"Bush
e Gore, figli di due diverse visioni del mondo"
Intervista con Carlo Pelanda di Claudio Landi
Lo scontro infinito Gore-Bush per la presidenza? Non è altro
che il frutto della grande polarizzazione delle élites
dirigenti degli Stati Uniti. Ma il mondo non andava verso il
"pensiero unico"? Forse in Europa, ma negli States non
è esattamente così. A spiegarcelo è un commentatore molto
attento alle vicende statunitensi, economista (è professore di
Economia e Politica internazionale presso la Università della
Georgia), investitore finanziario, saggista (è autore de
"Lo stato della crescita"): Carlo Pelanda. "Il
punto è che mentre in Europa tende a ridursi il conflitto
ideologico sulle grandi visioni, invece negli Stati Uniti questo
conflitto è fortissimo. Gli Stati Uniti sono un paese serio e lì
pensano che le filosofie e le visioni del mondo possono cambiare
le cose e quindi ognuno, ogni partito cerca di lottare per
imporre la sua. E poi è una nazione che si sente protagonista e
quindi le idee contano in America.
A questo bisogna aggiungere un particolare stile istituzionale:
più delle proprie idee ha senso l'America. Ed ecco che queste
forme di scontro ideologico fra grandi visioni ideali si
riducono nella loro espressione perché c'è uno stile
istituzionale di fair play: l'America è superiore a tutto,
l'America viene prima, poi viene se si è democratici o
repubblicani. C'è un termine preciso per indicare questo:
patriottismo costituzionale. Questo è il fattore integrativo
che però contiene un forte scontro ideologico. Un democratico
di élite e un repubblicano di élite hanno una visione
totalmente diversa delle cose. Talmente diversa da essere più
distanti loro che un Bertinotti e un Martino". Mi pare però
di capire che questo scontro ideologico sarebbe una
caratteristica delle élites dirigenti: a livello di cittadino
medio non è esattamente così. "Infatti, gli Stati Uniti
sono secondi soltanto alla Gran Bretagna per elettorato
fluttuante. Il cittadino comune vota sugli issue, sui singoli
temi. Le élites sono molto polarizzate, ci credono e combattono
mentre l'elettorato vota con il portafoglio. Secondo molti
giornali europei gli Stati Uniti sarebbero un paese
depoliticizzato: mi dispiace contraddirli ma non è affatto
vero".
Ed allora cerchiamo di capire dove sta la differenza importante
fra Al Gore e George W. Bush. Secondo le notizie di stampa, i
titoli azionari delle imprese petrolifere e dell'industria
strategica risulterebbero legati alle fortune di George W.,
quelli delle aziende della new economy al vicepresidente
democratico. "Questa differenziazione è molto meno marcata
di quello che scrivono taluni giornali: basti pensare alla
Microsoft, il colosso per definizione della new economy che,
ovviamente (vuole un'azione antitrust più favorevole nei suoi
confronti) è fra i più importanti finanziatori della campagna
di Bush. La questione è un'altra. George Bush ha un serio
programma di riarmo: non quello di avere più armamenti
tradizionali bensì quello di passare a una generazione
totalmente nuova di sistemi d'arma, armi ad energia, piattaforme
spaziali. Questo implica, tra l'altro, la chiusura dei vecchi
cantieri militari. Quindi, ovviamente, tutta l'industria
tecnologica sta con Bush: più bilancio federale verrà
destinato a questo. Naturalmente, anche qualora Bush fosse
eletto, non potrà fare esattamente quello che vuole: è facile
immaginare, ad esempio, che i senatori degli Stati dove si
chiuderanno le fabbricazioni tradizionali faranno grande
resistenza, ma questa sarebbe la linea di tendenza. E questo
della politica militare e di difesa è il punto più
discriminante fra Gore e Bush".
Insomma mentre Bush vuole un importante cambiamento tecnologico
(e quindi strategico: ai nuovi sistemi d'arma ovviamente
corrisponde un diverso pensiero strategico e le uscite sul ruolo
dell'Europa sono collegate a questo aspetto) negli assetti della
difesa, il vicepresidente Gore punta ad un "raffinamento
delle forze armate esistenti, premiando quindi industrie
belliche più tradizionali. Naturalmente anche Gore non potrà
prima o poi che tenere conto delle necessità militari, ma lo
farebbe con molta meno decisione". Dietro Bush si intravede
perciò l'industria tecnologica, ma anche la Microsoft,
l'industria petrolifera (Bush padre, Dick Cheney, candidato
vicepresidente, Condoleza Rice, candidata consigliere per la
sicurezza nazionale, sono tutti espressione diretta del mondo
delle grandi compagnie petrolifere), l'industria del tabacco
(che ha avuto nell'amministrazione Clinton la sua acerrima
avversaria) e quella delle armi personali nonché la National
Rifle Association (la potente lobby pro-armi) e la Cristian
Coalition (la coalizione della destra religiosa anti-choice).
Dietro il vicepresidente Gore ci sono i nemici di Bill Gates ( i
suoi concorrenti nell'informatica), l'industria delle
biotecnologie (guidata dalla Monsanto), e poi i sindacati dei
lavoratori, le associazioni delle donne, e la potente lobby di
Hollywood.
"Ma con il Congresso che è stato eletto, sia Gore sia Bush
dovranno fare mille compromessi: sarà il tempo della cosiddetta
politica bipartisan". E dunque, come dicevamo all'inizio,
il duro scontro ideologico, con dietro i relativi, corposi
interessi, si stempera nella politica del compromesso e nello
stile istituzionale del "governo diviso". Come da
democrazia presidenziale funzionante che si rispetti.
14
novembre 2000
appioclaudio@yahoo.com
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