31/01/2007

Caro professore,

ho letto le Sue considerazioni su ‘il Foglio’ assieme a quelle di Giorgio Israel e di Giuseppe Sermonti e Le voglio esporre talune mie considerazioni tralasciando di ‘confessare’ le mie convinzioni personali che (seppure sia divenuto un vezzo abituale darne comunicazione chiara e anticipata all’espressione delle proprie idee da parte di ‘scienziati’, ‘filosofi’, ‘giornalisti’ certificati o anche dei più semplici ‘lettori’) non interessano nessuno né dovrebbero interessare chicchessia al di la delle affermazioni espresse su carta.

Come noi tutti convinti assertori del ‘progresso umano’ (in crescita sempre seppure sempre travagliato dall’imperfezione e dalle incoerenze umane) sono convinto che l’odierno ‘occidente’ sia portatore di una civiltà ‘superiore’ alle molte con essa purtroppo ancora coesistenti nel 21° secolo. Ciò non ci garantisce la conservazione dello stato di ‘migliori’ in eterno. L’assenza di una solida adesione interna ai principi fondanti potrebbe infatti condurci all’estinzione (come avvenne per i Dinosauri e per tante altre specie e civiltà nel passato). Lotto assieme ad altri per garantire la sopravvivenza e la proliferazione della Nostra civiltà ed assicurarle quindi il trionfo. Ciò non significa arrestarne il progresso sulla strada del miglioramento continuo dalle sue ‘imperfezioni’ umane (e pertanto storicamente inesauribili).

La convinzione circa la ‘superiorità’ della nostra civiltà (erga omnes humani) mi obbliga anche a considerare con pieno ottimismo la strada intrapresa nelle sofferenze e col metodo di tentativi ed errori da almeno parecchi millenni.

Il fatto stesso che siamo riusciti faticosamente ad assicurare al mondo un lungo progresso coronato dall’attuale ‘superiore’ livello di civiltà non ostante la componente animale dell’uomo ci abbia costantemente spinto a tenere atteggiamenti drastici e bellicosi mi spinge per coerenza ad ammettere che il progresso non stia seguendo un percorso ‘a la Monod’ (solo ‘casualmente’ segnato da migliorie) bensì che esso segua una linea evolutiva (che chiamo ‘intelligente’ solo in quanto costantemente orientata al meglio). Che poi l’’intelligenza’ sia stata iniettata una tantum all’atto del Caos’ iniziale come dote intrinseca di uno sviluppo dalla massima entropia ad una graduale crescita di ordine (che possiamo notare sia nel cielo stellato che nel mondo animato) invece che in altri modi estemporaneamente, non toglie che occorra ammettere la molto inferiore probabilità statistica di un tipo di ‘evoluzione casuale’ (a la Monod) rispetto all’accettazione dell’esistenza di un’’energia superiore’ che è capace di dare un senso all’evoluzione grazie a una legge capace di garantire la sopravvivenza al suo ‘disegno intelligente’. Nessuno può sperare di definire il concetto ‘epistemologico’ di scienza in modo tanto riduttivo da riportare le esperienze umane sotto il solo cappello delle tradizionali scienze fisiche. Tuttavia ogni ‘scienziato’ deve accettare la sfida di riuscire a scoprire quale sia lo strumento (la ‘legge’) di cui si serve quell’energia superiore (che trascende la stretta natura fisica ed umana) per guidare l’evoluzione sia della natura inanimata che di quella animata.

L’unicità della conoscenza e quella delle leggi seguite dalla natura mi obbliga altresì ad ammettere che non ci possa essere una drastica e riduttiva frattura tra ‘scienze naturali’ e ‘scienze umane’. Soprattutto dopo la scoperta del DNA e dei suoi profondi legami con la trasmissione di informazioni tra generazioni lungo una costante evoluzione positiva dell’uomo e della natura.

L’unicità della scienza deve tra l’altro obbligarci ad accettare che la logica e la matematica siano gli strumenti comuni di cui lo ‘scienziato’ può servirsi per affermare o confutare le proprie teorie. Sia in materia tecnologica che in quella organizzativa delle tecnologie al servizio del progresso civile.

Ciò ci suggerisce di trovare anche una comune base etica alla ‘libertà di ricerca’ in qualsiasi disciplina siamo interessati. Infatti la destinazione sociale (economica, politica o semplicemente astrattamente ‘culturale’) della ricerca (da quella pura a quelle applicate) ci obbliga a non ritenere che la ‘libertà’ sia IL valore basante della civiltà umana. Se si vuole vivere in gruppi sociali, infatti, la ‘libertà’ è un valore che (seppure consensualmente) accettiamo di ‘barattare’ per una migliore ‘qualità di vita’. Che tale ‘etica’ superiore cui siamo disposti a cedere dosi della nostra libertà individuale risulti nelle epoche e tra le etnie molto elastica e variabile, ci convince di avere un parametro tramite il quale poter decidere della ‘superiorità’ dell’una rispetto alle altre. È ad esempio agevole per noi dare una misura eticamente superiore al sacrificio consensuale di sé del missionario rispetto a quello del kamikaze o del terrorista.

Una regolamentazione della libertà di ricerca non credo sia un atto inaccettabile purchè si basi sull’affermazione di valori basanti della nostra civiltà. Il relativismo etico invece rinuncia poco scientificamente ad approfondire tali temi trasversali a tutte le scienze dietro la pretesa di non voler riportare la ‘scienza esatta’ sotto il dominio della ‘chiesa cattolica’. Rinunciando a distinguere tra la sfera della scienza (ivi incluso cercare di capire la ‘legge’ che garantisce il ‘disegno intelligente’ al progresso umano E naturale) e quello della fede (che magari riesce perfino a considerare ‘migliore’ la scelta della ‘eugenetica preventiva’ di rieri e di domani rispetto alla ‘assistenza umana e sanitaria’ dei sofferenti oppure la scelta Maltusiana rispetto a quella dello sviluppo tecnologico per risolvere i problemi della sopravvivenza).

Io ho ‘fede’ nella scienza in quanto sono convinto dai miei studi (e costanti curiosità scientifiche) dell’esistenza di una ‘linea intelligente’ (e non Monodiana) che guida il progresso umano e naturale. Ciò non ha nulla a che fare con ‘posizioni’ fideiste (creazionismo o meno e Darwiniste o neo-Marxiste). Infatti anche Galileo era cosciente di avere capito solo qualcosa di parziale mentre Newton (al contrario del matematico Leibnitz) era certo di avere risolto i problemi naturali addirittura deterministicamente con mezzi matematici originali (convinzione dimostratasi fallace soli qualche decennio dopo grazie a Faraday-Maxwell che aprirono la strada alla relatività Einsteiniana e alle odierne teorie del campo unificato quanto-elettro-dinamico quasi senza soluzione di continuità sul piano della ‘revisione’ logico-concettuale da essi inaugurata). Infatti anche Marx ha affermato un punto di vista originale per esaminare criticamente la Storia seppure le sue sicurezze ‘scientifiche’ (socio-economico-politiche) abbiano avuto un ruolo puramente ‘fideista’ e si siano potute dimostrare autonomamente sterili e fallaci. Infatti Darwin (indipendentemente dalle sue convinzioni personali su società e politica) ha fornito un rivoluzionario concetto per osservare la diversità delle specie in natura pur non avendo fornito alcuna solida chiave di ‘soluzione scientifica’ del problema della origine delle specie e della loro ‘evoluzione per salti discreti’ fino all’assetto dell’uomo e delle specie attuali. Cancellare Dio dall’evoluzione non semplifica il progresso delle conoscenze gli sottrae solamente una delle possibili giustificazioni nell’altrimenti improbabile origine della ‘logica evolutiva’ (non dei meccanismi – o ‘leggi’ – ‘scientificamente’ conoscibili da essa seguiti).

La leggo sempre con interesse e curiosità (soprattutto in quanto gli ‘scenari geo-politici’ devono potersi fondare su scelte etiche di civiltà che diano legittimità agli interventi pratici che è sempre necessario adottare per agevolarne o contrastarne la realizzabilità,

cordialmente

Carlo (Vitali)