MIME-Version: 1.0 Content-Location: file:///C:/2D795581/PelandaGiornale12-9-2004Ilgovernodellastoria.htm Content-Transfer-Encoding: quoted-printable Content-Type: text/html; charset="us-ascii" IL governo della storia

 

 

IL governo della storia

 

Di Carlo Pelanda (12-9-2004)

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Il ra= ggio della Guerra contro il terrore, come definito dall’Amministrazione Bush dopo l’attacco di tre anni fa, non fu cali= brato per combattere un semplice gruppo di criminali (Dottrina Clinton), ma per difendere in modo attivo la fiducia nella stabilità del siste= ma globale. Tale scelta fu perfettamente proporzionale ad= una minaccia che aveva il potenziale di dare una svolta catastrofica alla stori= a. E la conseguente conduzione della guerra nei tre anni passati ha già prodotto una vittoria preliminare che anticipa quella finale: è ancora l’Occidente, noi e non altri, a governare la storia.

Il pr= evalere nei media, con poche eccezioni tra cui queste pagine, = del riduzionismo analitico ed ideologico tipici della sinistra e del moderatismo passivo, ha dato l’impressione che la reazione statunitense all’attacco fos= se esagerata, imperiale, una guerra solo americana o “bushista”. Per questo va ribadita la verità – = almeno per l’aspetto tecnico che chi scrive pensa di conoscere a fondo ̵= 1; anche per capire di che tipo di guerra si tratti e le soluzioni evolutive c= he richiede dopo tre anni di apprendimento. Perché<= /span> Al Qaeda attaccò? Puntava ad eccitare i = tanti gruppi della nuova insorgenza fondamentalista islamica e del nazionalismo arabo, mostrando la capacità di colpire = il cuore dell’Occidente, per unificarli sotto il suo comando e renderli massa critica capace di rovesciare come birilli i regimi dell’area musulmana e di costituire un grande califfato, nuova superpotenza mondiale demografica, petrolifera e nucleare. E per riusc= irci doveva anche dissuadere gli Usa dal tentare di fermarli. Quindi l’Amministrazione Bush si trovò di fronte al problema di: (a) limitare tale fenomeno di eccitazione mobilitante; (b) ripristinare la credibilità della sua determinazione nel mantenere l’ordine mondiale – indebolita dal mancato presid= io durante l’era Clinton -  per evitare una profezia pessimisti= ca nel mercato che avrebbe portato ad una depressione economica planetaria; (c) di rassicurare i leader islamici moderati affinché non cedessero al fondamentalismo; (d) di contenere i riverberi della n= uova insorgenza islamica affinché non amplificassero l’aggressivit&= agrave; di vecchi nemici quali l’Iran, l’Iraq, la Corea del Nord, Libi= a, Siria, ecc., portando alla fusione di un fronte capace di molteplici linee di atta= cco in diverse aree; (e) tra cui quello nucleare o biochimico.

Per c= oprire tutti questi problemi di potenziale destabilizzazione g= lobale fu necessario concepire un piano di riordinamento che lo fosse altrettanto.= Per tale motivo la Guerra contro il terrore è il nome mediatico di un’azione “ordinativa” a r= aggio totale contro: (1) qualsiasi gruppo nel pianeta che ricorra a mezzi terroristici; (2) qualsiasi Stato che anche indirettamente li aiuti; (c) e = che sviluppi armamenti di distruzione di massa senza dare garanzie di non aggre= ssività. Con una impostazione preventiva perché l’eventualità di un colpo nucleare o biochimico richiede l’agire prima e non dopo. E con una postura offen= siva perché i nuovi nemici non sono sensibili alla dissuasione e consegue= nte possibilità di negoziato diplomatico, come invece, per esempio, lo fu L’URSS. Tale dottrina dota di significato strategico le azioni condotte negli ultimi tre anni e mostra la connessione tecnica tra cambio di regime in Iraq ed interdizione del terrorismo. Ed è stata efficace perché ha mantenuto sotto la soglia di pericolo l’effetto di eccitazione cercato da Al Qaed= a, convinto la Libia ha rinunciare al suo programma nucleare, ecc. Appunto, stiamo vincendo.

Ma un linguaggio di guerra così ampio, pur tecnicamente corretto, ha prodotto molti effetti controproducenti. I costi stanno mettendo in seria difficoltà il bilancio Usa perché al= tri Stati non li condividono. E non lo fanno, per esempio Francia, Cina e, fino= a qualche giorno fa, la R= ussia, perché temono che la guerra ordinativa p= orti ad un potere americano globale non bilanciabile più di quanto abbiano paura dell’instabilità. Ma il problema maggiore è stato creato dalla difficoltà di far capire alle opinioni pubbliche occidentali la necessità di un’azione ordinativa così ampia. In effetti fa riferimento ad = una visione tecnica di complessità superiore alle conoscenze mediamente disponibili e ciò ha generato ondate di dissenso e conseguenze polit= iche che hanno frammentato l’Occidente. Quindi = la priorità dell’immediato futuro è quella di riconnettere= il linguaggio dell’azione ordinativa con il consenso sia internazionale sia sociale. Da un lato, la crescente evidenza dell’efferatezza del nemico sta producendo una maggiore convergenza t= ra le nazioni, per esempio la recente decisione della Russia di accendere un guerra globale e non solo selettiva contro il terro= re. Dall’altro, la conduzione della guerra dovrà ess= ere modulata per adeguarsi meglio al consenso, cosa possibile perché la parte più dura del lavoro è stata già fatta. Ma tale modulazione non potrà mai arrivare al punto di rinunciare alla dottrina ordinativa globale= , pena la sconfitta. E l’Italia condotta da Berlus= coni ha mostrato di capire perfettamente questo punto: adattare l’azione p= er aderire il più possibile al requisito realistico del consenso intern= o ed europeo, ma senza pregiudicare l’efficacia dell’azione ordinativa globale, priorità assoluta da gestire con leadership forte e determinata. Grazie Berlusconi, grazie Bush, governanti della storia e non solo di nazioni.<= /span>

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