Sui costi della giustizia civile

 

Di regola chi si interessa dei problemi della giustizia civile è uno interno al sistema stesso (sono solo avvocati e giudici che ne discutono) e al massimo gli altri ascoltano compunti; in genere poi gli “esperti” si soffermano sempre sulle questioni relative all'apparato giudiziario (giudici ed uffici dei tribunali) e propongono sempre soluzioni cha ritoccano, più o meno profondamente, solo norme dei codici di procedura o dell'ordinamento del personale e degli uffici, sperando così di trovare la ricetta per abbreviare i tempi delle cause (e diminuirne di conseguenza i costi).

 

Questo modo di procedere, che fin'ora ha dato scarsi risultati, evidentemente non è quello giusto, a mio avviso soprattutto perchè non va ad incidere sulle altre componenti del sistema “giustizia civile”: gli avvocati e le parti (attori e convenuti), che in fondo ne sono i soggetti principali, oltre ai notai ed ai periti.

 

In particolare quando si discute dei problemi della giustizia si parla poco o niente della riforma dell'ordine degli avvocati e dei notai o di quella dell’albo dei consulenti tecnici (periti) e mai della riforma dei rapporti tra avvocati e clienti.

 

A mio avviso è evidente che il sistema della giustizia civile sarà sempre molto costoso (come soldi e tempi) per le parti se continuerà a fondarsi sul fatto che ogni questione deve essere di competenza pressochè esclusiva di giudici ed avvocati e le parti non possono nemmeno parlare con i giudici (o tra loro) se non con la mediazione degli avvocati che bisogna retribuire in ogni caso e senza una  particolare trasparenza sulla loro parcella stante l’impossibilità (per i clienti) di verificarne i reali servizi (il criterio più applicato sembra essere quello in base al quale più dura il processo più la parcella dell’avvocato è alta).

 

Tra l’altro questo sistema ribalta il significato del termine “avvocato” (ad vocatus = chiamato insieme), in Italia infatti gli avvocati vanno nelle cause civili in genere da soli visto che si tratta solo di discutere su atti già scritti da loro poichè anche se una parte è perfettamente in grado di leggere e scrivere in italiano chissà perchè non può presentare alcun documento da lei prodotto al giudice che deve decidere solo in base a documenti scritti dagli avvocati, cossichè la giustizia in Italia sembra sempre quella subita da Pinocchio dove in pratica risulta che i giudici sono sempre in combutta (dolosa? colposa?) col gatto e la volpe (gli avvocati?).

 

Forse non tutti sanno che in Italia, a differenza di altri paesi (più) civili, gli avvocati non possono concordare con il cliente di essere pagati in base al risultato (una percentuale di quanto ottenuto o un rimborso spese se la causa è persa): l’art. 2233 del codice civile proibisce infatti il patto di quota lite; è evidente che un buon 50% delle controversie civili non inizierebbe nemmeno se l’avvocato fosse pagato solo in caso di vittoria con relativa rapida soluzione dei problemi della giustizia civile in Italia.

 

In conclusione ritengo molto più produttivo ai fini di una riduzione dei costi e dei tempi della giustizia civile l’abolizione (o una sua riformulazione in senso liberale) dell’art. 2233 del codice civile che molte altre modifiche della normativa vigente, ma dubito molto che ciò possa avvenire visto che la “mafia” degli avvocati e dei giudici è presente in tutti gli organi politico/amministrativi che discutono delle riforma della giustizia civile, come se questa fosse “cosa loro”.

 

A tutela dei diritti dei clienti/utenti del sistema giustizia restano solo fumose “norme deontolgiche” o impalbabili “azioni per la responsabilità” dei giudici che nessun avvocato vorrà mai nemmeno iniziare per non inimicarsi i giudici con i quali deve lavorare quotidianamente e che in ogni caso sono sempre e solo “cosa loro” e nessuno è in grado di garantire i clienti/utenti che giudici ed avvocati, nelle cause civili, non si accordino, più o meno esplicitamente, per far gravare in ogni caso i costi (ed i tempi) sugli ignari clienti indipendentemente dal valore complessivo della controversia.

 

Se avvocati, giudici e notai sono i custodi della giustizia perchè li deve vigilare un Ministero composto da altri giudici, avvocati e notai e non un’autorità che rappresenti anche i loro utenti/clienti?

 

Sistema della giustizia e mercato immobiliare

 

Coloro che operano nel settore immobiliare oltre ad avere i problemi degli ordinari costi della giustizia (tempi e parcelle degli avvocati) sono gravati, nelle operazioni di scambio, dai costi dei notai e dei periti; in particolare i costi dei notai sono di oltre il 100% superiori a quelli ordinari di mercato come è facilmente dimostrabile considerando la tariffa notarile sui contratti di locazione rispetto ai prezzi praticati nelle agenzie immobiliari ed a mio avviso lo stesso rapporto esiste anche per gli atti di compravendita, sui quali i notai hanno un monopolio sostanzialmente illegittimo (l’Antitrust non risponde sul fatto che i notai hanno la stessa tariffa sia per l’atto da loro stipulato che per la semplice autentica delle firme nelle compravendite).

 

Per questo settore una soluzione potrebbe essere la creazione di esperti di affari immobiliari (mediatori immobiliari pubblici) che se recepiti dall’ordinamento, anche solo nella legislazione regionale, potrebbero rendere il mercato immobiliare italiano omogeneo a quello di altri paesi (più) civili e le transanzioni meno costose, con positivi riflessi su tutto il sistema.

 

Solo in Italia infatti, a causa del monopolio della “casta” dei notai nella stipula degli atti immobiliari (e societari), non è possibile per le parti trattare gli affari attraverso dellle strutture competenti per tutte le operazioni (dalla stima all’atto); le agenzie immobiliari in Italia sono tali solo di nome perchè spesso sono solo immobiliari (cioè gestori di immobili di loro proprietà) ed in altri casi sono solo procacciatori di affari immobiliari, privi delle competenze necessarie per la stipula dei relativi atti e pertanto le parti devono pagare sia loro (che talvolta sono, occulatamente, anche gli stessi venditori) e poi anche gli esperti di atti relativi agli immobili (notai, avvocati e periti vari).

 

Questo sistema, sostanzialmente svantaggioso per tutte le parti degli affari immobiliari (anche per gli stessi procacciatori che non hanno mai la certezza di concludere un affare e per questo le provvigioni in Italia sono alte), rende inutilmente complicate anche le questioni fiscali in quanto lo stato non trova nell’organizzazione economica del mercato un soggetto di riferimento per un’equa tassazione sulle operazioni immobiliari; la tassazione delle compravendite sembra basarsi in linea di massima su alte aliquote compensate da bassi valori imponibili, mentre sarebbe più equo (e più funzionale all’opera di governo) tassare con basse aliquote i corretti valori di mercato, che però non è possibile individuare nella situazione attuale dove i titolari degli unici uffici dove transitano la maggior parte degli atti immobiliari (i notai) non entrano mai nel merito dell’affare e pertanto non sono in grado di rilevare i dati significativi.

 

La creazione di esperti pubblici di affari immobiliari che agissero preventivamente, che potessero cioè  intervenire a fianco delle parti fin dall’inizio dell’operazione e non solo alla conclusione, come fa il notaio attuale, a mio avviso eviterebbe molti contenziosi; molte controversie relative ad affari immobiliari (locazioni, compravendite, cessioni di aziende, espropriazioni immobiliari) infatti potrebbero essere evitate se le perizie fossero redatte durante la discussione dell’affare (fossero cioè ricomprese nell’atto finale) e non durante il processo.

 

Questo modus operandi è stato legislativamente recepito nella riforma della procedura dell’espropriazione per pubblica utilità (Dpr 327/2001), ma sarebbe utile anche per tutti gli affari immobiliari se si volesse evitare un dispendioso (per le parti) ricorso al sistema giudiziario per ogni minima questione.

 

Ciò che manca al mercato immobiliare italiano, a mio avviso, è la figura del “direttore” di agenzia immobiliare, intesa come ufficio addetto a trattare affari immobiliari tra terzi (come quelle degli Stati uniti); questo direttore potrebbe appunto denominarsi “mediatore pubblico per affari immobiliari” e dovrebbe avere la competenza (non l’esclusiva!) a stipulare gli atti di compravendita (sicuramente praticherebbe tariffe inferiori a quelle del notaio); questo mediatore pubblico, configurato come un perito che possa autenticare gli atti da lui predisposti, che interviene anche nel merito delle trattative e non solo per l’aspetto formale, potrebbe risolvere molte questioni sia per quanto attiene l’insorgere di controversie tra le parti degli affari immobiliari che per una corretta tassazione delle operazioni immobiliari: solo disponendo di una rete capillare ed omogenea di uffici per un controllo pubblico del mercato immobiliare il governo potrà disporre dei dati relativi al mercato stesso in modo da adottare le migliori politiche.

 

Anche in questo caso ritengo che la riforma proposta, la quale per il rapporto costi/benefici sarebbe da attuare immediatamente, difficilmente sarà anche solo discussa perchè le categorie di giudici/avvocati/notai unite stavolta a quella degli immobiliaristi senza scrupoli (diffusa tra molti politici locali), non trovano in essa alcun vantaggio e anche le associazioni dei consumatori, che in altri paesi forse si darebbero da fare per tutelare realmente le parti deboli delle operazioni immobiliari, in Italia sono dirette in genere da avvocati che si guardano bene da proporre riforme che intacchino il sistema: l’avvocato innanzi tutto si preoccupa di farsi firmare la procura per la lite dal cliente, non di evitarla, indipendentemente dalle spese che il cliente dovrà sostenere e che lui non è mai in grado di quantificare.