Punti fermi
Di Carlo Pelanda (25-6-2004)
La Casa della libertà è un luogo della politica dove tutto è negoziabile, ma entro confini di stile e di sostanza. Questi vanno ricordati in modo chiaro, in particolare, ai leader di An ed Udc perché li stanno violando. Chi glieli ricorda, qui? Il nucleo dell’elettorato riformista-liberalizzante che è maggioranza all’interno della Casa della libertà e che da la sua preferenza a Forza Italia. I rappresentanti di questo partito e Berlusconi si stanno comportando con la cortesia dell’ospite che non alza la voce quando vede che gli invitati non si comportano bene a tavola. Ma gli elettori detti – tra cui chi scrive - sono meno gentili e, soprattutto, meno vincolati nelle espressioni. A nome loro, in particolare del robusto sottogruppo di chi vive di mercato e non di Stato che sono certo di rappresentare con le mie opinioni, vanno ribaditi tre punti fermi.
Prima la sostanza. La
coalizione è stata costruita per due obiettivi: sconfiggere le sinistre e portare
l’Italia dal declino – peggiorato drammaticamente dal governo dell’Ulivo dal
1996 al 2001 - al rilancio. Per ottenere il primo si è modulato il secondo in
base alle sensibilità degli alleati in modo da avere la massa di consenso
sufficiente. Ciò, nel 2001, si è tradotto in un compromesso: i liberisti e
liberalizzanti hanno accettato un riformismo molto più morbido di quanto
volessero e gli statalisti di An ed Udc
si sono aperti ad un modello di Stato sociale dove garanzie ed efficienza
venissero ribilanciate a favore della seconda senza ridurre le prime.
Compromesso che trovò anche il consenso della Lega che ha nel suo elettorato
sia correnti protezioniste sia anarcocapitaliste. In sintesi, la formula fu
piuttosto solida perché immetteva in un sistema arcaico quel tanto di modernità
che bastava a renderlo più forte senza togliere sostegni alle aree e classi
deboli del Paese. Rispettò, inoltre, due requisiti. Il primo, tecnico, che
comunque il vecchio Stato sociale non era più sostenibile. Il secondo, che
l’elettorato complessivo vuole i benefici del mercato senza, però, tutte le
fatiche ed incertezze relative. Il punto: noi, popolo produttivo, abbiamo
capito che le riforme di efficienza avevano un limite di consenso che bisognava
rispettare per poterle cominciare ad attuare. E siamo stati, finora, zitti e
buoni condomini. Ma dal giugno del 2003 sia An sia, con meno rumore, l’Udc
hanno ridotto la loro disponibilità sul lato dell’efficienza ricadendo nello
statalismo assistenziale e clientelare più, diciamo, tradizionale. I motivi,
probabilmente, sono legati alla sensazione di poter fare più voto
rappresentando interessi protezionisti. Il messaggio è: vi è concesso, ma entro
limiti di decenza e, in generale, tali da non ostacolare la riduzione delle
tasse e di altri costi statali. Tali limiti li avete superati e per noi questo
è inaccettabile, sleale e incomprensibile alla luce di quanto segue.
Secondo punto, mi scuso, in
“politichese”. Ma come si fa a pensare che un Udc che ha preso l’1% in più ed
una An, mi perdonino tale verità i suoi simpatizzanti, rimasta sempre lì
possano pretendere di rompere il compromesso perché le “masse” le legittimano a
farlo? La fonte del problema è esattamente l’opposto: l’elettorato
popoloproduttivista ha perso parzialmente fiducia vedendo l’assurdo blocco
delle riforme. E ha tolto il voto a Fi per darle un segnale di essere più
incisiva. Ma non lo ha trasferito ad An e ad Udc, a parte un minimo di
inguaribili voti clientelari al Sud. Questo è il dato vero, analisti miei immaginari.
Vuol dire che se l’elettorato di Fi si scoccia sia An sia Udc non ne compensano
i numeri. Quindi se tirate la corda oltre misura guadagnate 1 per perdere 5.
Proiettate e vedetevi sconfitti nel 2006. Pertanto, è giusto negoziare
continuamente i dettagli della formula di coalizione detta sopra, ma restando
entro i limiti che soddisfano tutte le sensibilità del condominio. Il
messaggio: cari statalisti di centro e destra avete la prova che senza noi
popoloproduttivisti anche voi andate a casa. Con la differenza che noi un
lavoro nel mercato lo abbiamo, ma molti di voi no.
Terzo punto, il più
importante: ma dove andate senza Berlusconi? L’Udc sogna la ricostruzione di un
centro che scompagini i poli. An di conquistare il centrodestra in un eventuale
post-Berlusconi. Ma fate i conti senza di noi. Pensate che noi voteremo Udc o
An nel malaugurato caso Berlusconi uscisse dalla scena? Se lo pensate vi siete
bevuti il cervello. Caso mai nascerà una nuova Forza Italia o verrà ricostruita
la stessa come sezione italiana del Partito popolare europeo con leader che non
sarete voi. Non perché antipatici o squalificati, anzi, ma per il fatto che non
offrite quella politica che almeno il 25% degli italiani – prego studiare i
dati - vuole: più mercato e libertà di impresa. E ricordatevi che Berlusconi,
senza ridurne l’eccezionale avventura personale, lo abbiamo inventato noi: non
è vero che gli abbiamo creduto ciecamente, ma abbiamo “voluto” credergli perché
politico più vicino all’idea di Italia e di come (ri)farla che abbiamo in
mente. Berlusconi è unico e non ce ne sarà un altro uguale se si stuferà o
cadrà. Quindi lunga vita. Ma in caso di emergenza, cari An ed Udc, questa parte
più attiva dell’Italia, il 25% che ne fa il 70% del Pil, creerà nuovamente un
qualcosa di più simile a Berlusconi che a voi. Perché noi siamo il vento, voi
le bandiere.