Allarme Petrolio

Di Carlo Pelanda (Settembre 1999)

Il prezzo del petrolio é più che raddoppiato in pochi mesi. Nel dicembre 1998 era di 10 dollari per barile. Oggi oscilla attorno ai 22. Un analista della Warburg, Matthew Warburton, lo prevede sui 27 nel prossimo inverno. Tale clima rialzista viene confermato dall'euforia che attualmente si nota nelle compagnie petrolifere. L'anno scorso avevano licenziato il licenziabile e ridotto all'osso i costi. In particolare le grandi multinazionali, BP-Amoco, Chevron, Conoco, Exxon, Mobil, Texaco, ecc. E per questo l'improvviso rialzo del prezzo ha permesso loro di fare profitti netti superiori al normale. Cosa che ne ha rialzato di molto i precedentemente depressi corsi azionari. E c'é ottimismo - cioé prezzo che resterà alto - per il futuro. Ma questo dato proiettivo é in contrasto con quello fornito dalla maggior parte degli analisti che stanno valutando l'impatto dell'impennata dei costi energetici sull'inflazione e, di conseguenza, sulle prospettive di rialzo dei tassi monetari sia in America che in Europa. Nella prima l'aumento dei prezzi tendenziale per il 1999 sta viaggiando attorno al 2,8%. Ma, togliendo dall'indice i prodotti energetici, questo scende sotto il 2%. Se poi si levano altri settori volatili, l'inflazione americana strutturale (core inflation) resta vicina a quel minimo 1,6% che fece registrare nel 1998. Ma allora i costi energetici americani erano scesi dell'8,8%. Quest'anno sono risaliti del 16%, il prezzo del gas del 31%. La distinzione tra componenti volatili e strutturali dell'indice di inflazione ha senso se i primi sono veramente tali, cioé anomalie di relativamente breve periodo. Ma se il prezzo del petrolio continua a salire o a restare alto, allora la sua dinamica diventa strutturale. E al 3% di inflazione reale i tassi americani dovrebbero essere alzati non solo dello 0,25%, come si pensa ora in termini di caso peggiore, ma del doppio o perfino di più. E una tale stretta monetaria manderebbe l'economia americana in recessione. Ma gli analisti dicono che questo scenario é improbabile in quanto stimano che il prezzo del petrolio scenderà a livelli moderati tra breve. Quali dei due gruppi di analisti ha ragione? E' un bel giallo.

La soluzione va cercata nella valutazione di quanto tempo i paesi produttori di petrolio riusciranno a mantenere la coesione necessaria per tagliare la produzione, cioé per aumentare i prezzi riducendo l'offerta. L'ultima volta che l'Opec riuscì in questa impresa fu il lontano 1986. Poi non ce la fece più perché l'accordo formale di riduzione delle quote di estrazione non era rispettato nella realtà. I paesi produttori reagivano al ribasso dei prezzi petroliferi (delle loro entrate) vendendo più barili, e non meno, cercandosi di fregare l'uno con l'altro. Dopo tanti anni che le cose andavano così gli osservatori si convinsero che ormai l'Opec, in termini di cartello, fosse morto. Anche perché domina ormai solo il 40% della produzione petrolifera mondiale. E i tentativi di sua rinascita nel 1998, pilotati dall'Arabia Saudita, erano andati male, confermando la sensazione. Ma nell'aprile del 1999 l'Opec riemerse con forza insospettata, con l'alleanza aggiuntiva di Messico e Norvegia. Cosa é successo? I sauditi hanno detto basta. Il crollo del prezzo del petrolio ha ridotto i loro introiti portando il debito pubblico a 130 miliardi di dollari, cioé quasi il 100% del Pil, quasi bancarotta. E hanno giocato pesante. Da una parte tutti gli altri paesi produttori avevano lo stesso problema e questo ha aiutato. Ma la sopresa é stata che (finora) nessuno ha barato. Tutti stanno ripettando il taglio delle quote. Mezzo milione di barili al giorno da parte dei sauditi, un milione e mezzo da parte della somma di tutti gli altri Opec, più 350mila autoridotti da Messico e Norvegia. Come si spiega? I sauditi stanno usando veramente il bastone. Nella loro capacità di più grandi singoli produttori, se vogliono, sono in grado di inondare il mercato e far saltare tutti gli altri. Possono, infatti, produrre 10 milioni di barili al giorno, invece dei 7,5 attuali, al costo estrattivo di un dollaro ciascuno per particolarità favorevole dei loro giacimenti. Il che porterebbe il prezzo del petrolio tra i cinque e i nove dollari. Che é il costo della sola estrazione nel Mare del Nord, in America, Nel mar Caspio. E poco meno da altre parti. Di fronte a tale determinata dissuasione gli altri paesi si sono allineati. Così il prezzo é salito e continuerà a salire. Ma poiché il fattore principale di spinta e di tenuta del cartello é l'Arabia Saudita, pare prevedibile che il petrolio terrà prezzi alti fino a che questa non avrà rimpinguato le proprie casse. E ci vogliono tre o quattro anni. Scenario disastroso. D'altra parte l'impennata del petrolio non sarebbe potuta avvenire senza un certo consenso da parte degli Stati Uniti. Non solo spinto dalla lobby petrolifera, ma anche dalla necessità di riequilibrare finanziariamente almeno venti paesi andati in crisi per i prezzi petroliferi troppo bassi, tra cui la Russia. E' stato messo un termine al gioco? Non si sa. Per questo il giallo continua.