Socialismo, Mercato

e

Calcolo Economico

 

 

 

 

 

 

di

 

Andrea Millacci

 

 

 amillacci@hotmail.com

 

 

 

 

 

 

 

 


Premessa

 

 

 

Il Liberalismo sembra aver raggiunto oggi una vittoria assoluta in ogni contesto politico e sociale. Troppo spesso, però, la bandiera liberale viene sventolata con l’unico intento di raggiungere il consenso anche da coloro che mai hanno analizzato le ragioni profonde del Liberalismo. In particolare, coloro che oggi si dicono paladini del libero mercato (salvo poi promulgare leggi o decreti degni del peggior Socialismo reale) dovrebbero ritrovare nel lungo e feroce dibattito tra pensatori socialisti e pensatori liberali le fondamenta e le motivazioni di una scelta di campo senza tentennamenti.

Ogni studente di Economia avrà avuto modo, duranti i suoi studi, di “imbattersi” nella figura temibile e affascinante di Karl Marx.

Studiatolo con la relativa profondità che consente un corso universitario, Marx riesce comunque a colpire per la sua imponente costruzione teorica, che trascende la sfera puramente economica, presentando non solo la desiderabilità, ma anche l’inevitabilità di un nuovo ordine sociale, economico e politico. La nuova società socialista avrebbe avuto come obiettivo il miglioramento della posizione delle classi sociali non proprietarie per mezzo di una ridistribuzione del reddito derivato dalla proprietà.

Questo avrebbe comportato la proprietà collettiva dei mezzi materiali di produzione ed una direzione ed un controllo del loro uso di tipo collettivistico.

Il confronto che mi aspettavo dovesse scaturire, dato lo spirito rivoluzionario delle idee Marxiane, è rimasto però sotto traccia e, salvo un breve accenno al dibattito sul calcolo economico nel socialismo, non ho trovato nessun autore che si ponesse con la stessa autorità e con la stessa profondità di ragionamento di fronte a Marx e al Socialismo.

Conducendo letture personali ho trovato in Ludwig Von Mises e in Fredrick Von Hayek due pensatori degni di questo ruolo.

Se il primo e’ riuscito a sradicare Marx dal piedistallo d’avorio da cui sembrava osservare accigliato tutto il pensiero economico, il secondo, completando l’opera efficacemente iniziata dal suo illustre predecessore, ha prodotto quella che, secondo me, è la più devastante e completa critica al pensiero economico socialista.

 

Questo lavoro vorrebbe appunto descrivere come Hayek riesca in tutto ciò, riprendendo e sviluppando il lavoro di Mises, per chiudere il dibattito sul calcolo economico nel socialismo con una costruzione teorica assolutamente innovativa.

Dal momento che questo elaborato vuole trattare l’evoluzione del pensiero economico, tenterà di soffermarsi quasi esclusivamente su questioni che quest’ultimo interessano, ricorrendo a considerazioni extraeconomiche solo quando assolutamente necessario, ma consapevole del fatto che per confutare il socialismo marxiano occorre usare, qualche volta, le stesse armi di Marx, armi che spaziano anche nel campo della sociologia e della filosofia politica.

La prima parte del lavoro sarà dedicata a Von Mises e specificatamente alla sua dimostrazione della impossibilità del calcolo economico in una economia socialista. Particolare rilievo assumerà il suo approccio “scientifico” dal quale scaturirà la reazione di quei pensatori, come Lange e Lerner, che proveranno a confutare le sue posizioni.

La seconda parte, infine, si soffermerà in maniera più dettagliata sul contributo di Von Hayek destinato una volta per tutte a sancire l’inconciliabilità tra Socialismo e Mercato e, di fatto, l’impossibilità del “calcolo economico” in un’economia socialista.

 

 

 

 

 

 

 


Mises, Marx e il calcolo economico nel socialismo.

 

 

 

“...... Mises si rese sempre più conto che a separarlo dai suoi critici era il suo completamente diverso approccio intellettuale nei confronti dei problemi sociali ed economici...Per convincerli egli avrebbe dovuto fare comprendere loro la necessità di una metodologia del tutto diversa.”

Così scriveva Hayek nella sua presentazione a “Socialismo” di Von Mises.

Davvero il primo grande sforzo di Von Mises fu quello di portare, finalmente, i suoi avversari su di un comune campo di battaglia, per confrontarsi con loro seguendo regole metodologiche comuni.

Dal momento in cui Marx ed Engels anticipano l’avvento di una nuova società ristrutturata secondo linee razionali e basata sul Socialismo, di questa nuova società non descrissero le strutture operative, si limitarono a dire quello che non sarebbe stata, niente di concreto su come il nuovo ordine economico e sociale avrebbe a tutti gli effetti funzionato.

Anzi, Marx ed Engels bollarono come “socialisti utopisti” tutti coloro che, sulla scia di Saint Simon e Fourier, provarono a teorizzare e ad elaborare le norme di funzionamento sociali e politiche della nuova società socialista.

I due rivendicarono la necessità di un approccio “scientifico”, l’unico in grado di contribuire efficacemente allo storico cambio di consegne tra il Capitalismo e il Socialismo.

Per Marx ed Engels l’approccio “scientifico” diventa l’arma contro ogni critica, un baluardo inespugnabile che di fatto blocca ogni possibile confronto con gli oppositori e ogni possibile sviluppo di una teoria economica socialista in grado di dimostrare la fattibilità economica della nuova società.

L’approccio “scientifico” nasce dalla formazione storicista di Marx ed Engels; il nucleo essenziale di questa scuola era costituito dall’idea che le leggi dell’economia potessero essere individuate solo applicando al materiale della storia i metodi delle scienze naturali. L’approccio metodologico più efficace era, secondo gli storicisti, un approccio interdiscilplinare in grado di fondere insieme psicologia, sociologia, filosofia ed economia.

Tale approccio delineò le tre direttici del baluardo prima Marxiano e poi Marxista:

 

1) La logica non è valida per tutta l’umanità e per tutte le epoche, il pensiero viene determinato dalla classe a cui appartengono coloro che pensano (“La scienza esiste nella testa degli scienziati e questi sono un prodotto della società. Non possono uscirne o andare al di là di essa” scriveva Kautsky nel suo libro “Die Soziale Revolution” del 1902).

 

2) Lo sviluppo dialettico avrebbe portato inevitabilmente al Socialismo in quanto lo scopo di tutta la storia consiste nella socializzazione dei mezzi di produzione.

 

3) Non occorre formulare una precisa proposta per la costruzione della nuova società socialista data la inevitabilità dell’avvento di essa.

 

E’ facile comprendere come Marx , Engels ed i loro successori potessero facilmente catalogare come “borghese” ogni voce si levasse a contestare l’assoluta mancanza di una teoria economica che potesse supportare la capacità di sopravvivenza di una società socialista.

Mises fu il primo a levare la sua voce contro questo “tabù”. Il suo primo grande contributo fu proprio quello di infrangere la cortina di ferro che proteggeva il Socialismo e di sferrare un durissimo attacco alla razionalità di un’economia socialista.

 

L’azione razionale, per Mises, ha come unico fine il maggior piacere dell’agente, la necessità di uscire da una situazione di insoddisfazione.

Ogni azione razionale è poi un’azione che l’agente affronta analizzando il tempo, il lavoro, le risorse materiali necessarie al suo compimento.

L’agente si trova così a dover “soddisfare diverse insoddisfazioni” avendo a disposizione risorse limitate, dovrà decidere quale azione compiere per prima, dovrà altresì considerare la limitatezza delle sue risorse per distribuirle “efficacemente” tra le varie azioni razionali.

Ogni azione razionale, pertanto, origina un’attività economica, allo stesso tempo Mises può dire che ogni attività economica è anche razionale.

In quest’ottica un’attività razionale è costituita da azioni di scambio vere e proprie: tra il raggiungimento della soddisfazione e le risorse che un’agente impiega nel raggiungerla, tra le risorse che possiede e quelle che può procurarsi per il suo scopo.

Nell’esecuzione di questi atti di scambio l’individuo compie delle valutazioni: quale soddisfazione ricercare per prima, quante risorse dedicare a tale scopo.

Per compiere queste valutazioni ha bisogno di un’unità di valutazione omogenea per le varie risorse. Tale unità di valutazione, necessaria al calcolo economico, è, secondo Mises, il valore oggettivo di scambio.

Ciò porta ad un triplice vantaggio:

 

1) Il calcolo viene basato sulle valutazioni di tutti i partecipanti agli scambi.

 

2) Fornisce un controllo sulla convenienza di un determinato impiego delle risorse.

 

3) Permette la presenza di una sola unità di valutazione.

 

In un’economia monetaria tale unità di valutazione è il prezzo monetario.

Se in una società primitiva (o in una società più evoluta ma limitatamente a bene di consumo elementari) il calcolo economico basato sul prezzo monetario può essere sostituito dal calcolo in natura, in un’economia più sviluppata, con la presenza di beni di consumo e di beni di ordine superiore il calcolo economico è possibile solo con l’aiuto dl prezzo monetario.

In una società capitalistica, dove vige la proprietà privata dei mezzi di produzione, la scala dei valori è il frutto delle azioni indipendenti di ogni membro della società, il suo duplice ruolo di produttore e di consumatore assicura un comportamento economico e razionale dal quale nasce il sistema dei prezzi che rende possibile attuare scelte con criteri economici.

Non è possibile costruire una società socialista ad economia razionale. In una società socialista, dove non esiste mercato, non è possibile che si origino dei prezzi monetari, non è possibile il calcolo monetario, non è quindi possibile ottenere un’unità di valutazione per il compimento di azioni economiche razionali.

 

Limitandosi all’analisi della produzione, Mises evidenzia come sia impossibile senza il ricorso a prezzi monetari di mercato compilare alcuno strumento contabile in grado di analizzare le performances di un impresa, la sua capacità di creare ricchezza piuttosto che di distruggerla.

 Secondo Mises una delle soluzioni proposte dai sostenitori del socialismo e cioè la costruzione di un mercato artificiale per i mezzi di produzione mostra ancora come i socialisti  non abbiano compreso la natura del problema: non può esistere mercato senza capitalismo, i prezzi di mercato scaturiscono dal comportamento capitalistico dei partecipanti.

L’idea, per esempio, che controllori nominati dallo stato possano agire simulando i comportamenti dei managers di un’impresa capitalistica è prova evidente della diversa concezione di sistema economico che i socialisti hanno rispetto a pensatori “borghesi”. L’economia non è statica, non si tratta di ripetere operazioni sempre uguali, il sistema economico è dinamico, in continua evoluzione, i partecipanti all’attività economica sono continuamente chiamati a prendere decisioni di convenienza economica.

Se un investimento è più conveniente di un altro, se è bene differenziare un certo prodotto, se il sistema produttivo è competitivo oppure inefficiente, se un bene è più conveniente di un altro, tutte queste valutazioni  hanno bisogno di indicatori attendibili, economicamente significativi.

Il Socialismo, abolendo il mercato, rinuncia ai prezzi e conseguentemente alla possibilità di un qualsiasi calcolo economico razionale.

In buona sostanza Mises intende criticare la convinzione che il problema del valore sia destinato a scomparire con la caduta del Capitalismo e l’avvento del Socialismo.

Egli asserisce che qualsiasi forma di calcolo economico razionale (anche il tentativo di pianificare razionalmente l’economia) deve basarsi sui prezzi come indicatori nelle scelte degli individui.

Dal momento che i prezzi sono fenomeni di mercato e che il Socialismo comporta quanto meno la proprietà collettiva dei mezzi di produzione con la conseguente scomparsa del mercato dei capitali Mises ne deduce l’impossibilità del calcolo economico razionale nel Socialismo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il dibattito sul calcolo economico nel socialismo.

 

 

 

Sebbene la confutazione Misesiana della possibilità di un calcolo

economico razionale in un’economia socialista possa apparire oggi quasi banale, ebbe, all’epoca della sua formulazione, la grande capacità di stimolare il dibattito e, in un certo senso, di avvicinare gli economisti socialisti a metodologie d’analisi dove il confronto potesse essere basato esclusivamente su giudizi di fatto piuttosto che su giudizi di valore.

Secondo Lange: “I socialisti hanno certamente dei buoni motivi per essere grati al professor Mises, il grande “advocatus diaboli” della loro causa: è stata infatti la sfida da lui lanciata che li ha costretti a riconoscere l’importanza di un adeguato sistema di calcolo economico come guida alla distribuzione delle risorse in un’economia socialista. Non solo. E’ merito principale di tale sfida se molti socialisti si sono resi conto della stessa esistenza di  questo problema, il merito di aver costretto i socialisti ad affrontare sistematicamente tale questione spetta interamente al professor Mises. La sua statua dovrebbe occupare il posto d’onore nel grande atrio del ministero della socializzazione o del comitato centrale dello stato socialista.”(Lange, Sulla teoria economica del socialismo, in AaVv , Teoria economica ed economia socialista, trad. it. Savelli Roma 1965)

Due furono i tipi di reazione all’opera di Mises.

 

La prima raccolse coloro che ritennero che la perdita di efficienza, il declino in termini di ricchezza, causati dalla mancanza di uno strumento di calcolo razionale, non fossero un prezzo troppo alto per la realizzazione di una società socialista dove la ricchezza sarebbe stata distribuita in maniera più equa. Evidentemente su questo atteggiamento non possono essere dati giudizi di fatto.

 

 

Il secondo tipo di reazione ritiene valida la critica di Mises ma la confina al particolare tipo di socialismo criticato. I membri di questo filone elaborarono modelli di socialismo differenti fondamentalmente riconducibili a due grandi categorie.

 

Alla prima appartengono tutte quelle costruzioni che tendono addirittura ad aumentare il livello di pianificazione, alla seconda quelle che invece tendono ad inserire elementi di concorrenza all’ interno dell’economia socialista.

 

Riconosciuta la necessità del calcolo economico per lo sviluppo di un’economia razionale, una parte dei pensatori socialisti ritenne che invece di lasciar determinare i valori necessari per il calcolo alla concorrenza si sarebbe potuto affidare tale compito all’autorità pianificatrice che avrebbe usato a tale scopo le tecniche proprie dell’economia matematica.

Pareto, che spesso viene invece citato erroneamente come un anticipatore di questa proposta, ha dato forse il giudizio più definitivo sulla sua effettiva realizzabilità. Dopo aver dimostrato come un sistema di equazioni simultanee possa essere utilizzato per spiegare che cosa determina i prezzi in un mercato egli infatti aggiunge: “Devesi poi notare che tale determinazione non ha menomamente per scopo di procedere ad un calcolo numerico dei prezzi. Facciamo l’ipotesi più favorevole ad un simile calcolo; supponiamo di aver superato tutte le difficoltà per conoscere i dati del problema, e che ci siano note tutte le ofelimità di tutte le merci per ciascun individuo, tutte le circostanze della produzione delle merci, ecc. Tale ipotesi è già assurda; eppure non basta a rendere praticamente possibile la soluzione del problema. Abbiamo veduto che nel caso di cento individui e di settecento merci ci sarebbero 70699 condizioni....;

avremmo dunque da risolvere un sistema di 70699 equazioni. Ciò praticamente supera la potenza dell’analisi algebrica e tanto più la supererebbe ove si considerasse il numero favoloso di equazioni che si avrebbe per un popolo di 40 milioni di individui per qualche migliaio di merci”.(V.Pareto,1965, Manuale di economia politica, edz Bizzarri,Roma)

Un altro cospicuo gruppo di economisti, tra cui Lange e Dickinson, proposero sostanzialmente che per la determinazione dei prezzi relativi ci si sarebbe, invece, potuti affidare ad un meccanismo concorrenziale. Tale meccanismo, ben lontano dall’essere identificato con il mercato, sarebbe consistito in un sistema di fissazione dei prezzi da parte di un’autorità centrale, in cui il rapporto tra domanda ed offerta sarebbe servito soltanto come indicazione per l’autorità per decidere se i prezzi in questione dovessero essere alzati o abbassati.

Senza entrare nel dettaglio, questi approcci e quelli basati sull’economia matematica appaiono tentativi volti ad usare le stesse armi dell’economia non socialista contro di essa: il sistema di equazioni walrasiano, il tatonnement diventano così il cavallo di battaglia con cui gli economisti socialisti tentano di contrastare le argomentazioni di Mises.

E’ proprio la sicurezza di aver ormai messo alle strette i critici del socialismo e della possibilità del calcolo economico nel socialismo che permette a Lange di affermare che la statua di Mises avrebbe dovuto trovarsi in tutte le sedi del ministero della socializzazione.

L’affermazione di Lange implica una impossibilità: calcolo economico ed economia pianificata sono inconciliabili. Quindi nella medesima città non è possibile avere la statua del professor Mises e insieme il ministero della socializzazione” replicò Hayek.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Hayek : un attacco decisivo.

 

 

 

Chi provveddette ad una critica sistematica e definitiva di tutti i tentativi di riabilitare il sistema economico socialista fu Friedrick Von Hayek.

Sebbene Hayek abbia esaminato tute le proposte più importanti che gli economisti socialisti elaborarono in risposta a Mises, evidenziandone limiti ed errori, per comprendere la portata della condanna Hayekiana della possibilità del calcolo economico in un’economia socialista è necessario ripercorrere l’evoluzione delle sue idee. In particolare, non solo quelle più propriamente legate allo studio dell’economia pianificata, ma anche e soprattutto quelle relative al concetto di Equilibrio ed Ordine che meglio caratterizzano la natura rivoluzionaria del lavoro di Hayek.

Una volta esaminato il percorso intellettuale relativo al concetto di Equilibrio e di Ordine sarà agevole derivare le critiche direttamente rivolte alle proposte dei vari Lange, Lerner e Dickinson e soprattutto comprendere come la critica di Hayek ponga (definitivamente ?) la parola fine al dibattito, aperto da Mises , sul calcolo economico nel Socialismo.

 

Come abbiamo visto, era stato possibile ad alcuni economisti socialisti utilizzare concetti propri della teoria dell’Equilibrio Economico Generale (la determinazione delle quantità e dei prezzi  di equilibrio attraverso sistemi di equazioni simultanee e il tatonnement) per dimostrare la praticabilità teorica di un’economia pianificata. E’ proprio in questo periodo che le riflessioni di Hayek sul concetto di equilibrio vengono così ad intrecciarsi saldamente con la teoria del mercato, della concorrenza e della pianificazione e con la teoria del ciclo e del capitale. Queste riflessioni e la facile strumentalizzazione che della teoria dell’Equilibrio Economico Generale si era fatta lo indussero a riconsiderare criticamente il nucleo fondamentale della teoria e quindi il concetto stesso di equilibrio economico.

Come era stato possibile utilizzare la teoria dell’equilibrio economico generale per avallare la tesi della possibilità di costruire un’economia socialista razionale ?

Quali sono i limiti della teoria nella definizione del concetto di equilibrio ?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Istantaneità e Stazionarietà.

 

 

 

L’approccio teorico che si afferma a partire dall’ultimo quarto del secolo scorso è quello neoclassico o marginalistico che trova la sua data di nascita convenzionale intorno al 1870 nelle opere fondamentali di Menger, Jevons e Walras.

Tale approccio ha come comune denominatore il cosiddetto “individualismo metodologico”.

Gli economisti neoclassici tentano di spiegare il funzionamento del sistema economico partendo dalle azioni degli individui che lo compongono. Le azioni individuali rappresentano l’esecuzione di un piano di azione razionalmente scelto da ciascuno degli individui che appartengono al sistema. In questo contesto si avrà uno stato di equilibrio quando tutti i piani di azione saranno compatibili tra loro e realizzabili. Dal momento che in un sistema economico complesso è impossibile che tutti i piani di azione individuali siano compatibili e\o realizzabili è necessario un meccanismo di aggiustamento che assicuri la mutua compatibilità dei piani. La portata empirica della teoria neoclassica è così funzione dell’esistenza e dell’efficacia di tale processo di aggiustamento.

La teoria dell’equilibrio economico concorrenziale ritiene che le variabili di aggiustamento siano rappresentate dai prezzi; sono i prezzi che modificandosi a seconda degli eccessi di domanda ed offerta guidano e coordinano i piani di azione degli individui verso il raggiungimento della compatibilità e dell’equilibrio.

Rimaneva il problema di analizzare la dinamica di aggiustamento nel tempo. A questo proposito economisti come Walras e Pareto introdussero il concetto di equilibrio concorrenziale istantaneo in cui il processo di aggiustamento è caratterizzato da un’elevata rapidità. Altri autori come Marshall, Wicksell, Pigou ritennero invece che il processo di aggiustamento necessitasse di tempo “reale” e di tentativi ed errori. Nel lasso di tempo necessario all’aggiustamento i dati sarebbero dovuti essere considerati come invariabili, determinando al termine un equilibrio concorrenziale stazionario.

Ad affermarsi sarà proprio l’approccio stazionarista. In ogni caso, ciò che permise agli economisti socialisti di impossessarsi e di piegare questo approccio ai loro fini fu l’eccessivo carattere deterministico che la scuola neoclassica aveva assunto nel tempo. Entrambi i due approcci sono strutturati in modo da suggerire la possibilità concreta di associare ad una certa configurazione dei dati una determinata configurazione di equilibrio caratterizzata da specifici prezzi e quantità. Il lavoro di Mises, sebbene non sia caratterizzato da uno spirito così marcatamente deterministico, pure non riuscirà a caratterizzarsi come sostanzialmente differente da quello dei suoi predecessori, trovandosi così a giocare il ruolo di base d’appoggio e di trampolino di lancio per le nuove teorie socialiste.

Hayek si imbatte così in un duplice problema: da un lato il dover superare l’inadeguatezza empirica della teoria dell’equilibrio concorrenziale stazionario, dall’altro il dover affrontare i nuovi economisti socialisti che, grazie ad un’interpretazione eccessivamente deterministica di tale teoria, difendono la possibilità di un calcolo economico razionale nel socialismo.

Il superamento di questa empasse darà vita al cuore della produzione Hayekiana.

Equilibrio, Ordine, Conoscenza e Mercato.

 

 

 

La teoria neoclassica dell’equilibrio stazionario risultava assai problematica nell’elaborazione di una qualsiasi teoria del ciclo, del capitale e della moneta. Il nodo principale che questa teoria doveva affrontare era quello di conciliare il raggiungimento dell’equilibrio nel tempo con l’altra ipotesi che i dati non subissero modificazioni nel corso del tempo. Oltre ad implicare l’assenza di mutamenti esogeni (esterni al campo di indagine della teoria) il raggiungimento dell’equilibrio concorrenziale stazionario richiedeva anche che le azioni compiute in un determinato periodo non influenzassero le decisioni, le azioni, le circostanze che sarebbero prevalse nei periodi successivi. L’economia analizzata diventa così un’economia a “periodi isolati”. In questi modelli non è possibile però affrontare i problemi dell’investimento, del risparmio e dell’accumulazione del capitale e neppure quelli della moneta, del credito e delle attività finanziare; in sintesi non è possibile alcun tipo di analisi delle scelte intertemporali degli agenti. I soli aspetti della vita economica che possono essere coerentemente esaminati sono quelli di un’economia di puri flussi in cui tutta l’attività economica si riduce alla produzione ed al consumo di servizi e beni di consumo non durevoli. Già questa riflessione può essere considerata come una prima forte critica non solo alla teoria stazionaria ma anche ai “nuovi socialisti” e a tutti coloro che credettero nel carattere deterministico di tale costruzione.

Hayek fu subito consapevole della difficoltà logica e della scarsa rilevanza empirica di tale teoria e cercò una soluzione alternativa.

Per superare tale ostacolo recuperò la nozione di equilibrio istantaneo: i piani di azione degli individui sono pluriperiodali e ad un piano immanente si affiancano tanti piani futuri. Si ha una situazione di equilibrio istantaneo quando tutti gli interi piani periodali degli individui sono compatibili.

Nel 1937, in “Economics and Knowledge”, Hayek asserisce che l’unico modo di dare senso al concetto di equilibrio è quello di riferirlo ad un determinato istante; tuttavia, aggiunge Hayek, a portare il sistema in equilibrio è un processo che si sviluppa nel tempo reale.

Il grande problema che si trova ad affrontare Hayek è adesso la riconciliazione di un equilibrio istantaneo con l’idea di un processo di aggiustamento che avviene comunque nel tempo. La soluzione per cui optarono molti fu l’utilizzo del concetto di stato stazionario (dove però i fenomeni dinamici non potevano essere analizzati) o alternativamente l’ipotesi di un processo di aggiustamento puramente virtuale.

Con questi “artifici teorici” si provava a conciliare dati ed equilibrio, il carattere distintivo di una teoria deterministica.

La risposta che a tale problema dette Hayek, enunciata in “The pure theory of capital” fu che, sebbene di grande importanza, la teoria dell’equilibrio non costituisce l’unico oggetto dell’economia bensì rappresenta soltanto un passo verso la comprensione di tutti i fenomeni dinamici che l’economia caratterizzano. Sbagliano coloro che non considerano l’equilibrio come un puro strumento intellettuale di per se stesso privo di qualsiasi rilevanza empirica. Inoltre la teoria dell’equilibrio è incapace di analizzare compiutamente gli importantissimi processi di diffusione delle conoscenze e di coordinamento dei piani individuali  che paradossalmente della teoria costituiscono il fondamento implicito, dal momento che questi sono i processi che conducono il sistema in equilibrio.

Nasce da questa considerazione l’approccio rivoluzionario di Hayek: dal momento che i processi reali non possono essere studiati con la teoria economica attuale basata sull’equilibrio bisogna rinunciare a questo concetto e sostituirlo con un altro.

Relativamente al calcolo economico nel socialismo e al suo approccio rigorosamente deterministico ciò avrebbe comportato il crollo delle impalcature su cui poggiavano le idee stesse di pianificazione centralizzata e di socialismo di mercato, di economia matematica su cui avevano fatto affidamento gli avversari di Mises.

Hayek introduce quindi il concetto di ordine; l’ordine a differenza dell’equilibrio, può coesistere con un certo grado di disequilibrio; l’ordine è una struttura relazionale qualitativa a cui possono corrispondere relazioni quantitative molto diverse tra loro. L’ordine, infine, viene preservato attraverso un processo di cambiamento che coinvolge le relazioni quantitative e che fanno adattare l’ordine  alle forze dinamiche a cui è sottoposto.

Hayek distingue due tipi di ordine: l’ordine spontaneo e l’organizzazione.

L’ordine spontaneo si forma per evoluzione ed è in grado di perpetuarsi e di autoriprodursi grazie al meccanismo endogeno che ne regola il funzionamento.

Un’organizzazione è un ordine costruito artificialmente da una o più persone. Ne consegue che un’organizzazione è un tipo di ordine relativamente semplice con semplici strutture relazionali.

In un ordine spontaneo il grado di complessità non è limitato dal grado di comprensione della mente umana e le sue strutture relazionali non sono direttamente e facilmente comprensibili.

In un’organizzazione ciascun individuo ha un suo ruolo determinato e ha dei compiti da svolgere mentre un ordine spontaneo consente agli individui che ne fanno parte di perseguire i propri fini particolari. Se un’organizzazione può essere facilmente usata per scopi semplici e limitati, l’ordine spontaneo arriva là dove l’organizzazione non può arrivare.

Riguardo alla sfera economica, l’organizzazione può rappresentare un modo efficace di cooperazione dell’attività economiche di una economia tradizionale caratterizzata dalla semplicità e da una definita gerarchia di obiettivi. In una economia moderna, caratterizzata dalla molteplicità dei fini individuali e dalla loro frequente mutua incompatibilità, solamente l’ordine spontaneo-mercato, con il suo meccanismo di prezzi e concorrenza, ha potuto e può garantire il coordinamento e la cooperazione inconsapevole che permette a tutti di perseguire il proprio benessere. E’ il mercato che si è affermato e che si è diffuso in virtù di un processo di selezione spontanea, quasi “darwiniano”.

Non c’è più spazio per lo “scientismo”, per il “razionalismo costruttivistico” di Marx e dei socialisti, non c’è più spazio per la pianificazione economica. Pianificare centralmente l’economia, creare quindi un’organizzazione economica, presuppone l’individuazione di fini semplici e limitati in grado di sussistere con l’organizzazione stessa. Ma gli individui hanno fini molteplici e spesso mutualmente incompatibili. L’unico modo per superare questo ostacolo è quello di privare i singoli della libertà di perseguire i propri fini e di imporre una gerarchia di fini compatibili con l’organizzazione. Ma la creazione di un’organizzazione economica comporta anche una perdita di benessere. In una organizzazione le conoscenze che possono essere accumulate si riducono necessariamente a quelle concentrabili nell’organo di controllo preposto alla formulazione del piano. Le conoscenze di un’economia di mercato invece variano da individuo a individuo, sono disperse fra milioni di persone diverse, mutano nel tempo e nello spazio e pertanto è impossibile poterle concentrare o codificare. Ma c’è di più; spesso le conoscenze sono tacite, gli individui non sanno di possederle, ciò che spinge i singoli a scoprirle è il meccanismo della concorrenza, è grazie alle variazioni dei prezzi che gli imprenditori scoprono i differenti modi di ridurre i costi di produzione, modi che non erano loro noti prima che la concorrenza li spingesse a ricercarli.

Il mercato concorrenziale è quindi una “procedura di scoperta”, è un “processo dinamico” che favorisce la diffusione di informazioni. Ecco la soluzione per superare la contraddizione equilibrio-dati variabili: in un ordine concorrenziale di mercato un certo grado di disequilibrio è indispensabile per il suo funzionamento, è il disequilibrio che provoca il cambiamento dei prezzi che segnala agli agenti come modificare i loro piani di azione e che attiva l’incentivo alla scoperta e alla diffusione delle informazioni.

 

 

Quale critica più devastante per qualsiasi approccio deterministico?

Alla luce di queste considerazioni immaginare un pianificatore alle prese con migliaia di equazioni simultanee non può che suscitare un sorriso compassionevole.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Conclusioni.

 

 

 

Il dibattito sulla possibilità di costruire un’economia socialista si aprì con Mises e con la sua dimostrazione della impossibilità di un calcolo economico razionale in un’economia pianificata che avesse abolito il mercato. Sebbene lo stesso Mises non avesse mai accettato nè utilizzato alcun rigore deterministico nella descrizione del processo di calcolo economico, la parola stessa “calcolo”, l’affermarsi dell’approccio dell’equilibrio economico stazionario e dell’economia matematica con il loro eccessivo determinismo economico, permisero a numerosi economisti socialisti di replicare a Mises con le stesse armi dell’economia neoclassica.

Hayek si inserisce in questo contesto con il suo spirito rivoluzionario che lo porterà a percorrere una strada parallela ma distante da quella dell’economia tradizionale neoclassica da cui neanche Mises era riuscito a distaccarsi. Hayek, nella prefazione a “Socialismo” di Mises, sottolinea la sua differenza: “Una delle mie differenze riguarda un passo di Mises dove si tratta di un principio di basilare importanza filosofica che non mi ha mai lasciato tranquillo.....Mises afferma che il Liberalismo “considera tutta la cooperazione sociale come una emanazione dell’utilità razionalmente perseguita...”.L’estremo razionalismo di questo brano, che come figlio del suo tempo Mises non avrebbe potuto evitare e che egli forse non abbandonò mai completamente, ora mi pare effettivamente errato. Non è stata certo la visione razionale dei suoi benefici generali che ha portato alla propagazione dell’economia di mercato. Mi sembra che la critica all’insegnamento di Mises consista nel mostrare che noi non abbiamo scelto la libertà perché conoscevamo i vantaggi che essa ci avrebbe portato: che noi non abbiamo programmato l’ordine che solo ora abbiamo in parte imparato a capire...

L’uomo lo ha scelto solo nel senso che egli ha imparato a preferire qualcosa che già funzionava e attraverso una comprensione maggiore ha potuto migliorarne le condizioni di funzionamento”.

In realtà l’elaborazione teorica Hayekiana del concetto di ordine spontaneo di mercato nasce dei suoi studi circa l’equilibrio economico, si intreccia con il dibattito sul calcolo economico nel socialismo che alla teoria dell’equilibrio economico stazionario aveva attinto per sopravvivere e, sancendone la inesistente rilevanza empirica e il distorcente  determinismo, colpisce a morte ogni idea che ancora tentasse di supportare la praticabilità e la desiderabilità di un’economia pianificata socialista.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Indice.

 

 

-Premessa.                                                                                  

 

-Mises, Marx e il calcolo economico nel socialismo.                   

 

-Il dibattito sul calcolo economico nel socialismo.                       

 

-Hayek : un attacco decisivo.                                                       

 

-Istantaneità e stazionarietà.                                                         

 

-Equilibrio, Ordine, Conoscenza e Mercato.                                  

 

-Conclusioni.