Socialismo, Mercato
e
Calcolo Economico
di
Andrea
Millacci
Mises, Marx e il calcolo economico nel socialismo.
“...... Mises si rese
sempre più conto che a separarlo dai suoi critici era il suo completamente
diverso approccio intellettuale nei confronti dei problemi sociali ed
economici...Per convincerli egli avrebbe dovuto fare comprendere loro la
necessità di una metodologia del
tutto diversa.”
Così scriveva Hayek nella sua presentazione a “Socialismo”
di Von Mises.
Davvero il primo grande sforzo di Von Mises fu quello di
portare, finalmente, i suoi avversari su di un comune campo di battaglia, per
confrontarsi con loro seguendo regole metodologiche comuni.
Dal momento in cui Marx ed Engels anticipano l’avvento di
una nuova società ristrutturata secondo linee razionali e basata sul
Socialismo, di questa nuova società non descrissero le strutture operative, si
limitarono a dire quello che non sarebbe stata, niente di concreto su come il
nuovo ordine economico e sociale avrebbe a tutti gli effetti funzionato.
Anzi, Marx ed Engels bollarono come “socialisti utopisti”
tutti coloro che, sulla scia di Saint Simon e Fourier, provarono a teorizzare e
ad elaborare le norme di funzionamento sociali e politiche della nuova società
socialista.
I due rivendicarono la necessità di un approccio
“scientifico”, l’unico in grado di contribuire efficacemente allo storico
cambio di consegne tra il Capitalismo e il Socialismo.
Per Marx ed Engels l’approccio “scientifico” diventa l’arma
contro ogni critica, un baluardo inespugnabile che di fatto blocca ogni
possibile confronto con gli oppositori e ogni possibile sviluppo di una teoria
economica socialista in grado di dimostrare la fattibilità economica della
nuova società.
L’approccio “scientifico” nasce dalla formazione storicista
di Marx ed Engels; il nucleo essenziale di questa scuola era costituito
dall’idea che le leggi dell’economia potessero essere individuate solo
applicando al materiale della storia i metodi delle scienze naturali.
L’approccio metodologico più efficace era, secondo gli storicisti, un approccio
interdiscilplinare in grado di fondere insieme psicologia, sociologia,
filosofia ed economia.
Tale approccio delineò le tre direttici del baluardo prima
Marxiano e poi Marxista:
1) La logica non è valida per tutta l’umanità e per tutte le
epoche, il pensiero viene determinato dalla classe a cui appartengono coloro
che pensano (“La scienza esiste nella
testa degli scienziati e questi sono un prodotto della società. Non possono
uscirne o andare al di là di essa” scriveva Kautsky nel suo libro “Die
Soziale Revolution” del 1902).
2) Lo sviluppo dialettico avrebbe portato inevitabilmente al
Socialismo in quanto lo scopo di tutta la storia consiste nella socializzazione
dei mezzi di produzione.
3) Non occorre formulare una precisa proposta per la
costruzione della nuova società socialista data la inevitabilità dell’avvento
di essa.
E’ facile comprendere come Marx , Engels ed i loro
successori potessero facilmente catalogare come “borghese” ogni voce si levasse
a contestare l’assoluta mancanza di una teoria economica che potesse supportare
la capacità di sopravvivenza di una società socialista.
Mises fu il primo a levare la sua voce contro questo “tabù”.
Il suo primo grande contributo fu proprio quello di infrangere la cortina di
ferro che proteggeva il Socialismo e di sferrare un durissimo attacco alla
razionalità di un’economia socialista.
L’azione razionale,
per Mises, ha come unico fine il maggior piacere dell’agente, la necessità di
uscire da una situazione di insoddisfazione.
Ogni azione razionale è poi un’azione che l’agente affronta
analizzando il tempo, il lavoro, le risorse materiali necessarie al suo
compimento.
L’agente si trova così a dover “soddisfare diverse
insoddisfazioni” avendo a disposizione risorse limitate, dovrà decidere
quale azione compiere per prima, dovrà altresì considerare la limitatezza delle
sue risorse per distribuirle “efficacemente” tra le varie azioni razionali.
Ogni azione razionale, pertanto, origina un’attività
economica, allo stesso tempo Mises può dire che ogni attività economica è anche
razionale.
In quest’ottica un’attività razionale è costituita da azioni
di scambio vere e proprie: tra il raggiungimento della soddisfazione e le
risorse che un’agente impiega nel raggiungerla, tra le risorse che possiede e
quelle che può procurarsi per il suo scopo.
Nell’esecuzione di questi atti di scambio l’individuo compie
delle valutazioni: quale soddisfazione ricercare per prima, quante risorse
dedicare a tale scopo.
Per compiere queste valutazioni ha bisogno di un’unità di
valutazione omogenea per le varie risorse. Tale unità di valutazione,
necessaria al calcolo economico, è, secondo Mises, il valore oggettivo di
scambio.
Ciò porta ad un triplice vantaggio:
1) Il calcolo viene basato sulle valutazioni di tutti i
partecipanti agli scambi.
2) Fornisce un controllo sulla convenienza di un determinato
impiego delle risorse.
3) Permette la presenza di una sola unità di valutazione.
In un’economia monetaria tale unità di valutazione è il prezzo
monetario.
Se in una società primitiva (o in una società più evoluta ma
limitatamente a bene di consumo elementari) il calcolo economico basato sul
prezzo monetario può essere sostituito dal calcolo in natura, in un’economia
più sviluppata, con la presenza di beni di consumo e di beni di ordine
superiore il calcolo economico è possibile solo con l’aiuto dl prezzo
monetario.
In una società capitalistica, dove vige la proprietà privata
dei mezzi di produzione, la scala dei valori è il frutto delle azioni
indipendenti di ogni membro della società, il suo duplice ruolo di produttore e
di consumatore assicura un comportamento economico e razionale dal quale nasce
il sistema dei prezzi che rende possibile attuare scelte con criteri economici.
Non è possibile costruire una società socialista ad economia
razionale. In una società socialista, dove non esiste mercato, non è possibile
che si origino dei prezzi monetari, non è possibile il calcolo monetario, non è
quindi possibile ottenere un’unità di valutazione per il compimento di azioni
economiche razionali.
Limitandosi all’analisi della produzione, Mises evidenzia
come sia impossibile senza il ricorso a prezzi monetari di mercato compilare
alcuno strumento contabile in grado di analizzare le performances di un impresa, la sua capacità di creare ricchezza
piuttosto che di distruggerla.
Secondo Mises una
delle soluzioni proposte dai sostenitori del socialismo e cioè la costruzione
di un mercato artificiale per i mezzi di produzione mostra ancora come i
socialisti non abbiano compreso la
natura del problema: non può esistere mercato senza capitalismo, i prezzi di
mercato scaturiscono dal comportamento capitalistico dei partecipanti.
L’idea, per esempio, che controllori nominati dallo stato
possano agire simulando i comportamenti dei managers
di un’impresa capitalistica è prova evidente della diversa concezione di
sistema economico che i socialisti hanno rispetto a pensatori “borghesi”.
L’economia non è statica, non si tratta di ripetere operazioni sempre uguali,
il sistema economico è dinamico, in continua evoluzione, i partecipanti
all’attività economica sono continuamente chiamati a prendere decisioni di
convenienza economica.
Se un investimento è più conveniente di un altro, se è bene
differenziare un certo prodotto, se il sistema produttivo è competitivo oppure
inefficiente, se un bene è più conveniente di un altro, tutte queste
valutazioni hanno bisogno di indicatori
attendibili, economicamente significativi.
Il Socialismo, abolendo il mercato, rinuncia ai prezzi e
conseguentemente alla possibilità di un qualsiasi calcolo economico razionale.
In buona sostanza Mises intende criticare la convinzione che
il problema del valore sia destinato a scomparire con la caduta del Capitalismo
e l’avvento del Socialismo.
Egli asserisce che qualsiasi forma di calcolo economico
razionale (anche il tentativo di pianificare razionalmente l’economia) deve
basarsi sui prezzi come indicatori nelle scelte degli individui.
Dal momento che i prezzi sono fenomeni di mercato e che il
Socialismo comporta quanto meno la proprietà collettiva dei mezzi di produzione
con la conseguente scomparsa del mercato dei capitali Mises ne deduce
l’impossibilità del calcolo economico razionale nel Socialismo.
Il dibattito sul calcolo economico nel socialismo.
Sebbene la confutazione Misesiana della possibilità di un
calcolo
economico razionale in un’economia socialista possa apparire
oggi quasi banale, ebbe, all’epoca della sua formulazione, la grande capacità
di stimolare il dibattito e, in un certo senso, di avvicinare gli economisti
socialisti a metodologie d’analisi dove il confronto potesse essere basato
esclusivamente su giudizi di fatto piuttosto che su giudizi di valore.
Secondo Lange: “I
socialisti hanno certamente dei buoni motivi per essere grati al professor
Mises, il grande “advocatus diaboli” della loro causa: è stata infatti la sfida
da lui lanciata che li ha costretti a riconoscere l’importanza di un adeguato
sistema di calcolo economico come guida alla distribuzione delle risorse in
un’economia socialista. Non solo. E’ merito principale di tale sfida se molti
socialisti si sono resi conto della stessa esistenza di questo problema, il merito di aver costretto
i socialisti ad affrontare sistematicamente tale questione spetta interamente
al professor Mises. La sua statua dovrebbe occupare il posto d’onore nel grande
atrio del ministero della socializzazione o del comitato centrale dello stato
socialista.”(Lange, Sulla teoria economica del socialismo, in AaVv , Teoria
economica ed economia socialista, trad. it. Savelli Roma 1965)
Due furono i tipi di reazione all’opera di Mises.
La prima raccolse coloro che ritennero che la perdita di
efficienza, il declino in termini di ricchezza, causati dalla mancanza di uno
strumento di calcolo razionale, non fossero un prezzo troppo alto per la realizzazione
di una società socialista dove la ricchezza sarebbe stata distribuita in
maniera più equa. Evidentemente su questo atteggiamento non possono essere dati
giudizi di fatto.
Il secondo tipo di reazione ritiene valida la critica di
Mises ma la confina al particolare tipo di socialismo criticato. I membri di
questo filone elaborarono modelli di socialismo differenti fondamentalmente
riconducibili a due grandi categorie.
Alla prima appartengono tutte quelle costruzioni che tendono
addirittura ad aumentare il livello di pianificazione, alla seconda quelle che
invece tendono ad inserire elementi di concorrenza all’ interno dell’economia
socialista.
Riconosciuta la necessità del calcolo economico per lo
sviluppo di un’economia razionale, una parte dei pensatori socialisti ritenne
che invece di lasciar determinare i valori necessari per il calcolo alla
concorrenza si sarebbe potuto affidare tale compito all’autorità pianificatrice
che avrebbe usato a tale scopo le tecniche proprie dell’economia matematica.
Pareto, che spesso viene invece citato erroneamente come un
anticipatore di questa proposta, ha dato forse il giudizio più definitivo sulla
sua effettiva realizzabilità. Dopo aver dimostrato come un sistema di equazioni
simultanee possa essere utilizzato per spiegare che cosa determina i prezzi in
un mercato egli infatti aggiunge: “Devesi
poi notare che tale determinazione non ha menomamente per scopo di procedere ad
un calcolo numerico dei prezzi. Facciamo l’ipotesi più favorevole ad un simile
calcolo; supponiamo di aver superato tutte le difficoltà per conoscere i dati
del problema, e che ci siano note tutte le ofelimità di tutte le merci per
ciascun individuo, tutte le circostanze della produzione delle merci, ecc. Tale
ipotesi è già assurda; eppure non basta a rendere praticamente possibile la
soluzione del problema. Abbiamo veduto che nel caso di cento individui e di
settecento merci ci sarebbero 70699 condizioni....;
avremmo dunque
da risolvere un sistema di 70699 equazioni. Ciò praticamente supera la potenza
dell’analisi algebrica e tanto più la supererebbe ove si considerasse il numero
favoloso di equazioni che si avrebbe per un popolo di 40 milioni di individui
per qualche migliaio di merci”.(V.Pareto,1965,
Manuale di economia politica, edz Bizzarri,Roma)
Un altro cospicuo gruppo di economisti, tra cui Lange e
Dickinson, proposero sostanzialmente che per la determinazione dei prezzi
relativi ci si sarebbe, invece, potuti affidare ad un meccanismo
concorrenziale. Tale meccanismo, ben lontano dall’essere identificato con il
mercato, sarebbe consistito in un sistema di fissazione dei prezzi da parte di
un’autorità centrale, in cui il rapporto tra domanda ed offerta sarebbe servito
soltanto come indicazione per l’autorità per decidere se i prezzi in questione
dovessero essere alzati o abbassati.
Senza entrare nel dettaglio, questi approcci e quelli basati
sull’economia matematica appaiono tentativi volti ad usare le stesse armi
dell’economia non socialista contro di essa: il sistema di equazioni walrasiano,
il tatonnement diventano così il
cavallo di battaglia con cui gli economisti socialisti tentano di contrastare
le argomentazioni di Mises.
E’ proprio la sicurezza di aver ormai messo alle strette i
critici del socialismo e della possibilità del calcolo economico nel socialismo
che permette a Lange di affermare che la statua di Mises avrebbe dovuto
trovarsi in tutte le sedi del ministero della socializzazione.
“L’affermazione di
Lange implica una impossibilità: calcolo economico ed economia pianificata sono
inconciliabili. Quindi nella medesima città non è possibile avere la statua del
professor Mises e insieme il ministero della socializzazione” replicò
Hayek.
Hayek : un attacco decisivo.
Chi provveddette ad una critica sistematica e definitiva di
tutti i tentativi di riabilitare il sistema economico socialista fu Friedrick
Von Hayek.
Sebbene Hayek abbia esaminato tute le proposte più
importanti che gli economisti socialisti elaborarono in risposta a Mises,
evidenziandone limiti ed errori, per comprendere la portata della condanna
Hayekiana della possibilità del calcolo economico in un’economia socialista è
necessario ripercorrere l’evoluzione delle sue idee. In particolare, non solo
quelle più propriamente legate allo studio dell’economia pianificata, ma anche
e soprattutto quelle relative al concetto di Equilibrio ed Ordine che meglio
caratterizzano la natura rivoluzionaria del lavoro di Hayek.
Una volta esaminato il percorso intellettuale relativo al
concetto di Equilibrio e di Ordine sarà agevole derivare le critiche
direttamente rivolte alle proposte dei vari Lange, Lerner e Dickinson e
soprattutto comprendere come la critica di Hayek ponga (definitivamente ?) la
parola fine al dibattito, aperto da Mises , sul calcolo economico nel Socialismo.
Come abbiamo visto, era stato possibile ad alcuni economisti
socialisti utilizzare concetti propri della teoria dell’Equilibrio Economico
Generale (la determinazione delle quantità e dei prezzi di equilibrio attraverso sistemi di
equazioni simultanee e il tatonnement)
per dimostrare la praticabilità teorica di un’economia pianificata. E’ proprio
in questo periodo che le riflessioni di Hayek sul concetto di equilibrio
vengono così ad intrecciarsi saldamente con la teoria del mercato, della
concorrenza e della pianificazione e con la teoria del ciclo e del capitale.
Queste riflessioni e la facile strumentalizzazione che della teoria
dell’Equilibrio Economico Generale si era fatta lo indussero a riconsiderare
criticamente il nucleo fondamentale della teoria e quindi il concetto stesso di
equilibrio economico.
Come era stato possibile utilizzare la teoria
dell’equilibrio economico generale per avallare la tesi della possibilità di
costruire un’economia socialista razionale ?
Quali sono i limiti della teoria nella definizione del
concetto di equilibrio ?
Istantaneità e Stazionarietà.
L’approccio teorico che si afferma a partire dall’ultimo
quarto del secolo scorso è quello neoclassico o marginalistico che trova la sua
data di nascita convenzionale intorno al 1870 nelle opere fondamentali di Menger, Jevons e Walras.
Tale approccio ha come comune denominatore il cosiddetto
“individualismo metodologico”.
Gli economisti neoclassici tentano di spiegare il
funzionamento del sistema economico partendo dalle azioni degli individui che
lo compongono. Le azioni individuali rappresentano l’esecuzione di un piano di
azione razionalmente scelto da ciascuno degli individui che appartengono al
sistema. In questo contesto si avrà uno stato di equilibrio quando tutti i
piani di azione saranno compatibili tra loro e realizzabili. Dal momento che in
un sistema economico complesso è impossibile che tutti i piani di azione
individuali siano compatibili e\o realizzabili è necessario un meccanismo di
aggiustamento che assicuri la mutua compatibilità dei piani. La portata
empirica della teoria neoclassica è così funzione dell’esistenza e
dell’efficacia di tale processo di aggiustamento.
La teoria dell’equilibrio economico concorrenziale ritiene
che le variabili di aggiustamento siano rappresentate dai prezzi; sono i prezzi
che modificandosi a seconda degli eccessi di domanda ed offerta guidano e
coordinano i piani di azione degli individui verso il raggiungimento della
compatibilità e dell’equilibrio.
Rimaneva il problema di analizzare la dinamica di
aggiustamento nel tempo. A questo proposito economisti come Walras e Pareto
introdussero il concetto di equilibrio concorrenziale istantaneo in cui il
processo di aggiustamento è caratterizzato da un’elevata rapidità. Altri autori
come Marshall, Wicksell, Pigou
ritennero invece che il processo di aggiustamento necessitasse di tempo “reale”
e di tentativi ed errori. Nel lasso di tempo necessario all’aggiustamento i
dati sarebbero dovuti essere considerati come invariabili, determinando al
termine un equilibrio concorrenziale stazionario.
Ad affermarsi sarà proprio l’approccio stazionarista. In
ogni caso, ciò che permise agli economisti socialisti di impossessarsi e di
piegare questo approccio ai loro fini fu l’eccessivo carattere
deterministico che la scuola neoclassica aveva assunto nel tempo. Entrambi
i due approcci sono strutturati in modo da suggerire la possibilità concreta di
associare ad una certa configurazione dei dati una determinata configurazione
di equilibrio caratterizzata da specifici prezzi e quantità. Il lavoro di
Mises, sebbene non sia caratterizzato da uno spirito così marcatamente
deterministico, pure non riuscirà a caratterizzarsi come sostanzialmente
differente da quello dei suoi predecessori, trovandosi così a giocare il ruolo
di base d’appoggio e di trampolino di lancio per le nuove teorie socialiste.
Hayek si imbatte così in un duplice problema: da un lato il
dover superare l’inadeguatezza empirica della teoria dell’equilibrio
concorrenziale stazionario, dall’altro il dover affrontare i nuovi economisti
socialisti che, grazie ad un’interpretazione eccessivamente deterministica di
tale teoria, difendono la possibilità di un calcolo economico razionale nel
socialismo.
Il superamento di questa empasse
darà vita al cuore della produzione Hayekiana.
Equilibrio, Ordine, Conoscenza e Mercato.
La teoria neoclassica dell’equilibrio stazionario risultava
assai problematica nell’elaborazione di una qualsiasi teoria del ciclo, del
capitale e della moneta. Il nodo principale che questa teoria doveva affrontare
era quello di conciliare il raggiungimento dell’equilibrio nel tempo con
l’altra ipotesi che i dati non subissero modificazioni nel corso del tempo.
Oltre ad implicare l’assenza di mutamenti esogeni (esterni al campo di indagine
della teoria) il raggiungimento dell’equilibrio concorrenziale stazionario
richiedeva anche che le azioni compiute in un determinato periodo non
influenzassero le decisioni, le azioni, le circostanze che sarebbero prevalse
nei periodi successivi. L’economia analizzata diventa così un’economia a
“periodi isolati”. In questi modelli non è possibile però affrontare i problemi
dell’investimento, del risparmio e dell’accumulazione del capitale e neppure
quelli della moneta, del credito e delle attività finanziare; in sintesi non è
possibile alcun tipo di analisi delle scelte intertemporali degli agenti. I
soli aspetti della vita economica che possono essere coerentemente esaminati
sono quelli di un’economia di puri flussi in cui tutta l’attività economica si
riduce alla produzione ed al consumo di servizi e beni di consumo non durevoli.
Già questa riflessione può essere considerata come una prima forte critica non
solo alla teoria stazionaria ma anche ai “nuovi socialisti” e a tutti coloro che
credettero nel carattere deterministico di tale costruzione.
Hayek fu subito consapevole della difficoltà logica e della
scarsa rilevanza empirica di tale teoria e cercò una soluzione alternativa.
Per superare tale ostacolo recuperò la nozione di equilibrio
istantaneo: i piani di azione degli individui sono pluriperiodali e ad un piano
immanente si affiancano tanti piani futuri. Si ha una situazione di equilibrio
istantaneo quando tutti gli interi piani periodali degli individui sono
compatibili.
Nel 1937, in “Economics
and Knowledge”, Hayek asserisce che l’unico modo di dare senso al concetto
di equilibrio è quello di riferirlo ad un determinato istante; tuttavia,
aggiunge Hayek, a portare il sistema in equilibrio è un processo che si
sviluppa nel tempo reale.
Il grande problema che si trova ad affrontare Hayek è adesso
la riconciliazione di un equilibrio istantaneo con l’idea di un processo di
aggiustamento che avviene comunque nel tempo. La soluzione per cui optarono
molti fu l’utilizzo del concetto di stato stazionario (dove però i fenomeni
dinamici non potevano essere analizzati) o alternativamente l’ipotesi di un
processo di aggiustamento puramente virtuale.
Con questi “artifici teorici” si provava a conciliare dati
ed equilibrio, il carattere distintivo di una teoria deterministica.
La risposta che a tale problema dette Hayek, enunciata in “The pure theory of capital” fu che,
sebbene di grande importanza, la teoria dell’equilibrio non costituisce l’unico
oggetto dell’economia bensì rappresenta soltanto un passo verso la comprensione
di tutti i fenomeni dinamici che l’economia caratterizzano. Sbagliano coloro
che non considerano l’equilibrio come un puro strumento intellettuale di per se
stesso privo di qualsiasi rilevanza empirica. Inoltre la teoria dell’equilibrio
è incapace di analizzare compiutamente gli importantissimi processi di
diffusione delle conoscenze e di coordinamento dei piani individuali che paradossalmente della teoria
costituiscono il fondamento implicito, dal momento che questi sono i processi
che conducono il sistema in equilibrio.
Nasce da questa considerazione l’approccio rivoluzionario di
Hayek: dal momento che i processi reali non possono essere studiati con la
teoria economica attuale basata sull’equilibrio bisogna rinunciare a questo
concetto e sostituirlo con un altro.
Relativamente al calcolo economico nel socialismo e al suo
approccio rigorosamente deterministico ciò avrebbe comportato il crollo delle
impalcature su cui poggiavano le idee stesse di pianificazione centralizzata e
di socialismo di mercato, di economia matematica su cui avevano fatto
affidamento gli avversari di Mises.
Hayek introduce quindi il concetto di ordine; l’ordine a differenza dell’equilibrio, può coesistere con
un certo grado di disequilibrio; l’ordine è una struttura relazionale
qualitativa a cui possono corrispondere relazioni quantitative molto diverse
tra loro. L’ordine, infine, viene preservato attraverso un processo di
cambiamento che coinvolge le relazioni quantitative e che fanno adattare
l’ordine alle forze dinamiche a cui è
sottoposto.
Hayek distingue due tipi di ordine: l’ordine spontaneo e l’organizzazione.
L’ordine spontaneo si forma per evoluzione ed è in grado di
perpetuarsi e di autoriprodursi grazie al meccanismo endogeno che ne regola il
funzionamento.
Un’organizzazione è un ordine costruito artificialmente da
una o più persone. Ne consegue che un’organizzazione è un tipo di ordine
relativamente semplice con semplici strutture relazionali.
In un ordine spontaneo il grado di complessità non è
limitato dal grado di comprensione della mente umana e le sue strutture
relazionali non sono direttamente e facilmente comprensibili.
In un’organizzazione ciascun individuo ha un suo ruolo
determinato e ha dei compiti da svolgere mentre un ordine spontaneo consente
agli individui che ne fanno parte di perseguire i propri fini particolari. Se
un’organizzazione può essere facilmente usata per scopi semplici e limitati,
l’ordine spontaneo arriva là dove l’organizzazione non può arrivare.
Riguardo alla sfera economica, l’organizzazione può
rappresentare un modo efficace di cooperazione dell’attività economiche di una
economia tradizionale caratterizzata dalla semplicità e da una definita
gerarchia di obiettivi. In una economia moderna, caratterizzata dalla molteplicità
dei fini individuali e dalla loro frequente mutua incompatibilità, solamente l’ordine
spontaneo-mercato, con il suo meccanismo di prezzi e concorrenza, ha potuto
e può garantire il coordinamento e la cooperazione inconsapevole che permette a
tutti di perseguire il proprio benessere. E’ il mercato che si è affermato e
che si è diffuso in virtù di un processo di selezione spontanea, quasi
“darwiniano”.
Non c’è più spazio per lo “scientismo”, per il “razionalismo
costruttivistico” di Marx e dei socialisti, non c’è più spazio per la
pianificazione economica. Pianificare centralmente l’economia, creare quindi
un’organizzazione economica, presuppone l’individuazione di fini semplici e
limitati in grado di sussistere con l’organizzazione stessa. Ma gli individui hanno fini molteplici e spesso mutualmente
incompatibili. L’unico modo per superare questo ostacolo è quello di privare i
singoli della libertà di perseguire i propri fini e di imporre una gerarchia di
fini compatibili con l’organizzazione. Ma la creazione di un’organizzazione
economica comporta anche una perdita di benessere. In una organizzazione le
conoscenze che possono essere accumulate si riducono necessariamente a quelle
concentrabili nell’organo di controllo preposto alla formulazione del piano. Le
conoscenze di un’economia di mercato invece variano da individuo a individuo,
sono disperse fra milioni di persone diverse, mutano nel tempo e nello spazio e
pertanto è impossibile poterle concentrare o codificare. Ma c’è di più; spesso
le conoscenze sono tacite, gli individui non sanno di possederle, ciò che
spinge i singoli a scoprirle è il meccanismo della concorrenza, è grazie alle
variazioni dei prezzi che gli imprenditori scoprono i differenti modi di
ridurre i costi di produzione, modi che non erano loro noti prima che la
concorrenza li spingesse a ricercarli.
Il mercato concorrenziale è quindi una “procedura di
scoperta”, è un “processo dinamico” che favorisce la diffusione di informazioni. Ecco la soluzione per superare la contraddizione equilibrio-dati
variabili: in un ordine concorrenziale di mercato un certo grado di
disequilibrio è indispensabile per il suo funzionamento, è il disequilibrio che
provoca il cambiamento dei prezzi che segnala agli agenti come modificare i
loro piani di azione e che attiva l’incentivo alla scoperta e alla diffusione
delle informazioni.
Quale critica più
devastante per qualsiasi approccio deterministico?
Alla luce di queste considerazioni immaginare un
pianificatore alle prese con migliaia di equazioni simultanee non può che
suscitare un sorriso compassionevole.
Conclusioni.
Il dibattito sulla
possibilità di costruire un’economia socialista si aprì con Mises e con la sua
dimostrazione della impossibilità di un calcolo economico razionale in
un’economia pianificata che avesse abolito il mercato. Sebbene lo stesso Mises
non avesse mai accettato nè utilizzato alcun rigore deterministico nella
descrizione del processo di calcolo economico, la parola stessa “calcolo”,
l’affermarsi dell’approccio dell’equilibrio economico stazionario e
dell’economia matematica con il loro eccessivo determinismo economico,
permisero a numerosi economisti socialisti di replicare a Mises con le stesse
armi dell’economia neoclassica.
Hayek si inserisce in questo contesto con il suo spirito
rivoluzionario che lo porterà a percorrere una strada parallela ma distante da
quella dell’economia tradizionale neoclassica da cui neanche Mises era riuscito
a distaccarsi. Hayek, nella prefazione a “Socialismo” di Mises, sottolinea la
sua differenza: “Una delle mie differenze
riguarda un passo di Mises dove si tratta di un principio di basilare
importanza filosofica che non mi ha mai lasciato tranquillo.....Mises afferma
che il Liberalismo “considera tutta la cooperazione sociale come una emanazione
dell’utilità razionalmente perseguita...”.L’estremo razionalismo di questo
brano, che come figlio del suo tempo Mises non avrebbe potuto evitare e che
egli forse non abbandonò mai completamente, ora mi pare effettivamente errato.
Non è stata certo la visione razionale dei suoi benefici generali che ha
portato alla propagazione dell’economia di mercato. Mi sembra che la critica
all’insegnamento di Mises consista nel mostrare che noi non abbiamo scelto la
libertà perché conoscevamo i vantaggi che essa ci avrebbe portato: che noi non
abbiamo programmato l’ordine che solo ora abbiamo in parte imparato a capire...
L’uomo lo ha
scelto solo nel senso che egli ha imparato a preferire qualcosa che già
funzionava e attraverso una comprensione maggiore ha potuto migliorarne le
condizioni di funzionamento”.
In realtà l’elaborazione teorica Hayekiana del concetto di
ordine spontaneo di mercato nasce dei suoi studi circa l’equilibrio economico,
si intreccia con il dibattito sul calcolo economico nel socialismo che alla
teoria dell’equilibrio economico stazionario aveva attinto per sopravvivere e,
sancendone la inesistente rilevanza empirica e il distorcente determinismo, colpisce a morte ogni idea che
ancora tentasse di supportare la praticabilità e la desiderabilità di
un’economia pianificata socialista.
Indice.
-Premessa.
-Mises, Marx e il calcolo economico nel socialismo.
-Il dibattito sul calcolo economico nel socialismo.
-Hayek : un attacco decisivo.
-Istantaneità e stazionarietà.
-Equilibrio, Ordine, Conoscenza e Mercato.
-Conclusioni.