Un ricercatore italiano (a suo modo figlio d'arte) ha scoperto dove sono le cellule che governano le nostre scelte economiche.
Altri ci stanno mappando il cervello.
Obiettivo? Capire perchè a volte è più
facile sbagliare che azzeccarci.
Usare il cervello per fare economia,
o per ripensarla. Sembra una banalità, invece questa frase anima il
lavoro di un'avanguardia di neuroscienziati che sta cercando le chiavi
per comprendere come la mente fa una scelta, prende una decisione,
determina insomma il costo - beneficio di un'offerta assegnandole un
valore. Quali aree del cervello si attivano, quali neuroni vengono
coinvolti e come "si accendono" quando l'individuo è messo
di fronte a diverse opzioni? Una volta compreso il processo di
decision - making, come si applica tale scoperta ai modelli economici?
A queste e molte altre domande cerca di dare risposta la
NEUROECONOMICS, punto di incontro di due scienze che dovrebbero essere
esatte eppure custodiscono ancora troppi segreti. Sfiorando eterni
quesiti della filosofia, come quello sull'esistenza del libero
arbitrio. In questo lavoro è impossibile non porsi domande che hanno
significati ben più ampi dei risultati sperimentali ottenuti. Nei
laboratori di Boston della Harvard Medical School si frequentano
territori ai confini tra psicologia cognitiva, neurobiologia e teoria
economica.
Dalle scimmie all'uomo
Spesso ci troviamo a scegliere se
lavorare e guadagnare di più oppure avere più tempo libero, se
investire in obbligazioni o in azioni. E gli studi comportamentali
hanno dimostrato che a volte si fa la scelta meno razionale.
Economisti e neurobiologi concordano sul fatto che alla base della
decisione ci sia l'assegnazione di un valore alle opzioni disponibili,
la sfida è capire quali sono i meccanismi neurali che governano
quest'assegnazione. Varie ricerche hanno individuato nella corteccia
orbitofrontale la probabile area coinvolta: in soggetti umani con
lesioni in quest'area si osservano infatti deficit tipicamente
collegati con problemi di scelta, quali disturbi alimentari,
comportamenti abnormali in situazioni di rischio o comportamenti
asociali. Deficit simili sono stati riscontrati anche nelle scimmie,
spingendo gli scienziati ad ipotizzare che le funzioni dell'area
orbitofrontale nelle due specie siano omologhe.
In un precedente esperimento,
condotto da Elisabetta Visalberghi e collaboratori del Cnr, si era
osservato il comportamento delle scimmie e concluso che il processo di
scelta prevede due tappe: prima si assegna un valore alle singole
opzioni e poi si confrontano questi valori e si prende una decisione.
Nel secondo esperimento - condotto con John Assad a Harvard, i cui
risultati sono stati pubblicati sulla rivista "Nature" - ha
inserito gli elettrodi nell'area orbitofrontale dell'animale ed è
riuscito ad individuare le cellule nervose che si accendono e si
spengono a seconda del valore associato ad una data offerta. Dal
profilo di scelta si evince il valore che ciascun soggetto assegna
alle due bevande. Per una scimmia, il valore di una goccia di mela è
uguale a tre gocce d'acqua, due gocce di mela equivalgono a sei gocce
d'acqua e via dicendo. Nella corteccia orbitofrontale si sono trovati
alcuni neuroni la cui attività varia proporzionalmente assieme al
valore assegnato all'offerta, indipendentemente dal tipo di bevanda
scelto: per esempio, l'attività di un neurone specifico risulta
bassa quando la scimmia beve una goccia di mela oppure tre gocce
d'acqua, è due volte più alta se la scimmia prende due gocce di mela
o sei gocce d'acqua, è tre volte più alta se prende tre gocce di
mela o nove d'acqua. Insomma, tanto più alto è il valore tanto più
questi neuroni si attivano. Restano ancora da scoprire, ed è
l'obiettivo di un nuovo studio, i neuroni coinvolti nel processo
decisionale, probabilmente esteso ad altre aree.
In difesa del libero arbitrio
Gli studi di Camillo Padoa-Schioppa
e collaboratori peraltro confermano che la scelta può prescindere da
precedenti esperienze. In un esperimento, la scimmia è stata posta
davanti a cibi nuovi, come papaya e mango, mai offerti prima insieme.
Se fosse valida la teoria dei comportamentalisti, secondo la quale
ogni scelta risponde ad una sorta di tabella mentale precostituita, la
scimmia avrebbe dovuto rispondere in modo casuale e poi imparare piano
piano cosa scegliere seguendo un'associazione appresa nel tempo.
Invece, la scimmia ha risposto in modo netto fin dalla primissima
sessione. Smentendo, così, la teoria associazionista ( accettata in
parte dall'economia classica ) secondo cui la scelta è un'illusione e
tutti i nostri comportamenti sono riflessi condizionati.
Uno scenario alla Orwell?
Padoa-Schioppa Jr. fuga l'incubo di
futuri condizionamenti alla Orwell e spiega come sia impensabile,
con le tecniche a disposizione, riuscire a manipolare le preferenze
delle persone con un'azione diretta su questi neuroni. Ma le
applicazioni pratiche non mancheranno. L'economia ha considerato
finora il processo delle decisioni come una scatola chiusa, per
necessità. In questo ha avuto delle intuizioni brillanti che adesso
vanno portate nello studio del cervello.
Con esperimenti meno invasivi (
anche se meno precisi ) di quelli effettuati su cavie animali, gli
scienziati hanno imparato a "viaggiare" all'interno del
cervello umano utilizzando moderne tecniche di imaging quali la
risonanza magnetica funzionale ( fMRI ), la tomografia ad emissioni di
positroni ( PET ) o la magnetoencefalografia. Strumenti che stanno
lentamente portando alla mappatura, funzionale ed anche genetica, del
cervello umano, come hanno spiegato gli scienziati riuniti a Firenze
per il Congresso mondiale di Human Brain Mapping, conclusosi giovedì
15 giugno 2006. La neuroeconomics è uno dei campi di applicazione più
affascinanti. In un tipico esperimento, si chiede al soggetto di fare
delle scelte: per esempio se preferisce 4 euro sicuri o una scommessa
fra 10 euro o nulla con uguale probabilità. L'attivazione di
precise aree del cervello, così coma altri parametri ( battito
cardiaco, o grado di umidità alla superficie della pelle, che è una
misura del coinvolgimento emozionale e viscerale ), dimostra quali
processi fisiologici si mettono in movimento. Le evidenze scientifiche
ci aiutano a comprendere come i soggetti economici si comportano, con
implicazioni importantissime. Una fra tutte: come rispondere a chi
suggerisce un intervento dello Stato nelle scelte economiche
individuali? L'evidenza suggerisce che gli uomini sono guidati in
primo luogo da un grande desiderio di libertà, e credo che tale
desiderio vada rispettato.
Altra possibile applicazione è il
neuromarketing. Uno degli studi più eclatanti in questo campo è
stato condotto da Marco Iacoboni, professore alla Ucla di Los Angeles.
Iacoboni e collaboratori hanno misurato con la fMRI l'attività
cerebrale mentre i soggetti osservavano vari spot pubblicitari e poi
li hanno intervistati. Hanno osservato che quello che racconta il
cervello spesso è diverso da ciò che raccontano le persone. Per due
fattori principali: da un lato la pressione sociale ( la gente
tende a dire quello che ci si aspetta ) e dall'altro il fatto che le
nostre motivazioni più profonde, i fattori che ci fanno decidere,
sono spesso inconsci. Per esempio, gli spot considerati più efficaci
dai soggetti durante l'intervista davano in realtà risposte deboli
nelle aree cerebrali che si attivano per stimoli "rewarding"
( premianti ) o per processi empatici ( che sono i maggiori indicatori
dell'efficacia di uno spot ). Viceversa altri spot, non molto
menzionati dai soggetti, producevano risposte "robuste".
L'applicazione pratica più
immediata, a detta di Iacoboni, è nel marketing ed anche nel "political
consulting", magari spodestando i sondaggisti. I dati neurali,
infatti, potrebbero facilitare l'efficacia di campagne commerciali o
elettorali. Tenendo presente, però, i condizionamenti esterni. Uno
dei meccanismi più importanti è l'imitazione, che è stata studiata
molto. I dati mostrano, per esempio, che alcuni pezzi musicali
piacciono di più se si sa che piacciono ad altra gente.
L'ultima parola all'incertezza
I giornali già parlano di
"neuroni dello shopping" e perfino di nuove forme di
persuasione occulta. Sorgeranno fabbriche del consenso studiate in
laboratorio? Decisamente no. In un certo senso il neuromarketing fa il
contrario della "persuasione". Persuasione vuol dire
modificare i processi decisionali, i sopra citati esperimenti invece
non modificano l'attività cerebrale dei soggetti: cercano piuttosto
di ottenere dati che raccontano cosa la gente pensa e desidera
veramente.
Desideri e scelte che, alla fine,
devono pur fare i conti con l'incertezza. Guardiamo alle decisioni
economiche importanti, come quale laurea prendere, chi votare, se
trasferirsi all'estero. Queste decisioni non sono prese da un processo
esplicito, consapevole, da un calcolo. Sono il frutto di un processo
inconscio, anche se perfettamente razionale, che richiede la
considerazione di fattori complessi. Gran parte di questo processo è
la scoperta di se stessi: cosa vogliamo davvero, di cosa ci
consideriamo capaci, quanto siamo disposti a pagare per un sogno.
Spesso, non vogliamo neppure sapere la risposta, ma solo che fare. Per
questo, forse, prendere decisioni importanti, anche se puramente
"economiche", è quasi sempre accompagnato dall'incertezza.
A volte, dal rimpianto.
Disponibile ad ogni tipo di chiarimento
Porgo cordiali saluti
Dott. Lorenzo Polojac
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