| intervistaUna trentina di intellettuali 
                  cattolici in un manifesto esprimono una posizione 
                  controcorrente
 
 «La 
                  globalizzazione può servire il bene»
 L'economista Pelanda: 
                  «Sviluppo capitalistico e giustizia sociale si possono 
                  coniugare»
 
 
 Prima ancora che gli «Otto Grandi» approdino 
                  a Genova e si mettano al tavolo di quello che sarà ormai 
                  certamente un contestato «G8», la globalizzazione sta 
                  dividendo il mondo cattolico. Da una parte le 42 
                  associazioni firmatarie del «Manifesto ai leaders del G8» che 
                  verrà presentato nel capoluogo ligure sabato 7 luglio, 
                  dall'altra una trentina di intellettuali cattolici che, 
                  invece, ha sottoscritto un manifesto per esprimere una 
                  posizione controcorrente.
 Di cosa si tratta? Lo abbiamo 
                  chiesto a uno dei firmatari, l'economista e commentatore Carlo 
                  Pelanda, presidente dell'associazione del Buongoverno, a cui 
                  aderiscono anche molti cattolici.
 «Abbiamo - dice - una 
                  lettura del mondo diversa da quella che viene data. Il 
                  manifesto degli amici cattolici dice una cosa molto 
                  intelligente: ogni processo, soprattutto di sviluppo 
                  capitalistico, produce del disordine tipico della creatività 
                  distruttiva del capitalismo. Però dice anche di tenere 
                  ancorato il processo di sviluppo al benessere sociale. Noi, 
                  invece, esprimiamo un altro concetto: siamo cristiani e 
                  cattolici che non hanno paura della modernità perché abbiamo 
                  una forza tale per cui sappiamo di poterla portare verso il 
                  bene».
 Vuol dire che i cattolici non si debbono confondere 
                  con il «popolo di Seattle» e la variopinta gamma di 
                  anti-globalizzatori?
 «Chi è contro la globalizzazione ha 
                  un'immagine del mondo estremamente semplificata: il male viene 
                  prodotto dal capitalismo, quindi bisogna alzare le tasse e 
                  limitare il potere del capitalismo stesso. Fatto questo, tutto 
                  si risolverà. Magari. L'altra visione è quella di un mondo 
                  molto complesso, dove ci sono processi che vanno governati, 
                  senza formule rigide, avendo molta fiducia in ciò che può 
                  portare di buono la modernità, e sapendo che però bisogna 
                  guidarla senza timore».
 Come si pone l'economista di 
                  fronte alla globalizzazione?
 «Negli ultimi 15 anni, 
                  misurando i risultati in termini puramente economici, la 
                  globalizzazione ha aumentato enormemente la ricchezza media 
                  delle popolazioni. A conferma della teoria che una società 
                  aperta crea e diffonde ricchezza molto meglio di una società 
                  chiusa, caratterizzata da barriere nazionali, statalismo, 
                  socialismi vari».
 Lei presenta la parte migliore della 
                  globalizzazione. Ma non si può negare che vi siano forti 
                  squilibri nelle nazioni.
 «Certo che ci sono, ma vediamo 
                  quali. Nei Paesi emergenti come la Cina o l'India, l'aumento 
                  del mercato e la modernizzazione del loro mercato interno, 
                  dovuta alla globalizzazione, ha creato molti più ricchi di 
                  quelli che c'erano prima. Certo, non li ha fatti tutti ricchi, 
                  ma rispetto a 10 anni prima in Cina, in India o in altri Paesi 
                  emergenti ci sono molti più ricchi. Ovviamente c'è anche la 
                  gente che era poverissima e rimane tale, perché è un processo 
                  in corso e non ha ancora raggiunto tutti. Ma questo è uno 
                  squilibrio positivo, perché prima erano tutti poveri, adesso 
                  almeno la metà sono ricchi. Ci sono poi squilibri dove 
                  effettivamente una parte della popolazione viene premiata 
                  molto e l'altra punita. Però questo non è colpa della 
                  globalizzazione di per sé, ma del fatto che la singola nazione 
                  si è aperta al mercato senza fare riforme interne che possano 
                  dare alla popolazione un'accesso alla ricchezza».
 Tra 
                  manifesto e contro-manifesto sta affiorando un confronto nel 
                  mondo cattolico. Qual'è, a suo parere, il punto cruciale?
 «Il punto è: si può conciliare la giustizia sociale con lo 
                  sviluppo capitalistico? La risposta è sì, perché abbiamo fatto 
                  nei Paesi occidentali gli stati sociali che in qualche modo 
                  riescono a combinare queste cose. Verranno fatte anche nel 
                  resto del Pianeta. Ci vuole il suo tempo, l'importante è 
                  mantenere la pressione. Non si capisce perché dobbiamo 
                  rinunciare a questa speranza in nome di scorciatoie 
                  antagoniste che non portano a niente. In sostanza non dobbiamo 
                  cadere preda di facili suggestioni moralistiche».
 Giorgio 
                  Francinetti
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