| Professor 
            Carlo Pelanda, Lei crede veramente nella possibilità del Ticino di 
            mettere in moto il proprio motore in modo da affrontare con successo 
            le sfide poste dalla globalizzazione economica? 
             
             Intervista a cura di ALFONSO TUOR
 
 "Io sono molto ottimista sulle possibilità del Ticino di vincere 
            questa scommessa. Molto dipenderà però dalla diminuzione del tasso 
            di litigiosità fra la classe politica, che deve raggiungere un 
            consenso sulle cose da fare. Questo consenso non si basa sui 
            classici criteri che hanno caratterizzato la lotta politica nella 
            maggior parte dei paesi industrializzati, vale a dire la 
            demarcazione fra destra e sinistra. Si deve basare invece su una 
            nuova contrapposizione: quella tra coloro che vogliono conservare il 
            passato e coloro che guardano al futuro. Quindi, non hanno più gran 
            peso i connotati ideologici che dividono le forze politiche, mentre 
            assume grande rilevanza la concretezza dei progetti da realizzare. 
            Per raggiungere questo consenso occorre dunque conseguire un patto 
            di comunità basato sulla condivisione degli obiettivi da 
            raggiungere. Questo patto di comunità non è una versione nuova del 
            consociativismo. Infatti il consociativismo si basa sulla mediazione 
            fra interessi diversi, che non hanno un obiettivo comune, mentre il 
            patto di comunità si fonda proprio su un obbiettivo comune e sui 
            progetti per realizzarlo. Esso serve per equipaggiare la "navicella" 
            Ticino nel mare tempestoso della globalizzazione".
             Questo patto di comunità non rischia di essere difficilmente 
            produttivo, dato che nel Ticino mancano i centri decisionali e 
            quindi gli attori economici che lo possano sottoscrivere?
             "Il patto di comunità è un fatto politico. Quindi, l'assenza 
            di centri decisionali non è determinante. Il Ticino non potrà mai 
            essere la residenza di importanti centri decisionali, ma il potere 
            politico può negoziare con i centri decisionali per favorire 
            l'economia del Cantone. Quindi, è fondamentale la capacità di 
            negoziare e non la presenza dei centri decisionali. Questa capacità 
            di negoziazione si deve estendere anche ai rapporti fra Cantone e 
            Confederazione e a quella con gli altri Cantoni".
             La Sua proposta centrale è quella di creare un sistema 
            universitario di livello internazionale per promuovere l'economia 
            cantonale. In Ticino esiste la massa critica per creare una simile 
            Università?
             "L'obiettivo è un campus universitario che attrae i giovani 
            di tutto il mondo e che quindi avrà studenti anche di nazionalità 
            cinese, americana e via dicendo. In pratica dovrebbe essere una 
            porta internazionale sulla gioventù di tutto il mondo che permetterà 
            di elevare il livello degli studi e che farà sì che gli studenti 
            ticinesi che restano nel cantone possano contare su un livello di 
            formazione di assoluto prestigio e anche su un'apertura su tutto il 
            mondo. Il campus dovrebbe essere un "contenitore" di tante 
            università".
             Nel Libro bianco Lei scrive che il Cantone Campus si può 
            costruire estendendo il campo di azione dell'Università della 
            Svizzera Italiana. Qual è la Sua valutazione sulle tre facoltà già 
            operanti?
             "Con l'USI il Canton Ticino ha gettato un seme. È chiaro però 
            che questo seme non è ancora diventato un albero né tanto meno un 
            albero maturo". 
             Come si possono finanziare queste Sue proposte?
             "In circolazione c'è molto capitale. Si tratta quindi di 
            riorientarlo e di utilizzarlo affinché serva per finanziare delle 
            idee, magari con la garanzia dell'ente pubblico. Si tratta in 
            pratica di trovare forme innovative di finanziamento". 
             
             
 Sul «Corriere del Ticino» di martedì 24 marzo a pagina 9 
             |  |    Carlo 
            Pelanda: obiettivo comune, non interessi.
 
             
 
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