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05 luglio 2001 Il_fatto_del_giorno Pagina 3
  
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intervistaUna trentina di intellettuali cattolici in un manifesto esprimono una posizione controcorrente
   

«La globalizzazione può servire il bene»
L'economista Pelanda: «Sviluppo capitalistico e giustizia sociale si possono coniugare»

Prima ancora che gli «Otto Grandi» approdino a Genova e si mettano al tavolo di quello che sarà ormai certamente un contestato «G8», la globalizzazione sta dividendo il mondo cattolico.
Da una parte le 42 associazioni firmatarie del «Manifesto ai leaders del G8» che verrà presentato nel capoluogo ligure sabato 7 luglio, dall'altra una trentina di intellettuali cattolici che, invece, ha sottoscritto un manifesto per esprimere una posizione controcorrente.
Di cosa si tratta? Lo abbiamo chiesto a uno dei firmatari, l'economista e commentatore Carlo Pelanda, presidente dell'associazione del Buongoverno, a cui aderiscono anche molti cattolici.
«Abbiamo - dice - una lettura del mondo diversa da quella che viene data. Il manifesto degli amici cattolici dice una cosa molto intelligente: ogni processo, soprattutto di sviluppo capitalistico, produce del disordine tipico della creatività distruttiva del capitalismo. Però dice anche di tenere ancorato il processo di sviluppo al benessere sociale. Noi, invece, esprimiamo un altro concetto: siamo cristiani e cattolici che non hanno paura della modernità perché abbiamo una forza tale per cui sappiamo di poterla portare verso il bene».
Vuol dire che i cattolici non si debbono confondere con il «popolo di Seattle» e la variopinta gamma di anti-globalizzatori?
«Chi è contro la globalizzazione ha un'immagine del mondo estremamente semplificata: il male viene prodotto dal capitalismo, quindi bisogna alzare le tasse e limitare il potere del capitalismo stesso. Fatto questo, tutto si risolverà. Magari. L'altra visione è quella di un mondo molto complesso, dove ci sono processi che vanno governati, senza formule rigide, avendo molta fiducia in ciò che può portare di buono la modernità, e sapendo che però bisogna guidarla senza timore».
Come si pone l'economista di fronte alla globalizzazione?
«Negli ultimi 15 anni, misurando i risultati in termini puramente economici, la globalizzazione ha aumentato enormemente la ricchezza media delle popolazioni. A conferma della teoria che una società aperta crea e diffonde ricchezza molto meglio di una società chiusa, caratterizzata da barriere nazionali, statalismo, socialismi vari».
Lei presenta la parte migliore della globalizzazione. Ma non si può negare che vi siano forti squilibri nelle nazioni.
«Certo che ci sono, ma vediamo quali. Nei Paesi emergenti come la Cina o l'India, l'aumento del mercato e la modernizzazione del loro mercato interno, dovuta alla globalizzazione, ha creato molti più ricchi di quelli che c'erano prima. Certo, non li ha fatti tutti ricchi, ma rispetto a 10 anni prima in Cina, in India o in altri Paesi emergenti ci sono molti più ricchi. Ovviamente c'è anche la gente che era poverissima e rimane tale, perché è un processo in corso e non ha ancora raggiunto tutti. Ma questo è uno squilibrio positivo, perché prima erano tutti poveri, adesso almeno la metà sono ricchi. Ci sono poi squilibri dove effettivamente una parte della popolazione viene premiata molto e l'altra punita. Però questo non è colpa della globalizzazione di per sé, ma del fatto che la singola nazione si è aperta al mercato senza fare riforme interne che possano dare alla popolazione un'accesso alla ricchezza».
Tra manifesto e contro-manifesto sta affiorando un confronto nel mondo cattolico. Qual'è, a suo parere, il punto cruciale?
«Il punto è: si può conciliare la giustizia sociale con lo sviluppo capitalistico? La risposta è sì, perché abbiamo fatto nei Paesi occidentali gli stati sociali che in qualche modo riescono a combinare queste cose. Verranno fatte anche nel resto del Pianeta. Ci vuole il suo tempo, l'importante è mantenere la pressione. Non si capisce perché dobbiamo rinunciare a questa speranza in nome di scorciatoie antagoniste che non portano a niente. In sostanza non dobbiamo cadere preda di facili suggestioni moralistiche».
Giorgio Francinetti