Tornare al metodo della prima Europa per consolidarla, crearne una terza per darle un senso storico

 

Di Carlo Pelanda (2-12-2003)

 

 

 

Europa per che cosa? Il pensiero realistico ritiene che gli interessi diano direzione alla storia. E che pertanto il rispondere alla domanda permetta l’individuazione dei fattori orientativi nello scenario europeo. Negli anni ’50 fu: “per non fare più guerre civili intraeuropee”. Le èlite del dopoguerra lo proposero, Washington le aiutò – e ciò creò la prima Europa - per l’interesse a compattare la marca occidentale del suo impero. Poi si aggiunse una risposta vantaggiosa per tutti: “per fare più business grazie all’integrazione”. E ciò irrobustì il modello comunitario: si metteva in comune ciò che era di chiaro vantaggio per tutti, il resto veniva posposto. In tal modo le nazioni conferivano pezzi di sovranità con un  chiaro ritorno. L’Atto unico del 1985, dedicato al mercato unico, fu il culmine di questa Europa pragmatica, stupendo esempio di bilanciamento tra interessi nazionali. Ma dalla seconda metà degli anni ’80 emerse una seconda Europa dove la risposta fu meno chiara: “creare un superstato paneuropeo”. Perché mai? Mentre gli europei se lo chiedevano crollò il muro e tornò la priorità di evitare l’emergere della Germania come potenza singola. Così la risposta di Maastricht fu: “ per imbrigliare la Germania ed il marco facendo un’unione politica e monetaria”. In cui, per vuoto di potere dovuto al minore interesse americano dopo la fine della Guerra fredda, si insinuò la risposta francese (dal 1963): “per allineare tutti gli europei in modo da avere una massa critica utile a bilanciare il potere americano”. La Germania accettò perché la sua europeizzazione implicava, in realtà, la germanizzazione degli europei e comunque una superiorità sulla Francia. In sintesi, prevalsero due interessi nazionali che portarono ad una risposta selettiva: “per fare uno superstato con dominio prevalente franco-tedesco”. Ma negli anni ’90 la storia impose un’altra risposta: “per stabilizzare i paesi europei orientali, includendoli”. E l’allargamento ha reso impossibile consolidare l’impero franco-tedesco. Così nel 2004 l’Europa si mostra meno di un’unione, ma più di un’alleanza tra nazioni, senza saper più cosa rispondere alla domanda orientativa. Da qui un certo disordine e smarrimento che chiama ripensamenti. Questa rubrica ne propone due. Interno: tornare alla prima Europa “per fare business, pragmaticamente e in modo bilanciato”. Esterno: “integrarsi per produrre ulteriore integrazione”. Cioè formare una terza Europa che possa nel futuro rendere utile e credibile per l’America generare un mercato unico euroamericano. Così l’Europa avrebbe una missione forte occidentalista e, nuovamente, un metodo serio.