22/05/2006

Stimatissimo professor  Pelanda,

ho letto con grande soddisfazione il suo articolo sul Giornale di Milano del 21.5.2006  relativo al referendum sulla riforma costituzionale, perché conferma, autorevolmente,  che avevo visto giusto allorquando avevo pensato che l’occupazione dei centri di potere da parte dei comunisti  (ex e post) avrebbe potuto trasformare  detto referendum in una “battaglia per la libertà”,  con tutte le conseguenze dirompenti sulla tenuta del governo della sinistra in caso di vittoria dei “sì”.  Ma nella CdL non c’è accordo: Fini e Casini perseguono interessi opposti rispetto a quelli di Berlusconi. Mentre quest’ultimo preme per far cadere  questo governo al più presto  per avere così  la possibilità di ricandidarsi alla Presidenza del Consiglio, i primi due operano affinché questo governo duri  quanto più può, al fine di  logorare Berlusconi ed escluderlo dal corsa a palazzo Chigi: il loro atteggiamento favorevole all’elezione di Napolitano a Presidente della Repubblica penso mirasse proprio a facilitare la vita al governo Prodi  e ad escludere la possibilità di futuri attacchi della CdL contro lo “strapotere dei comunisti”, specie in occasione del referendum.  Come la CdL può uscirne?  Non credo che sia sufficiente un appello generico all’unità.  Penso che la soluzione sia solo nelle mani di Berlusconi, che ha due possibilità. O annunciare che ha donato tutte le sue aziende ai figli per dedicarsi esclusivamente alla politica (e sarebbe ora che lo facesse,  per il bene di tutti!), togliendo così ai suoi alleati ogni velleità di poterlo sostituire; oppure dichiarare che in caso di elezioni anticipate non si candiderà alla carica di Primo Ministro. Tertium non datur. La ringrazio per l’attenzione. Ho scritto queste mie modeste riflessioni ai giornali vicini al centro destra ma non ho riscontrato alcun effetto.

Donato Antonio