| La sinistra europea, da 
            sempre, usa il caso statunitense come prova del paradigma che un 
            sistema liberalizzato, dove si può assumere e licenziare con 
            facilità e lo Stato sociale è fiscalmente leggero, produce un 
            eccessivo e moralmente inaccettabile squilibrio: il ricco diventa 
            più ricco ed il povero più povero. E ciò giustifica, per questi 
            signori, la demonizzazione del liberalismo economico. Per loro 
            sfortuna, i dati recentemente rilasciati dall’ufficio statistico del 
            governo americano (Census Bureau) mostrano con chiarezza l’esatto 
            contrario. La crescita economica della nazione, oltre ad essere 
            robusta da anni grazie all’efficienza del mercato non vincolato da 
            pesi eccessivi, ha creato la piena occupazione, aumentato la 
            ricchezza media, e – qui sta il punto – l’ha anche spalmata su tutta 
            la popolazione. Vediamo i dati.
 La povertà è scesa in 
            tutti i gruppi sociali
 In America, nel 1999, il reddito 
            mediano delle famiglie – cioè il punto da dove metà della 
            popolazione guadagna di più e l’altra di meno - è stato di $ 40.816 
            (quasi 90 milioni di lire). Salito di ben il 2,7% dal 1998. Altri 
            dati mostrano che gli incrementi di reddito, in media, hanno 
            superato l’inflazione o comunque non sono andati sotto. E, 
            soprattutto, si sono diffusi con buona omogeneità: in tutti i 50 
            stati dell’unione la ricchezza è cresciuta. E’ una prova solida 
            della diffusività sociale e territoriale della crescita. La mediana 
            dei redditi delle famiglie nere, area etnica tra le piu’ 
            storicamente svantaggiate in America, ha raggiunto il record storico 
            (in alto) di $ 27.910 (circa 60 milioni di lire equivalenti). La 
            povertà è scesa in tutti i gruppi sociali che vi erano intrappolati. 
            Dei 32,2 milioni di persone (la popolazione totale supera i 270) che 
            nel 1998 vivevano con un reddito inferiore alla metà di quello 
            nazionale, nel solo 1999 ben 2,2 milioni sono passati alla classe 
            media. Il tasso di povertà, infatti, è diminuito per il terzo anno 
            consecutivo: nel 1999 è sceso all’11,8% mentre nel 1998 era al 
            12,7%. Il gap di ricchezza tra i bianchi ed i neri e gli ispanici 
            ancora esiste, ma si sta riducendo di molto. Questo dato è moderato 
            da un altro meno buono: il 20% piu’ ricco della popolazione ha 
            incassato il 49,4% dell’intero reddito nazionale (49,2% nel 1998) 
            mentre il 20% più povero ne ha preso solo il 3,6%, lo stesso 
            dell’anno precedente. Ma perfino uno tra i più critici istituti di 
            ricerca della sinistra americana, il “Center on Budget and Policy 
            Priorities”, ha dovuto ammettere, a denti stretti, che da anni il 
            gap tra ricchissimi e poverissimi, almeno, non aumenta. Grazie, 
            appunto, ad una crescita che riesce a diffondersi dappertutto, anche 
            se da qualche parte solo in piccoli rivoli.
 
 Il merito di 
            Clinton: non aver toccato nulla
 Va subito detto che la 
            crescita elevata, continua e diffusa dell’ultimo decennio non va 
            accreditata all’Amministrazione Clinton ed alla sinistra. Questi, 
            saggiamente o furbescamente, non ha osato toccare neanche con mezzo 
            dito l’economia o alzare le tasse o cose del genere. Anche perché la 
            Camera dei deputati, a maggioranza repubblicana pro-mercato, mai 
            glielo avrebbe lasciato fare. Ma va riconosciuto alla sinistra 
            centrista statunitense il merito di aver capito che le idee 
            populiste, stataliste, tassiste, distruggono la crescita. Infatti 
            Clinton le ha gettate nel cestino. Mi piacerebbe poter fare questo 
            riconoscimento anche alla sinistra europea. Ma al momento non ce ne 
            sono i motivi. In Italia, poi, è notte con luna rossa. Nell’Europa 
            dello Stato protezionista, governato dalle sinistre o da loro e dai 
            sindacati pesantemente influenzato, c’è, fondamentalmente, 
            stagnazione da almeno 10 anni. La disoccupazione resta sul 10% 
            (eurozona). Per sfangare po’ di crescita malsana, quest’anno, i 
            governi sono dovuti ricorrere alla svalutazione competitiva 
            dell’euro, risoltasi in un boomerang. In particolare, la quantità di 
            poveri è aumentata, la classe media si è appiattita verso il basso 
            (del potere di spesa), il ricco è diventato meno ricco ed il povero 
            molto più povero. I fatti sono chiari e limpidi: l’Europa sociale 
            crea poveri, l’America oltre che a produrre una grande crescita, 
            riesce a diffonderla socialmente. Con questo non si vuol dire che 
            bisogna importare in Europa il modello americano pari pari per 
            risolvere i problemi della prima. Il risultato eccezionale detto 
            sopra ha avuto anche motivi contingenti e fortunati. Per esempio, i 
            redditi sono saliti molto più dei salari. Ciò indica che parecchia 
            ricchezza, soprattuto nella classe media, è venuta da un ciclo 
            finanziario (Borsa ed altro) e dalla grande forza attrattiva del 
            superdollaro, fattori non necessariamente duraturi. Tuttavia, anche 
            con questa considerazione cautelativa risulta evidente che tra 
            statalismo e liberalismo è il secondo che vince in termini di 
            maggiore capacità di creare e diffondere ricchezza. E’ ora che anche 
            in Europa si valutino i fatti della realtà e da essi si 
            impari.
 www.carlopelanda.com
 |  |