto ai numerosi investimenti taiwanesi nella Cina Popolare, provocando così una forte fuga di capitali. Viene così a determinarsi un assorbimento di Taiwan. La Cina considera l’ex-isola di Formosa una provincia ribelle e la vuole assorbire lentamente. Inoltre, visto che la politica estera si calibra sempre in base a quella interna ed il codice di coesione tra le élites cinesi è nazionalistico, questa strategia di assorbimento di Taiwan è un obiettivo per favorire la coesione interna alla nazione. Taiwan è irrinunciabile per la Cina, anche se alcuni occidentali se ne sono fatti difensori.

 

Ritornando al fatto che ha originato il clima di tensione tra Cina e USA. Perché gli USA hanno ceduto alla richiesta di scuse della Cina piuttosto che reagire con una prova di forza?

Nessuna delle due potenze vuole entrare in guerra oggi. I cinesi perché non sono pronti, gli Americani perché non hanno interesse a farla. Pertanto entrambi i Paesi cercano il negoziato ma devono capire su cosa potersi accordare.

Consideriamo poi che molto del capitale investito in Cina è americano, così come sono esposte molte banche europee e in particolare svizzere. Non ci sono oggi i rischi che si correvano ai tempi dell’Unione Sovietica, allora poteva scoppiare una terza guerra perché si aveva a che fare con una economia chiusa. La Cina invece ha una economia quasi aperta, perciò non si può puntarle dei missili contro senza conseguenze economiche. Se si chiudessero i flussi di capitale o le esportazioni, la Cina collasserebbe e non riuscirebbe a sfamare i circa trecento milioni di persone in transizione tra un’economia rurale e quella industriale, rischiando così una rivoluzione interna. In prospettiva, la Cina è molto forte economicamente, ma ancora per molti anni sarà instabile sul piano interno e per questo ha bisogno degli occidentali. Quindi l’ipotesi peggiore sarebbe che, per mantenere la coesione interna, la Cina si mobiliti contro l’Occidente, “faccia finta” di fare una guerra per giustificare la depressione interna e provochi così una mobilitazione morale e nazionalistica.

 

Come si concluderà dunque la crisi tra Cina e USA?

Direi che l’interesse di tutti è che la Cina diventi un po’ più democratica e meno nazionalista, ma per questo ci vuole un linea un po’ dura, proprio quella che gli americani stanno tenendo: è in atto una lenta e difficile educazione della Cina a far parte di una comunità internazionale. Il problema è che gli americani sono abbastanza soli perché il resto del mondo, l’Europa in particolare, non interviene mai fuori dai suoi confini.

Nel caso del riarmo di Taiwan di questa settimana si sono riviste tutte le attuali difficoltà USA: nell’isola devono esserci delle armi e devono essere un segnale chiaro per Pechino perché queste potrebbero anche essere usate. Queste armi tuttavia vengono somministrate col contagocce per non irritare troppo Pechino...